"Complicità, omertà e pietismo fuori luogo facilitano l'azione dei delinquenti. Quindi bisogna finirla e presto: con qualunque mezzo". Si esprimeva così la stampa fascista, nell'agosto 1944, per criminalizzare la Resistenza e impedire qualsiasi sostegno ai "delinquenti", cioè ai partigiani. L'Italia centro-settentrionale, invasa dai nazisti, era allora precipitata in un vortice di violenza indiscriminata, anche a causa della Repubblica sociale italiana (Rsi), lo stato collaborazionista creato da Mussolini. Prima della Liberazione del 25 aprile, i nazifascisti scelsero infatti uno specifico tipo di azione politica e militare per inoculare nei civili il virus della paura: le stragi.
Che cosa accadde? E quante furono le vittime? La cronaca di quei drammatici mesi nell'articolo "Sangue innocente" di Simone Cosimelli, tratto dagli archivi di Focus Storia.
IL TERRORE. Dopo la caduta del regime fascista e l'armistizio annunciato l'8 settembre 1943, per l'Italia si aprì un periodo durissimo. La Penisola fu divisa in due: nel Centro-nord gli occupanti tedeschi presero possesso del territorio, con l'aiuto dei fascisti della Rsi, e nel frattempo, dal Sud, iniziò l'avanzata delle truppe angloamericane. E mentre il re Vittorio Emanuele III, abbandonando Roma, si affidò alla protezione degli Alleati (Stati Uniti e Regno Unito) sorse dal basso la resistenza partigiana.
Stragi sistematiche. Tuttavia nazisti e fascisti non si piegarono facilmente. Al contrario, proprio nel momento in cui le sorti di Hitler e Mussolini si facevano più precarie, la dominazione nazifascista si trasformò in un orrore quotidiano. Le stragi, in particolare, vennero utilizzate spesso in modo selettivo, razionale, cinico: per eliminare dissidenti e combattenti antifascisti, o i loro sodali; ma anche per intimorire e colpire la popolazione, nel tentativo di far terra bruciata attorno ai partigiani. La violenza ebbe infatti una doppia valenza: repressiva, come atto di punizione esemplare, e preventiva, come mezzo di deterrenza che avrebbe dovuto inibire atti di disobbedienza.
Accaniti contro i civili. La sola esistenza dei partigiani – prima ancora delle loro azioni – servì ai nazifascisti come pretesto per scagliarsi contro i civili. Civili che i tedeschi, del resto, guardavano con autentico disprezzo. «La strategia stragista», spiega lo storico Marco Palla, già professore ordinario all'Università di Firenze, «fu incorporata nella strategia militare tedesca e in questo senso la guerra ai civili, imposta dai nazisti col supporto dei fascisti della Rsi, fu una scelta delle forze che occupavano l'Italia centrosettentrionale. Una scelta precisa e deliberata che aveva lo scopo di impedire qualsiasi forma di opposizione.
Anche alcuni Paesi dell'Europa dell'Est subirono la stessa sorte, negli anni del secondo conflitto mondiale. Si aggiunga che i nazisti, oltre a voler punire tutti i "traditori", ritenevano che quella italiana fosse una popolazione inferiore, con una forte componente di discriminazione. E anche questo va tenuto in considerazione per spiegare l'accanimento che caratterizzò alcune delle stragi più cruente».
VIOLENZE. Rappresaglie, rastrellamenti, fucilazioni, impiccagioni: le tipologie di stragi furono molto diverse. Così come i bersagli e le aree coinvolte: partigiani o individui legati a loro, militari, prigionieri, disertori, renitenti, donne, bambini, religiosi, ebrei, minoranze, sbandati. Nell'ambito delle manovre militari avviate per stroncare la resistenza e sottomettere le zone occupate, il valore della vita venne calpestato.
Più il sostegno diretto e indiretto ai partigiani aumentava, a ragione di un'opposizione sempre più diffusa, più la ferocia nazifascista si intensificava. Aspirare alla libertà, per i nazisti e per i loro alleati italiani, divenne infatti un affronto intollerabile. E mettere in discussione l'autorità, la gerarchia e l'ordine, in molti casi aveva una sola conseguenza: una condanna a morte senza appello.
Censimento delle vittime. La strage delle Fosse Ardeatine (335 vittime), quella di Marzabotto (1.805 vittime) e quella di Sant'Anna di Stazzema (560 vittime) furono le più eclatanti, e oggi le più ricordate. Ma molti altri massacri funestarono l'Italia: basti pensare alla strage di Cavriglia (192 vittime) o a quella del Padule di Fucecchio (174 vittime). Inoltre, agli eccidi si aggiunsero torture e sevizie, deportazioni e incendi, stupri, furti o saccheggi.
La politica del terrore. Continua Palla: «La politica del terrore contro la popolazione e contro i partigiani, attuata per mano di reparti armati nazisti con l'aiuto dei fascisti, registrò tassi di violenza altissimi. Si dispiegò tra l'estate del 1943 e la primavera del 1945. Colpì molte comunità locali, si intensificò in particolari momenti, soprattutto in relazione all'andamento del conflitto mondiale e dei combattimenti sulla linea del fronte italiano, ed ebbe differenze significative a livello geografico, soprattutto tra aree urbane e aree rurali. