L’uso delle cosiddette cinture di castità, fasce metalliche flessibili in grado di coprire i genitali e poi chiuse con lucchetti, risalirebbe ai tempi delle Crociate, quando i cavalieri in partenza per il Santo Sepolcro volevano assicurarsi la fedeltà delle proprie mogli durante la loro assenza.
Questo è quanto avete sempre creduto. Ma è falso. Ci sono almeno alcuni motivi logici e diversi studi recenti che tendano ad escludere che tali strumenti siano stati realmente utilizzati. Sopratutto nel Medioevo.
MA come si fa ad andare in bagno? Innanzitutto, c’è un problema di igiene: anche se la classica cintura prevede piccole aperture per l’espletazione dei bisogni fisiologici, ferite, infezioni e di conseguenza la morte di chi le indossava sarebbero sopraggiunte in tempi molto rapidi.
Inoltre, è plausibile che prima di partire i cavalieri si accoppiassero con le proprie mogli, magari con la speranza di trovare un bambino al loro ritorno. È evidente che la presenza di una cintura di ferro avrebbe impedito il parto. Senza contare l’obiezione più semplice: qualunque serratura medievale poteva essere aperta da un fabbro in pochi secondi.
Studi storici. Al di là di queste incongruenze logiche, però, a suggerire che quella delle cinture di castità medievali sia in realtà una leggenda c’è il fatto che non esistono autentiche cinture databili al Medioevo.
L’idea di astinenza sessuale è certamente antichissima e lo stesso termine latino cingulum castitatis (traducibile appunto come cintura di castità) compare, a partire dal VI secolo, in alcuni testi di Papa Gregorio Magno, Alcuino di York, San Bernardo di Chiaravalle, fino a Giovanni Boccaccio. Ma in tutti questi casi è inteso come un simbolo di purezza teologica, non certo come un oggetto di dissuasione erotica.
Patto di fedeltà. Il concetto di patto di castità tra due innamorati comparve invece più avanti, in alcuni poemi del XII secolo, come il Lai di Guigemar di Maria di Francia: alla partenza del cavaliere Guigemar la sua donna chiede all’amante di annodarle la camicia intorno alla vita, come patto di fedeltà fino al ritorno. Ma si tratta di un patto simbolico e, soprattutto, voluto dalla donna.
La prima bufala. Per trovare la prima citazione visuale di un oggetto che ricordi vagamente una cintura di castità dobbiamo aspettare il 1405 e un manoscritto, il Bellifortis di Konrad Kyeser, dedicato alla tecnologia militare dell’epoca.
Il congegno disegnato, quasi un’armatura, è presentato come uno strumento imposto alle donne fiorentine dai mariti gelosi, ma i commenti di Kyeser sono ironici e probabilmente il disegno è stato realizzato sulla base di sentito dire e non copiando un oggetto autentico.
Di certo non risulta nulla del genere nella Firenze del tempo.
Luchetti. Alcune incisioni del XVI secolo, tra cui una attribuita a Sebald Beham, raffigurano invece una donna che indossa una “cintura di castità”, chiusa da un lucchetto, in piedi tra due uomini mentre riceve e consegna denaro: l’interpretazione che ne è stata data è che si tratti di una prostituta in mezzo al cliente e al protettore, quest’ultimo disposto ad aprire il lucchetto solo al pagamento della prestazione. Anche se fosse stata vera e non solo simbolica, dunque, la cintura rappresentava qui solo uno strumento professionale.
Falsi d’autore. Le prime cinture di castità “vere” sono quelle finite nei musei intorno al 1840. Al Museo d’arte medievale di Cluny a Parigi, per esempio, fino a poco tempo fa si poteva ammirare una cintura che si diceva fosse appartenuta alla regina di Francia Caterina de’ Medici (1519-1589). Fu solo nel 1990 che i responsabili del Museo si accorsero che si trattava di un falso risalente al XIX secolo.
Anche un altro esemplare simile, esposto al British Museum di Londra e a lungo indicato come risalente al XVI secolo, è stato di recente datato alla metà dell’800 e tolto dalle esposizioni. Quasi tutti i musei che le conservavano e le attribuivano all’epoca medievale, hanno oggi corretto i loro cataloghi per indicarne la fattura recente o l’origine fraudolenta
Nei giochi sadomaso. Fu proprio nel XIX secolo, epoca in cui soprattutto nei Paesi anglosassoni fu riscoperto il puritanesimo, che le cinture di castità divennero un oggetto di uso quasi comune. Si trattava però di cinture più morbide e da indossare solo per brevi periodi, usate dalle donne per proteggersi dal rischio di stupro o imposte agli adolescenti per impedire la masturbazione, considerata dannosa per la salute o, comunque, peccaminosa per la morale del tempo. In qualche caso, però, tali prodotti furono pubblicizzati nei periodici dell’epoca anche come strumenti per assicurarsi la fedeltà delle mogli, trasformando così in realtà quello che fino ad allora era stato solo un mito attribuito al Medioevo
Oggi, le cinture di castità, realizzate nei materiali più diversi, rappresentano solo uno strumento utilizzato come gioco erotico nelle pratiche di sadomasochismo.