Il 7 dicembre 1941, alle 6 del mattino, iniziava l'attacco aereo giapponese alla base statunitense di Pearl Harbor. Una sorpresa? Probabilmente sì, ma una cosa è certa: spinse l'America e gli americani nella Seconda guerra mondiale.
Grido di battaglia. "Tora! Tora! Tora!" (tora, in giapponese, è tigre). Alle 7:53 del 7 dicembre 1941 le parole d'ordine del capitano giapponese Mitsuo Fuchida risuonano alla radio. Dopo 2 minuti parte l'attacco aereo nipponico contro le unità militari statunitensi di stanza a Pearl Harbor, nelle Hawaii. L'effetto sorpresa dà i suoi frutti. Un paio di ore di bombardamento bastano per affondare quattro corazzate, distruggere quasi 200 aerei e fare 2.433 morti. Un attacco quantomeno inaspettato: la dichiarazione di guerra giunse alla Segreteria di Stato americana solo ad attacco iniziato, e per di più era domenica, giornata di libera uscita per i militari della base americana nel Pacifico.
Il motivo della CONTESA. Le manovre giapponesi per l'attacco, nome in codice Operazione Z, erano cominciate già da 10 giorni, mentre le diplomazie dei due Paesi erano ancora all'opera per risolvere la controversia sull'occupazione da parte del Giappone – forte della sua alleanza nell'Asse con Berlino e Roma – dell'Indocina francese (attuali Vietnam, Laos e Cambogia). Gli Usa, vedendo minacciata la propria supremazia nel Pacifico, avevano decretato per il Giappone l'embargo di materie prime e lavorati industriali.
Minuto per minuto. Il 7 dicembre 1941 alle 6 del mattino i primi 183 aerei giapponesi decollano dalle portaerei, 230 miglia (circa 370 km) a nord delle Hawaii. Un'ora dopo gli operatori radar sulla costa settentrionale dell'isola di Oahu (dove sorge la base) rilevano gli aerei giapponesi. L'ufficiale di turno però ritiene si tratti di bombardieri B-17 americani attesi per quel giorno e non dà l'allarme. Dieci minuti dopo i 167 aerei della seconda ondata decollano dalle portaerei giapponesi. Alla base non è ancora stato dato l'allarme. Gli aerei da caccia sono a terra e nessuna difesa antisiluro è stata approntata.
È domenica, e molti ufficiali sono in libera uscita. Alle 7:53 Il comandante Mitsuo Fuchida lancia l'ordine d'attacco, "Tora! Tora! Tora!", con 50 bombardieri "Val", 40 aerosiluranti "Kate", 50 bombardieri d'alta quota e 43 caccia "Zero". Vengono subito colpiti i campi di volo e le navi all'ancora. La corazzata Arizona viene affondata da una bomba che, incuneatasi nella santabarbara (il deposito di munizioni) di prua, la fa esplodere uccidendo oltre mille uomini dell'equipaggio. Alle 8:54 la seconda ondata giapponese (35 caccia e 132 bombardieri) incontra il primo fuoco di sbarramento. Viene colpita la corazzata Pennsylvania. Mezz'ora dopo l'attacco è al suo culmine: una bomba disintegra la prua del cacciatorpediniere in riparazione Shaw.
I frammenti arrivano a diversi chilometri di distanza. Alle 9:45 gli aerei giapponesi si radunano in formazione e lasciano l'obiettivo. Quattro corazzate Usa risultano affondate, altre tre gravemente danneggiate, una decina di unità minori perdute e 188 aerei distrutti. I giapponesi hanno perso 29 aerei. Gli americani contano 2.433 morti e quasi 1.200 feriti, i giapponesi 55 morti.
ATTACCO A SORPRESA? Nonostante siano passati 80 anni da quella tragica mattina del 1941, gli storici ne dibattono ancora. Fu davvero un attacco a sorpresa? Qualcuno negli Stati Uniti sapeva? Si sarebbe potuto evitare? Un'ipotesi vuole addirittura che il presidente Franklin Delano Roosevelt sapesse e che non abbia fatto nulla per evitarlo, perché in cerca di un motivo per entrare in guerra. Secondo un sondaggio condotto nel 1940, il 90 per cento degli americani era contrario a entrare nel conflitto. Ma dopo Pearl Harbor, i sentimenti dell'opinione pubblica statunitense erano del tutto cambiati.
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Articolo tratto da "Intrigo nel Pacifico", di Federica Ceccherini, pubblicato su Focus Storia 182 (dicembre 2021).