Storia

Cos'era il Piano Marshall? Ecco come l'antenato del Pnrr ha salvato l'Europa dopo la guerra

Nel 1948 il piano Marshall, gli aiuti americani all'Europa dopo la Seconda guerra mondiale, segnò una svolta nella ricostruzione economica e politica dell'Europa. Ma accelerò la Guerra fredda.

Il 3 aprile 1948 il presidente Harry S. Truman firmò il piano ideato dal generale George Catlett Marshall (1880-1959) per sostenere la rinascita dell'Europa. Vediamo cosa prevedeva e cosa ha comportato il sistema di aiuti statunitensi attraverso l'articolo "La mossa di Marshall" di Aldo Carioli, tratto dagli archivi di Focus Storia.

"Ci vorrebbe un Piano Marshall"

Lo si è detto dopo ogni guerra negli ultimi cinquant'anni e lo si ripete oggi. Il nome di George C. Marshall, generale dell'esercito Usa e segretario di Stato dal 1947 al 1949, è infatti sinonimo del programma di aiuti alla ricostruzione dell'Europa Occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. Una mossa geniale – di cui si vedono ancora gli effetti – e una tappa chiave nell'evoluzione dell'impero americano. Secondo il primo ministro inglese Winston Churchill il Piano Marshall fu "l'atto più disinteressato della Storia". Solo generosità non fu, ma certo fu un'operazione economico-politica ambiziosa e senza precedenti.

Le macerie dopo la guerra

Nel 1947 il quadro era questo: da una parte la potenza militare ed economica degli Stati Uniti, usciti rafforzati dalla vittoria nel conflitto. Dall'altra un cumulo di macerie chiamato Europa. Macerie di bombardamenti (anche americani) ma soprattutto sociali: con l'eccezione dell'Urss, nessuna delle nazioni del 1939 era più in piedi. Con queste premesse, la disgregazione economica dell'Europa Occidentale avrebbe aperto la strada alla penetrazione del comunismo. Gli Usa non potevano permetterselo.

Il continente Europa deve ripartire!

Nel terribile inverno del 1946-47 i porti inglesi rimasero bloccati da un'ondata di gelo che provocò fame, penuria di carbone e paralisi delle poche industrie ancora attive. In Francia i raccolti erano compromessi, la Germania a due anni dalla fine della guerra era ancora nella devastazione più totale. Quanto all'Italia, lo sbarco del 1943 in Sicilia e la risalita alleata lungo la Penisola avevano dato una boccata d'ossigeno al Centro-Sud, ma il Nord era uscito stremato dalla guerra di liberazione.

Entro la fine del 1947 i governi europei sarebbero rimasti senza un dollaro in tasca: niente dollari, niente viveri né materie prime. Insomma, c'era un intero continente (o almeno la metà controllata dai vincitori occidentali) da far ripartire. E nessuna istituzione solida per farlo, a parte le truppe americane ancora sul campo.

Le istituzioni che ci governano ancora oggi

I vertici statunitensi sapevano come riempire quel vuoto e stabilire la loro leadership economica, favorita del resto dall'assenza di concorrenti, tutti travolti dalla guerra. Sarebbe bastato seguire il modello che aveva assicurato prosperità alla nazione nordamericana: il libero mercato. Serviva però una cabina di regia. Così, gli Usa finanziarono la creazione di organismi internazionali: l'Onu per assicurare la pace, la Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo e il Fondo monetario internazionale (Fmi) per gestire crediti internazionali e mercati valutari.

Erano i vagiti delle istituzioni che ancora governano (nel bene e nel male) la finanza globale.

Chi era il generale Marshall?

La gestione della ricostruzione fu invece affidata a Marshall. Marshall non era uno qualunque. In Europa ci era già stato, durante la Prima guerra mondiale, nello staff del generale Pershing di stanza in Francia. Allo scoppio del secondo conflitto, nel 1939, fu nominato capo di Stato maggiore dell'esercito dall'allora presidente Roosevelt, di cui era il consigliere militare. Con la rodatissima macchina logistica delle forze armate ai suoi ordini e grazie ai poteri connessi alla sua nuova carica di segretario di Stato, nel 1947 era l'uomo giusto al posto giusto. Il piano fu delineato da Marshall nella primavera di quell'anno. Questa la strategia: rinunciare alla ricostruzione di singoli Paesi e puntare all'aiuto globale a tutto il Vecchio Continente.

