Una base di pane tonda e dal "cornicione" spesso, cosparsa di elementi bianchi e rossi... ma può essere davvero una pizza, quella dipinta in un affresco di recente riemerso a Pompei? Anche se agli occhi moderni sembra di sì, non è possibile, se non altro perché all'epoca non c'erano mozzarella e pomodoro. Ma il piatto raffigurato nella natura morta in queste ore su tutti i giornali potrebbe comunque avere un legame con la pietanza napoletana Patrimonio dell'Umanità.
Un pieno di leccornie. L'affresco, che si trovava sulla parete di un'antica casa pompeiana è stato scoperto durante nuovi scavi nell'insula 10 della Regio IX a Pompei (il sito archeologico è suddiviso in nove quartieri chiamati "Regiones", ciascuno dei quali a sua volta diviso in isolati o "Insulae").
Raffigura quello che si suppone essere un vassoio d'argento, sul quale è posato un calice di vino accanto a una focaccia tonda di forma piatta, condita con frutta (si riconoscono forse un dattero e un melograno) e spezie. Spalmato sulla proto-pizza c'è forse anche un pesto di cui parlano le fonti letterarie, un battuto di erbe, aglio e formaggio chiamato moretum e indicato nel dipinto dai puntini color giallastro e ocra. Sul vassoio sono presenti inoltre frutta secca, datteri, melograni e una ghirlanda di corbezzoli gialli.
Mangia e riposati. Questo tagliere di 2.000 anni fa rientra in una precisa tradizione pittorica di derivazione ellenistica (III-I secolo a.C.): quella degli xenia, i doni (in genere prodotti della campagna) che venivano offerti all'ospite per farlo sentire come a casa propria, parte integrante della comunità che stava visitando.
Questa consuetudine aveva per i greci una connotazione sacra: la xenia era l'obbligo di offrire ospitalità ai viandanti e di trattarli con rispetto, ed era garantita nientemeno che da Zeus. Nelle città vesuviane si conoscono circa 300 raffigurazioni simili, ma quest'ultima colpisce per la qualità di esecuzione pittorica.
L'ospite è sacro. Queste offerte avevano spesso anche un carattere votivo: come scrivono l'archeologo Alessandro Russo e il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, in un articolo sulla scoperta liberamente consultabile sull'E-Journal degli Scavi di Pompei, «un'immagine dalla casa dei Cervi a Ercolano associa la natura morta con xenia a una statua di Dioniso, rendendo così il carattere votivo dell'offerta esplicito».
Mangiare anche il piatto. E dunque, se difficilmente quella qui rappresentata può essere considerata una pizza a tutti gli effetti, il fatto che vi sia un pane sacrificale usato come contenitore o piatto (mensa, in latino) per altri cibi sembra confermato in un passo dell'Eneide di Virgilio (libro VII, v.
128 sgg.) dove l'autore descrive l'arrivo dei Troiani sulle coste del Lazio: "Enea, i capi supremi e Iulo si distendono sotto i rami d'un albero altissimo: preparano i cibi, mettendo sull'erba larghe focacce di farro come fossero tavole (consigliati da Giove), e riempiono di frutta i deschi cereali. Allora, consumati quei poveri cibi, la fame li spinse ad addentare le sottili focacce spezzandone l'orlo. "Ahimè – fece Iulo, scherzando – noi mangiamo anche le nostre mense".
Un piatto povero. Affine alla pizza, alle sue umili origini e alla sua fortuna planetaria è anche il contrasto tra la frugalità del piatto raffigurato, ottenuto con cibi poveri e provenienti dalla terra, e la raffinatezza dei vassoi d'argento e della tradizione letteraria a cui l'immagine si ispira. Scrivono gli autori: «La messa in scena a cui sono sottoposti pani non lievitati, focacce, erbe e poma agresta, alla fine, appare così forse non tanto dissimile, con le dovute riserve, al destino della pizza nel nostro presente, che ha visto questo pasto "povero" conquistare le cucine di chef stellati in tutto il mondo, per essere, infine, nel 2017, riconosciuta quale "arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano" come parte del patrimonio culturale dell'umanità.