L'Epopea di Gilgameš - uno dei più antichi poemi della Storia - fu inciso su delle tavolette di argilla più di 4.000 anni fa. L'opera ha resistito al trascorrere dei secoli e ancora oggi è letta e studiata. Alcuni studiosi esperti di letteratura ed evoluzionismo hanno provato a capire cosa rende universale un testo letterario. Ma soprattutto perché gli uomini, da millenni, amano raccontare storie.


Un'arte antica. Non sappiamo se prima dell’invenzione della scrittura si inventassero racconti. Le incisioni rupestri fanno pensare però che già 30.000 anni fa fosse pratica diffusa accompagnare con narrazioni le scene dipinte all'interno delle caverne.
Secondo gli evoluzionisti la narrazione sarebbe infatti una forma di gioco cognitivo con cui reinventiamo il mondo, immaginando strategie utili per risolvere diverse situazioni.
A sostegno di questa teoria, le scansioni cerebrali confermano che leggere o ascoltare storie attiva aree della corteccia cerebrale che hanno a che fare con la sfera sociale ed emotiva. Il risultato è che chi legge, essendo abituato a immedesimarsi in storie di finzione, sviluppa anche un'empatia maggiore rispetto agli altri.


L'unione fa la forza. Come spiega un articolo pubblicato sul sito della BBC, gli psicologi evoluzionisti credono inoltre che le preoccupazioni dei nostri avi vissuti nel Neolitico abbiano condizionato i nostri gusti, anche in fatto di letteratura.
L'umanità si è evoluta vivendo in villaggi sempre più grandi. Per farlo ha dovuto rinunciare al proprio individualismo e collaborare con i propri simili. Le storie, secondo questa teoria, sarebbero quindi ancora oggi lo strumento con cui l'umanità tramanda le proprie norme sociali: non a caso vari studi hanno identificato proprio nella cooperazione uno dei temi centrali delle narrativa popolare in tutto il mondo.
Darwinismo letterario. Nel suo libro L'animale narrante, Brian Boyd docente dell'Università di Auckland ha messo in luce come i temi della cooperazione compaiano anche nell'Odissea di Omero: i Proci, prevaricanti e viziosi, non a caso finiscono per essere puniti da Ulisse.
La questione è giunta fino all'età moderna: lo confermano alcuni dei più noti romanzi inglesi scritti tra il XIX e il XX secolo. Chiedendo a un gruppo di lettori di giudicare i personaggi di oltre 200 romanzi di questo periodo i ricercatori hanno scoperto infatti che il principale difetto degli antagonisti era proprio la tendenza alla prevaricazione.
Nessun romanticismo. Questa teoria spiegherebbe anche come le eroine dei romanzi scelgono i loro partner. Alcune preferiscono gli uomini paterni e rassicuranti che nel lungo periodo danno più garanzie in termini di sicurezza e cura dei figli.
Altre, non disdegnano i maschi affascinanti, seppur infedeli.
Anche questo da un punto di vista evoluzionistico avrebbe una spiegazione. I partner trasmettono il loro patrimonio genetico ai figli. Se sono partner di successo ci sono buona probabilità che diano vita a una "stirpe" di vincenti. Ecco spiegato perché i cattivi della letteratura possono far battere i cuori, nonostante la loro scarsa affidabilità.
E i mostri delle storie horror o fantasy? Gli evoluzionisti si sono espressi anche su di loro: incarnano la paura del contagio e dell'epidemia. Non c'è da stupirsi quindi se molti di loro parlano una lingua diversa rispetto a quella dei protagonisti, hanno la pelle di un altro colore o appartengono a un'altra tribù. Sono infatti un elemento estraneo al clan e in quanto tale, considerato minaccioso.