Uno studio pubblicato su PLOS One ha analizzato i calchi di gesso di sette vittime dell'eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano nel 79 d.C., e ha concluso che sarebbero morte non incenerite, ma asfissiate mentre tentavano di scappare. Gli studiosi ci tengono a sottolineare che quanto scoperto è valido solo per questi sette casi in particolare, e non sono applicabili a tutte le vittime: «È probabile che l'eruzione uccise gli abitanti in modi diversi», spiegano gli autori.
In fuga. I ricercatori hanno condotto un'analisi chimica non invasiva sui calchi utilizzando un analizzatore a fluorescenza a raggi X portatile (pXRF) per determinare la composizione delle ossa e dei calchi. Sono dunque riusciti a determinare l'età biologica e il sesso delle sette vittime, stabilendo inoltre che il gesso utilizzato per fare i calchi avrebbe contaminato la composizione chimica delle ossa dei defunti. Le posizioni in cui sono state ritrovate le vittime suggeriscono che stessero scappando dalla città dopo la pioggia di lapilli, e che alcuni si fossero serviti di un bastone per riuscire a muoversi tra i resti di pietra pomice. Tutti, alla fine, morirono circa 20 ore dopo l'eruzione, stesi a pancia in su o di lato, alcuni cercando di coprirsi con degli indumenti per evitare di respirare la nube di cenere e gas.
1.000 modi per morire. Negli anni, gli archeologi hanno avanzato diverse ipotesi sul decesso degli abitanti di Pompei ed Ercolano, ma la maggior parte ritiene che morirono per asfissia, soffocati in una nuvola di cenere e gas nocivi.
Uno studio del 2011 stimò che la temperatura della colata piroclastica avesse raggiunto i 500 °C, uccidendo gli abitanti in una frazione di secondo. Questa ipotesi sarebbe compatibile con le fratture ritrovate nelle ossa di 100 scheletri e con le condizioni di alcune calotte craniche, crepate e scoppiate per il caldo estremo.
Uno studio del 2020 ipotizza invece che alcuni abitanti morirono disidratati, come testimoniano le contrazioni muscolari e la posizione dei corpi, così come il collagene ancora conservato nei resti.
Per avere un quadro più chiaro della situazione bisogna continuare a indagare: secondo gli autori, future analisi dei calchi di altre zone di Pompei dovranno tenere conto anche dell'interferenza del gesso, che ha permesso di preservare importanti informazioni sulle vittime – come la loro posizione al momento del decesso – ma ne ha alterato la chimica dei resti.