In principio fu l’immagine di un bisonte dipinta sulla roccia. Oggi è Zakumi, il leopardo testimonial dei Mondiali di calcio 2010, in Sudafrica. La mascotte, almeno simbolicamente, ha infatti iniziato il suo lungo cammino nelle caverne primitive. Ha attraversato i campi di battaglia, i campus dei college universitari americani ed è infine giunta negli stadi sportivi in un inesorabile passaggio dal sacro al profano che l’ha resa icona pop e gadget commerciale. Ma perché ancora oggi questi personaggi-simbolo sono così utilizzati e qual è la loro origine?
Il termine divenne popolare in Europa intorno alla metà del XIX secolo. Precisamente nel 1867, quando il compositore francese Edmond Audran mandò in scena un’operetta, ambientata nel Seicento e intitolata appunto La mascotte. La protagonista è Bettina, contadinella che porta fortuna a chi la prende al suo servizio, purché resti vergine, definita appunto “mascotte” nel primo atto.
La commedia musicale fu un successo ed ebbe oltre 500 repliche in due anni, facendo entrare la parola del titolo nel linguaggio comune. Ma sull’origine del termine, che esisteva già, ancora oggi si discute: per alcuni deriva dal provenzale masca, “strega”, per altri dal gallo-
romanzo masca, mascata cioè “guancia colorita, maschera”, un rimando alle streghe o agli sciamani che durante i rituali sacri si mascheravano da animali per invocare il loro spirito guida.
Miscia l'orsetto mascotte delle Olimpiadi di Mosca del 1980. La prima ad avere un vero successo commerciale. Oggi la vendita di gadget è molto importante per il finanziamento dei grandi eventi sportivi.
Zakumi
Za
Kumi
Ma in nessun luogo come sui campi di battaglia, dove di fortuna c’è davvero bisogno, le mascotte hanno trovato terreno fertile. La lista degli animali trovatelli che accompagnavano i reparti militari è lunga: cagnolini, orsetti, capre, maialini e persino aquile.
Tra i più famosi ci fu infatti Old Abe, un’aquila di mare (una specie dal 1782 simbolo degli Stati Uniti) chiamata così in onore del presidente Usa Abraham Lincoln. Oggi la sua immagine campeggia sullo stemma della 101a Divisione aviotrasportata dell’esercito statunitense, ma durante la guerra civile americana (1861-65) era la mascotte dell’8° Reggimento di fanteria unionista, detto appunto Eagle regiment, il reggimento dell’aquila. Catturata e addestrata nel 1861, Old Abe si ambientò così bene tra i soldati che spesso durante le marce veniva lasciata volare libera nel cielo. Quando morì, fu imbalsamata, ma finì poi bruciata in un incendio.
L’aquila unionista non fu la sola: Winnie Pooh, prima di diventare il personaggio dei cartoon che conosciamo, era infatti un orsetto (vero) dell’esercito canadese, acquistato per 20 dollari da un ufficiale durante la Prima guerra mondiale. Chiamato Winnipeg in omaggio alla sua città natale, il simpatico orsetto diventò la mascotte della 2a Brigata canadese di fanteria, che lo portò con sé in Inghilterra. Qui, al momento di raggiungere il fronte in Francia, i soldati dovettero separarsene, donandolo allo zoo di Londra. Ribattezzato Winnie, divenne l’idolo dei bambini, tra cui Christopher Robin Milne, figlio dello scrittore che nel 1926 creò (ispirandosi all’orsetto di pezza che il figlio aveva chiamato appunto Winnie) le storie di Winnie-the-Pooh.
Perché le mascotte animali si siano diffuse prima negli Stati Uniti è spiegabile, secondo alcuni, con l’influenza delle tradizioni degli indiani d’America.
«Il totemismo, ovvero la valorizzazione simbolica di un oggetto, un animale, un vegetale o un astro, era un modo per legare un gruppo sociale al suo territorio» spiega Comba. «Serviva a stabilire legami che univano i membri del gruppo. Allargandosi fino a includere anche altri esseri viventi, come piante e animali, che convivevano sullo stesso territorio». In parte, è anche la funzione di “collante” esercitato dalle mascotte sportive. Che si sono affermate talvolta a costo di dure polemiche: basti pensare che negli Anni ’60, sull’onda delle campagne per i diritti civili delle minoranze, gli attivisti accusarono molte mascotte di rispecchiare idee razziste: tra le più criticate ci fu Chief Wahoo, della squadra di baseball Cleveland Indians, un capo indiano con dentatura ben in vista e piume d’ordinanza, accusato di amplificare lo stereotipo sui pellerossa.
L'omino Michelin e la sua mascotte, il cagnetto Michelen.
Polemiche a parte, la moda delle mascotte nel frattempo era dilagata anche al di qua dell’Atlantico. In Europa esplose come fenomeno commerciale negli Anni ’50 e ’60. All’inizio furono grandi aziende a creare personaggi per reclamizzare il loro marchio. Dismesso il ruolo di feticcio propiziatorio (mantenuto però dai pupazzi portafortuna di squadre di baseball, basket e football americano, specie universitarie), la mascotte si trasformò in personaggio pubblicitario, come l’omino Michelin dell’omonima ditta francese, inventato nel 1898 e rilanciato nel secondo dopoguerra.
Ma c’è anche chi, fedele allo spirito originario, continua a preferire le mascotte in carne e ossa.
La fanfara dei carabinieri a cavallo per esempio, che oggi è accompagnata da Lady, una cagnolina meticcia che appare anche nelle cerimonie ufficiali. Lady ha preso il posto di Birba, che a sua volta aveva sostituito Trombetta, la prima mascotte scelta nel 1976. La leggenda narra che Trombetta si fosse fatta avanti ad Agnano (Napoli) innamorandosi della fanfara e seguendola nei suoi spostamenti. I carabinieri decisero allora di adottarla e scelsero per lei il nome Trombetta, omaggio alla sua sensibilità musicale. La sua ultima apparizione in pubblico risale al novembre del 1989 (morì nel gennaio successivo). Dopo la sua scomparsa le fu addirittura dedicata una poesia in dialetto romanesco: “E mentre, triste, una cavalla aspetta / co l’occhi fissi su ’na cuccia vota / ’na tromba dà il silenzio pe’ Trombetta”.
I palloni, le mascotte e le locandine di tutti i Mondiali dal 1933 al 2010.
Zakumi
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Goleo VI