Gli accordi di Camp David, furono siglati dal presidente egiziano Anwar al-Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin il 17 settembre 1978, dopo 12 giorni di negoziati segreti.
Mentre oggi le trattative di pace tra Israele e Gaza sono in una fase di stallo, vediamo tutte le volte che sono falliti gli accordi tra Tel Aviv e Ramallah attraverso l'articolo "La pace fallita" di Riccardo Michelucci, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Il primo tentativo. Occasioni perdute, trattati disattesi e speranze svanite dopo inutili strette di mano. Si potrebbero riassumere così gli innumerevoli tentativi di costruire una pace duratura tra israeliani e palestinesi.
Le Nazioni Unite ci avevano provato fin dall'inizio: il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale dell'Onu approvò il Piano di partizione della Palestina sperando di risolvere il conflitto tra la comunità ebraica e quella araba palestinese che era scoppiato negli ultimi mesi del mandato britannico nell'area. Il piano proponeva la suddivisione del territorio della Palestina in due Stati, uno ebraico e l'altro palestinese, lasciando Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Ma venne rigettato dai Paesi arabi confinanti, che entrarono in Palestina per affrontare le truppe israeliane.
CONFINI PROVVVISORI. Dopo oltre un anno di scontri e di massacri, che causarono l'esodo di circa 700mila palestinesi, nel 1949 si arrivò a una serie di armistizi che stabilirono i confini provvisori tra Israele, Siria, Libano e Giordania. A Israele rimase circa il 78% della Palestina, ben oltre i limiti stabiliti dall'Onu due anni prima. Il resto venne occupato dall'Egitto (Striscia di Gaza) e dalla Giordania (Gerusalemme Est e Cisgiordania). Ma nei due decenni successivi si riaccese lo scontro tra Tel Aviv e i Paesi arabi, in particolare l'Egitto.
Il picco avvenne con la crisi del 1956: Israele, Francia e Regno Unito reagirono alla nazionalizzazione del Canale di Suez decisa dal presidente egiziano Nasser. Le tensioni regionali esplosero di nuovo il 5 giugno 1967, quando Israele sferrò un attacco preventivo contro Egitto, Siria e Giordania dando il via a un conflitto brevissimo, la Guerra dei sei giorni, che era destinato però a segnare uno spartiacque fondamentale nelle travagliate vicende dell'area.
LA RISOLUZIONE 242. L'esercito israeliano dilagò conquistando Gerusalemme, la Cisgiordania, Gaza, le alture del Golan siriane e il deserto del Sinai. Le Nazioni Unite tentarono nuovamente di ricomporre il quadro dei confini subordinando il ritiro israeliano dai territori occupati all'instaurazione di una pace "giusta e duratura" e alla fine degli attentati da parte dei palestinesi.
La Risoluzione 242 dell'Onu, approvata il 22 novembre 1967, venne però formulata in modo volutamente ambiguo, senza precisare da quali territori Israele avrebbe dovuto ritirarsi e concedendo ampio spazio di interpretazione. Molte delle successive proposte di pace continueranno a far riferimento a quella risoluzione.
La firma degli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto nel 1978 segnò finalmente un cambiamento nello scacchiere regionale. Il nuovo clima di pace si propose di ampliare la Risoluzione 242 istituendo un'autorità di autogoverno in Cisgiordania e a Gaza. Ma anche quel piano fallì, perché tenne i palestinesi fuori dall'accordo.
Accordi di Oslo. Il tentativo più concreto di arrivare alla pace prese forma con una serie di colloqui segreti che gettarono le basi degli accordi di Oslo del 1993. I negoziati che si svolsero nella capitale norvegese videro il primo storico riconoscimento reciproco tra Israele e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), sancito dalla storica stretta di mano tra il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin sul prato della Casa Bianca, di fronte al presidente statunitense Bill Clinton.
L'accordo prevedeva di porre fine a decenni di conflitto "riconoscendo i reciproci diritti di ciascuna delle parti". Fu creata l'Autorità nazionale palestinese con capitale a Ramallah, alla quale venne delegato parzialmente il governo della Cisgiordania e di Gaza. Doveva essere il primo passo concreto verso la creazione di uno Stato di Palestina e verso la pace: invece fu l'ennesima occasione perduta.
Occasione mancata. «Gli accordi di Oslo del 1993 avrebbero dovuto risolvere le questioni rimaste aperte nei cinque anni successivi», spiega Alberto Tonini, docente di Storia contemporanea del Medio Oriente all'Università di Firenze. «Dovevano tenersi ulteriori negoziati che in realtà non ebbero luogo, perché il 4 novembre 1995 Rabin venne assassinato da un estremista israeliano e venne meno una delle due figure centrali che avevano dato impulso agli accordi. L'ascesa di Hamas a partire dagli Anni '90, poi, ha tolto spazio politico all'Olp».
Un altro VERTICE. Per evitare il fallimento definitivo degli accordi, Clinton organizzò un vertice a Camp David, convincendo il nuovo premier israeliano Barak ad accettare la nascita di uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme Est. Ma al termine dei colloqui Arafat rigettò l'intesa senza controproposte e anche quel vertice fallì.
Un'altra trattativa concreta risale al 2003, quando Usa, Unione europea, Russia e Onu lanciarono la Road Map for Peace (Tabella di marcia per la pace), un piano che chiedeva all'Autorità nazionale palestinese di promuovere l'abbandono del terrorismo e di effettuare riforme democratiche.
In cambio, Israele avrebbe sostenuto la riforma del governo palestinese e posto fine agli insediamenti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Nonostante le continue rassicurazioni, sia da parte di Israele sia dell'Anp, di perseguire l'impegno per la pace, i successivi vertici di Sharm el-Sheikh (2005) e di Annapolis (2007) si risolsero in un nulla di fatto, fino al definitivo abbandono di ogni trattativa. La pace tra israeliani e palestinesi è diventata sempre più un miraggio. Con le conseguenze drammatiche che abbiamo visto in questi mesi.