Il 18 maggio 1921 quattro alpinisti (Harold Raeburn, Alexander Kellas, George Mallory e Guy Bullock) e quattro scienziati (il naturalista e medico Sandy Wollaston, il geologo Alexander Heron e i cartografi Henry Morshead ed Edward Wheeler), guidati dal capo spedizione, il colonnello Charles Howard-Bury, lasciarono Darjeeling, per quella che sarebbe passata alla Storia come la prima spedizione per tentare la conquista dell'Everest. Ad accompagnarli c'erano una quarantina di sherpa, assoldati per la secolare conoscenza di queste montagne e destinati a diventare i co-protagonisti spesso dimenticati.
La spedizione, organizzata dalla Royal Geographical Society e dall'Alpine Club britannico riuniti nel Mount Everest Committee, aveva richiesto mesi di preparazione tecnica, ma non solo: fondamentale, infatti, fu l'opera diplomatica culminata nel dicembre del 1920 con il permesso di attraversare il territorio del Tibet, concesso dal Dalai Lama. La marcia di avvicinamento all'Everest si svolse senza intoppi, ma superati i 5.000 metri Alexander Kellas, in difficoltà fin dai primi giorni, si accasciò e morì, probabilmente per un attacco cardiaco. Era il 6 giugno 1921. Non ci si poteva fermare: George Mallory, alpinista destinato a legare il suo destino all'Everest, e il compagno Guy Bullock riuscirono, dopo diversi tentativi, a raggiungere i 7.000 metri del Colle Nord. A costringere la spedizione a tornare sui propri passi furono il vento e la temperatura proibitiva. L'Everest aveva vinto, ma la via verso la cima era stata scoperta.
il primo respiratore. Dopo quella prima impresa, la sfida per conquistare l'Everest non conobbe sosta e nel 1922 partì una seconda spedizione con una grande novità: George Finch, fisico australiano e provetto alpinista, aveva messo a punto "il primo respiratore della storia" ovvero uno zaino con quattro bombole d'acciaio fissate ai lati. Non sarebbe servito a raggiungere la vetta dell'Everest, ma fu fondamentale nel segnare il nuovo record di quota: 8.326 metri. Due anni dopo fu l'inglese Edward Norton a raggiungere gli 8.580 metri, durante la terza grande spedizione. Quest'ultima impresa passò alla storia anche per la scomparsa di George Mallory (l'unico a essere sempre presente, nel '21, nel '22 e nel '24) e Andrew Irvine: furono avvistati per l'ultima volta l'8 giugno 1924 prima di far perdere per sempre le proprie tracce, avvolti da una bufera di neve.
Dopo la tragedia del 1924 ci fu una battuta d'arresto. Le spedizioni si fecero più rare e bisognò aspettare la fine della Seconda guerra mondiale perché si riprendesse la corsa, favorita anche dall'apertura delle frontiere nepalesi, ma non solo.
Grazie alla tecnologia sperimentata in guerra l'attrezzatura degli scalatori era diventata più tecnica. Gli strati di maglioni di lana e i giacconi di tweed degli Anni '30 furono sostituiti da giacche termiche in piumino d'oca, mentre le corde di canapa lasciarono il posto a quelle di nylon.
Sul tetto del mondo. I risultati non tardarono ad arrivare: nel 1952 l'alpinista svizzero Raymond Lambert e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay segnarono un nuovo record toccando quota 8.600. L'anno successivo fu quello della conquista. Alle 11:30 del 29 maggio 1953, lo stesso Tenzing Norgay ed Edmund Hillary, apicoltore neozelandese che da un paio di anni si dedicava quasi a tempo pieno all'alpinismo, raggiunsero la cima dell'Everest. Hillary scattò allora la fotografia più famosa nella storia dell'alpinismo, quella con Tenzing che alza al cielo in segno di vittoria una piccozza alla quale sono legate le bandiere del Regno Unito (la spedizione era britannica), del Nepal, dell'India e delle Nazioni Unite. Dopodiché Hillary scese di qualche passo fino alla Cresta Nord-Est: sperava di trovare tracce lasciate nel 1924 da Mallory e Irvine, magari anche i loro corpi, ma non trovò nulla.
Questo articolo è una sintesi di Paola Panigas del servizio Alla conquista dell'Everest di Fabio Dalmasso, che sarà in edicola con Focus Storia n. 176 (giugno 2021) dal 21 maggio.