Cent'anni fa fu ucciso il nemico pubblico numero uno del fascismo: il segretario del Partito socialista unitario Giacomo Matteotti (1885-1924). A partire dal 1919 Matteotti, con in tasca una laurea in legge, si dedicò alla politica, all'inizio in ambito locale, poi come parlamentare. Fu tra i primi a intuire il pericolo che si celava dietro lo squadrismo che si stava diffondendo nelle campagne italiane, e coordinò la resistenza delle organizzazioni contadine nella sua terra d'origine, il Polesine.
Leader politico. Nel 1922, prima della Marcia su Roma, Matteotti aderì all'ala riformista nata da una scissione del Partito socialista italiano da cui era stato espulso insieme a Filippo Turati, ma fu grazie alla netta opposizione al fascismo che divenne un leader politico a livello nazionale. Nel 1923 diede alle stampe un saggio dal titolo Un anno di dominazione fascista, in cui criticava il duce per aver sostituito l'arbitrio alla legge, dividendo il Paese in dominatori e sudditi.
Triste profezia. Già vittima di una feroce aggressione nel marzo 1921, il 30 maggio 1924 il deputato Matteotti firmò la sua condanna a morte con una durissima requisitoria pronunciata alla Camera sul sospetto di brogli elettorali durante le elezioni del 6 aprile 1924 (che portarono in Parlamento la futura dittatura di Mussolini con il 66,3% dei consensi). Dopo aver contestato pubblicamente la validità del voto, disse ai colleghi in maniera profetica: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".
Aveva ragione. Pochi giorni dopo, il 10 giugno 1924, intorno alle 16.15, venne rapito dalla Ceka, la polizia segreta del regime istituita nel 1924, proprio mentre stava andando in Parlamento, dove avrebbe pronunciato un nuovo discorso alla Camera dei deputati per illustrare le sue indagini sulla corruzione del governo.
Condanna a morte. Il deputato Giacomo Matteotti venne caricato a forza su un'auto e ucciso a pugnalate dalla squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Il cadavere, seppellito in una fossa a Quartarella, a pochi chilometri da Roma, fu ritrovato circa due mesi dopo l'omicidio, il 16 agosto 1924, dal brigadiere Ovidio Caratelli. Il delitto suscitò una profonda emozione in tutto il Paese e segnò la svolta verso la dittatura, compiuta poi con le leggi fascistissime del 1925-26.
Totalitarismo. Dell'eliminazione di Matteotti, Mussolini si assunse piena "responsabilità morale e politica" con un discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925. È questa, infatti, la data d'inizio del regime dittatoriale in Italia: in quest'occasione il leader fascista ribadì davanti a tutti di essere pronto a scatenare la violenza per eliminare ogni opposizione.
E da questo momento in poi, opporsi al duce, al suo governo e al suo partito significò essere fuorilegge.
Gli agenti segreti del duce. In seguito Mussolini, per vigilare su qualsiasi iniziativa antifascista creò l'Ovra. Istituita nel 1927, era l'istituzione incaricata di reprimere ogni dissidenza, in primo luogo quella comunista. L'azione dei suoi circa 400 agenti, che si avvalevano di migliaia di informatori, restò sempre avvolta nel mistero e la sigla stessa non fu mai chiarita. Per alcuni significava Organizzazione di vigilanza e repressione dell'antifascismo, per altri Organo per la vigilanza sui reati antistatali.
Si dice che fu Mussolini stesso a inventarne il nome quando, davanti a un rapporto sull'irruzione in un covo antifascista, cancellò la parola polizia e la sostituì con Ovra. Non è escluso che il duce, da ex giornalista, abbia giocato sull'assonanza della sigla con il termine "piovra", per significare la capacità tentacolare di raggiungere ovunque i nemici.