Una stanza cerimoniale scavata nella roccia, 11mila anni fa, con un fregio scolpito: si trova nel sud-est della Turchia, in un insediamento del Neolitico che sta venendo alla luce a Sayburç, a 60 km dal fiume Eufrate. Quel fregio sarebbe la narrazione raffigurata più antica che si conosca, secondo il magazine dell'Università di Cambridge Antiquity che pubblica articolo dell'archeologo Eylem Ozdogan (Università di Istanbul).
ENIGMATICO. Questo grande pannello di pietra (90 cm di altezza per 3,7 m di lunghezza) mostra da un lato un essere umano in bassorilievo che affronta un grande toro selvatico, un uro (Bos primigenius). Dall'altro, sempre una figura umana, in altorilievo, naso pronunciato e labbra carnose, che si trova fra due leopardi, praticamente seduta, mentre brandisce il suo fallo. Che cosa significa tutto ciò? Senza conoscere il contesto storico e mitico di quella antica comunità preistorica che concepì l'opera, difficile scoprirlo.
Viaggio nel tempo. Immaginiamo se un uomo del Neolitico, trasportato da una ipotetica macchina del tempo entrasse nella basilica superiore di Assisi e vedesse alcune scene dipinte: un uomo che si toglie le vesti davanti ad altri (San Francesco che si spoglia dei suoi ricchi abiti di fronte al padre e ai notabili della città), ancora quell'uomo che si avvicina a un gruppo di uccelli (non per mangiarli, ma per fare loro una predica). Ancora lui davanti a un lupo (il terribile lupo di Gubbio). Che cosa capirebbe il viaggiatore preistorico? Poco o nulla, senza conoscere già la storia di San Francesco.
Analogamente, gli archeologi che hanno scoperto e descritto il fregio preistorico in Turchia, presente sulla facciata di una grande panca scolpita nelle pietra calcare, non possono risalire a episodi precisi senza conoscere la storia che c'è dietro. Possono però coglierne il senso simbolico. Quello raffigurato doveva essere un personaggio importante. Forse lo stesso in tutte e due le scene, per caratterizzare un luogo cerimoniale o comunque un punto centrale di riunione.
Potere sulla natura. Nella prima scena, quella di sinistra, il personaggio tiene in una mano un serpente, o forse un sonaglio, impugnato come elemento di potere e di comando nei confronti di un toro selvatico, la cui pericolosità viene enfatizzata dall'enorme testa. Il corpo dell'animale è di profilo, ma la testa è girata, come vista dall'alto, un "trucco" prospettico per enfatizzare le corna. Nella seconda scena, il personaggio appare in posizione seduta, calmo e autorevole, mentre troneggia fra due leopardi, la cui ferocia è mostrata dalle grandi dimensioni dei denti.
Doveva quindi trattarsi di un "Signore degli animali" o comunque di un antenato che segnava simbolicamente il controllo dell'uomo sulla natura selvaggia. Un controllo basato sulla sua capacità riproduttiva, come dimostra il grosso fallo tenuto in mano, e anche di una capacità "creativa" per mutare i rapporti con la natura stessa. Siamo, insomma, alle soglie della rivoluzione agricola e della domesticazione. E quel "santo" preistorico, di cui non conosciamo nome e biografia, doveva essere uno dei simboli dell'epoca.