Quella scoperta a Vulci, soprannominata la tomba dei "principi del vino", era la sepoltura di due distinti signori appartenenti alla classe medio-alta, amanti delle cose belle e del buon vino. Dopo 2.600 anni, grazie all'apertura della tomba 58 nel Parco archeologico di Vulci (Montalto di Castro), si sa di più sui due defunti, si fanno inventari e ricostruzioni.
La Vulci "bene". «Delle due camere che abbiamo trovato», spiega Carlo Casi, direttore scientifico delle ricerche archeologiche a Vulci «la camera A era stata violata e saccheggiata solo parzialmente in passato, mentre la camera B era del tutto inviolata quando siamo arrivati noi. Nella prima, due anfore vinarie provenienti dall'isola greca di Chio, un servizio completo di coppe per bere e caraffe di origine etrusco-corinzia denotano la raffinatezza dei proprietari, e confermano la vocazione commerciale di Vulci, in contatto con gli artigiani greci, anche della parte orientale, e gli empori etruschi sparsi sulle coste del Mediterraneo».
Inviolata. La camera B della tomba 58 è stata trovata completamente intatta con 53 oggetti, fra cui una pregiata cista in bronzo decorata a sbalzo, che presentava resti di cibo ora sottoposti ad analisi, olle per conservare acqua e granaglie e altre cinque anfore vinarie da trasporto. «Le anfore di fabbricazione etrusca, suggeriscono che il vino locale veniva esportato», spiega l'archeologo.
Preda dei tombaroli. «Come nella camera A, anche nella B sono state trovate armi a indicare il sesso maschile del defunto. Le sue ossa sono state recuperate solo parzialmente perché l'acidità del terreno non ne ha favorito la conservazione». Nella camera A, violata nell'antichità, non è stata trovata invece nessuna traccia fisica del morto. O le sue ossa sono andate completamente distrutte, oppure era stato cremato e le sue ceneri vennero portate via dagli antichi tombaroli con l'urna cineraria. Fino al IV secolo a.C., infatti, gli Etruschi non avevano un unico trattamento post mortem, potevano essere inumati o cremati.
Pasti per il morto. Il corredo funerario, come i sevizi da tavola, le bevande e il cibo avevano la funzione di confortare la persona nel passaggio verso l'aldilà. Questi elementi non erano solo simbolici, perché secondo il pensiero magico degli Etruschi (come anche per gli Egizi) gli oggetti nella tomba venivano utilizzati.
La civiltà del benessere. A simboleggiare la frenetica attività commerciale che caratterizzava il grande porto di Vulci, 25mila abitanti nel 630 a.C.
, c'è nella camera A un peso di pietra di alcune libbre etrusche. Per diversi secoli questo popolo, di pari passo con il benessere della loro società (basato su un'agricoltura sviluppata, sull'estrazione del ferro, sull'artigianato, la navigazione e il commercio) avevano una visione ottimistica dell'aldilà. La morte non era la fine, ma un passaggio: l'architettura, gli oggetti e i riti funebri segnavano un cambiamento di status.
Creature fantastiche. Nel VII secolo a.C. all'epoca dei due signori della tomba 58 di Vulci la visione della morte era così positiva che fuori dalle tombe venivano scolpite figure di animali e creature fantastiche. «Leoni, pantere e sfingi etrusche (viso di donna e corpo felino con le ali) si trovano all'entrata delle tombe. Non erano figure di guardiani feroci, ma rappresentavano gli animali fantastici che si sarebbero incontrati fra le varie meraviglie dell'aldilà».
Crisi dell'altro mondo. Le cose cambiarono quando, nel V secolo, con la sconfitta di Cuma (474 a.C.), per mano della flotta siracusana, gli Etruschi persero il controllo del Mediterraneo e le loro merci furono sottoposte a embargo. Una fase di declino che proseguì con la dominazione romana. A quel punto l'aldilà divenne per il popolo italico un luogo triste. Ci arrivavano accompagnati da demoni torvi e violenti, come Charun o Tuchulcha e non più da figure femminili pacifiche e alate come Vanth.