Anche i nostri antenati del genere Homo, come i rinoceronti neri e i panda giganti, sono stati sull'orlo dell'estinzione. Questo è avvenuto a partire da circa circa 900mila anni fa quando non c'era ancora l'Homo sapiens, ma esisteva l'Homo erectus. In uno studio apparso su Science, i ricercatori sono arrivati a questa conclusione utilizzando un modello matematico per ricostruire a ritroso l'origine di determinate caratteristiche genetiche a partire dalle sequenze del genoma completo di 3.154 persone viventi, prese a campione sparse per il mondo. I risultati hanno mostrato che gli antenati umani tra 930mila e 813mila anni fa attraversarono un periodo di grave pericolo di estinzione, un collo di bottiglia genetico con soli 1.280 individui riproduttori rimasti, da una popolazione originaria stimata di 100 mila.
l'orologio genetico. Il collo di bottiglia durò circa 117mila anni e portò gli antenati umani molto vicini all'estinzione. Il fenomeno è avvenuto a causa di una serie di glaciazioni e coincide, non a caso, con un sostanziale divario cronologico nella documentazione fossile africana ed eurasiatica a oggi disponibile. Le indagini genetiche - condotte da ricercatori dell'Accademia delle Scienze Cinese, dall'Università Normale Orientale di Schangai, dall'Università del Texas e da due università italiane, la Sapienza di Roma e quella di Firenze - si basano sul principio della coalescenza e un innovativo metodo bioinformatico chiamato FitCoal.
In pratica, guardando le diverse versioni dei geni in una popolazione, è possibile datare approssimativamente quando sono emersi per la prima volta geni specifici: più tempo è trascorso, più ci sono state possibilità per diverse varianti di un gene di emergere. Stimando la frequenza con cui i geni sono comparsi nel tempo, gli scienziati possono ottenere informazioni su come le popolazioni ancestrali sono via via cresciute o si sono ridotte.
sull'orlo del precipizio. Dai genomi completi dei 3.154 individui considerati nel nuovo studio, appartenenti a 50 diverse popolazioni umane (di cui dieci africane), si è quindi risaliti ai tipi genici ancestrali che in certi punti della scala cronologica sono drasticamente calati di numero. Il tutto è stato poi combinato con i dati paleoclimatici e con quelli forniti dai fossili. Si è visto così che fra i 930mila e gli 813mila anni fa, la popolazione del genere Homo, l'umanità di allora, presente in Africa, Europa e Asia, si ridusse del 98,7%.
Una situazione paragonabile a quella di una odierna specie in pericolo di estinzione o di tante che nel passato non ce l'anno fatta, scomparendo per sempre, come la tigre dai denti a sciabola o l'orso delle caverne, vissuti nel Pleistocene e, in tempi più recenti, il dodo, uccello non volatore delle Mauricius, o il quagga, specie di zebra australe.
Il che non è un semplice paragone zoologico. Se non ce l'avesse fatta l'Homo erectus a superare la crisi, oggi non ci saremmo noi, cha da lui discendiamo. Se, come suggeriva Charles Darwin o come ha ricordato in anni recenti Stephen Jay Gould, l'evoluzione non risponde a un fine prestabilito, ma a una una serie di fortunate casualità, noi siamo una specie davvero fortunata per essere qui, adesso, e dovremmo dimostrare di esserne consapevoli rispettando di più noi stessi come intera umanità e l'ambiente.
Condizioni estreme. Quello che si presentò a partire da circa un milione di anni fa era un ambiente particolarmente duro. I cicli glaciali e interglaciali si ampliarono a livello planetario, portando molta aridità in Africa e a estinzioni in massa di grandi mammiferi. Queste avverse condizioni climatiche e ambientali resero la sopravvivenza difficile per i nostri antenati, cacciatori e raccoglitori, facendo loro sfiorare l'estinzione.
«Ciò trova conferma nell'assenza di fossili umani in quel periodo» puntualizza un comunicato della Sapienza Università di Roma. «C'è infatti una lacuna di fossili umani di circa 300mila anni che coincide perfettamente con il periodo del collasso demografico rilevato dallo studio». I fossili risalenti a prima di un milione di anni fa, sono abbondanti, ma intorno a 950mila anni fa scompaiono quasi completamente dall'intero continente africano e in Eurasia, per tornare ad aumentare solo dopo 650mila anni fa con reperti che vengono solitamente attribuiti alla specie Homo heidelbergensis.
Nuove opportunità. «Questo periodo di crisi demografica», spiega Giorgio Manzi, paleoantropologo de La Sapienza «potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione umana. Durante un bottleneck (collo di bottiglia) i normali equilibri ecologici e genetici vengono sconvolti, aumentando la probabilità che si vengano a fissare varianti genetiche inattese, contribuendo all'emergere di una nuova specie, probabilmente Homo heidelbergensis», sottolinea Fabio Di Vincenzo dell'Università di Firenze. «Possiamo considerare l'Homo heidelbergensis il vero e proprio ultimo antenato comune, ossia la forma umana che si diffuse dall'Africa in Eurasia, dando origine all'evoluzione di tre diverse nuove specie: i Neanderthal in Europa, i Denisova in Asia e noi, Homo sapiens, in Africa».
Prima che la scoperta dell'agricoltura consentisse di aumentare la popolazione umana in modo esponenziale, l'eventualità di una sua estinzione per esiguità numerica era una reale possibilità.
- Circa 70mila anni fa, la popolazione di Homo sapiens si ridusse a poche migliaia di individui, massimo 10.000, minimo 2.000. Ciò spiegherebbe la bassa variabilità genetica della nostra specie. Causa del declino sarebbe stata l'eruzione esplosiva della caldera del lago Toba, a Sumatra, che avrebbe provocato una crisi planetaria.
- Si calcola che in Africa i Sapiens erano circa 30mila quando andarono prima in Asia e poi in Europa, con almeno tre migrazioni avvenute 100mila, 70mila e 45mila anni fa.
- Il cugino uomo di Neanderthal (estinto 40mila anni fa dopo oltre 200mila anni di esistenza) era limitato numericamente. La sua popolazione complessiva stimata, molto sparsa, era mediamente di 70mila individui.
- Quasi 12mila anni fa, prima dell'agricoltura, l'Homo sapiens era ancora una specie numericamente vulnerabile con 8 milioni di presenze in tutto il pianeta. Ben lontana dagli 8 miliardi di persone che si contano oggi.