«Erano le tre del mattino. Sulla Nevskij tutti i lampioni a gas erano accesi [...]. La città era calma, calma come forse non era stata mai nel corso della sua storia; in quella notte non fu commesso un delitto, non un furto...», con queste parole il giornalista statunitense John Reed descriveva le ultime ore della Rivoluzione russa che precedettero la cosiddetta Rivoluzione d'Ottobre, il cui momento clou fu l'assalto al Palazzo d'Inverno. Si chiudevano quel giorno e in quel luogo quelli che lo stesso Reed, testimone degli eventi, definì "i dieci giorni che sconvolsero il mondo" (titolo del suo celebre reportage pubblicato nel 2019).
L'epilogo di quei giorni drammatici avvenne a Pietrogrado, che di lì a qualche anno sarebbe diventata Leningrado e poi di nuovo San Pietroburgo, nel 1991, come alla sua fondazione, nel 1703. Tutto accadde tra il 25 e il 26 ottobre 1917 - secondo il calendario giuliano usato in Russia, in anticipo sul nostro di 13 giorni: gli eventi di quei giorni determinarono la nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, nucleo di quella che nel 1922 sarebbe stata l'URSS, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Momento topico nella genesi della rivoluzione era stato l'arrivo, il 3 aprile 1917, di un treno speciale alla stazione Finlandia di Pietrogrado: una carrozza con quasi tutti i portelloni e i finestrini sigillati, anche per evitare sguardi indiscreti, passata alle cronache come vagone piombato. A bordo c'era Vladimir Lenin, carismatico capo del partito bolscevico e teorico del comunismo. Di ritorno in patria dopo anni di esilio, era determinato ad assumere la guida della scena politica russa, come scriveva nelle sue "tesi di aprile".
In quelle pagine Lenin teorizzava la necessità di dare una svolta proletaria al processo rivoluzionario in corso nel Paese. Prima di quell'ottobre c'era infatti stata la Rivoluzione di febbraio, con altri protagonisti ed esiti altrettanto rilevanti: una rivolta di matrice socialista che aveva, tra l'altro, scalzato lo zar Nicola II.
A dettare i bruschi cambiamenti del 1917 fu in primo luogo il dramma della Grande guerra, in cui i russi erano impegnati contro Germania, Austria-Ungheria, Impero ottomano e Bulgaria. Il Paese era da tempo allo stremo, e sempre più voci chiedevano l'uscita dal conflitto. Ma Nicola II se ne era infischiato, abituato come altri zar a esercitare un potere assoluto, senza ascoltare la voce del popolo. Suo nonno, Alessandro II, nel 1861 aveva abolito la servitù della gleba, ma la Russia era rimasta arretrata e sul finire del secolo il malcontento popolare aveva trovato sfogo nella nascita di vari gruppi politici, marxisti e non.
Uno di questi era il Partito operaio socialdemocratico russo. Nato nel 1898, nel 1903 si divise in due fazioni: i bolscevichi (maggioritari) e i menscevichi. I primi contestavano ai secondi un'eccessiva moderazione e un retaggio borghese. Attorno ai bolscevichi si coagulò presto la classe operaia e, in parte, quella contadina, dando vita ai primi Soviet, ovvero i consigli di lavoratori, impregnati di spirito sovversivo. Con la Rivoluzione di Ottobre e la presa del Palazzo d'Inverno, sede del governo provvisorio, si imposero definitivamente i bolscevichi.
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Articolo liberamente tratto da Ottobre rosso, di Matteo Liberti, su Focus Storia 133 (novembre 2017), disponibile in digitale.