Il 5 giugno 1947, in un discorso tenuto ad Harvard, Marshall dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero fatto "tutto quanto in loro potere per contribuire al ritorno di condizioni economiche sane e normali nel mondo, senza le quali non possono essere assicurati né la stabilità politica né la pace. Il programma dovrà essere un programma comune". E aggiunse: "I governi che opereranno per ostacolare la ricostruzione degli altri Paesi non riceveranno nessun aiuto". Un principio che servì a fare accettare la ricostruzione dell'odiata Germania, ma accelerò la rottura con l'Urss.

In cosa consisteva il Piano Marshall?

E pensare che il piano "salvastati" più ardito di sempre rischiò di non vedere mai la luce. Avviati i negoziati tra i governi europei (Urss inclusa, che poi si ritirò) e gli americani, restava infatti da convincere il Congresso Usa a sborsare 19 miliardi di dollari, il 15 per cento del bilancio federale. A spingere i senatori ad approvare la legge che autorizzava il finanziamento dell'European recovery program fu il colpo di Stato del 1948 con il quale i comunisti presero il potere in Cecoslovacchia. Non c'era tempo da perdere: il nuovo nemico stava avanzando verso Occidente e il baluardo-Erp doveva essere messo in campo in fretta.

Un piano anti-corruzione

Ma chi avrebbe assicurato che il fiume di generi alimentari, macchinari, armi e aperture di crediti incondizionati non si sarebbe perso nei mille rivoli della corruzione e dello spreco? Marshall pensò anche a questo. Il Congresso mantenne il diritto di chiudere i cordoni della borsa: il finanziamento si sarebbe infatti rivotato ogni anno. Tutti gli acquisti dovevano essere approvati dall'Eca (Economic cooperation administration), l'ente che gestiva il piano.

Una sede dell'Eca (guidata fino al 1950 da Paul Grey Hoffmann, ex presidente di una casa automobilistica) era presente in ogni capitale europea, per vagliare le richieste ed erogare finanziamenti in valuta locale. Fu attraverso le maglie strette di questo sistema che passarono circa 3,3 miliardi di dollari per il Regno Unito, 2,3 miliardi per la Francia, 1,5 per la Germania Ovest e 1,2 miliardi per l'Italia.

Gli Usa comprarono l'Europa?

Non tutti i 17 Paesi beneficiari del piano furono entusiasti di quella pioggia di biglietti verdi e beni Erp. In Italia – dove c'era il Partito comunista più grande d'Europa – una buona metà della neonata classe politica accettò a denti stretti. Si diceva che lo Zio Sam si era comprato l'Europa e molti vedevano l'Erp come un piano di conquista, più che di aiuti. Si trattava di accettare un'ingerenza (seppure concordata) straniera: gli inglesi temevano un'eccessiva integrazione con il continente, i francesi non accettavano di essere trattati allo stesso modo dei tedeschi. Marshall dovette mobilitare la propaganda: una sezione cinematografica speciale dell'Erp produsse, fino al 1952, circa 300 documentari e cortometraggi. I "film di Marshall" avevano titoli come Le straordinarie avventure di un litro di latte o Rinascita agricola.

Un piano di accelerazione

Ma non furono i film, bensì i fatti a segnare il successo di Marshall. Quando, come previsto, nel 1951 il programma si concluse, grazie al "turbo" d'oltreoceano la produzione industriale dell'Europa Occidentale aveva superato i livelli del 1938, l'anno precedente la guerra (e quella degli Usa raddoppiò dal 1945). Soprattutto, le nazioni europee avevano iniziato a collaborare (nel 1951 nacque la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e nel 1957 la Comunità economica europea). Da parte loro, gli Usa si erano assicurati una corsia preferenziale per le loro merci in vista del boom economico e avevano arginato l'avanzata del socialismo reale. Quanto a Marshall, dopo aver concluso il lavoro al servizio del suo Paese, nel 1953 ritirò il Nobel per la pace.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

3 aprile 2023 Focus.it
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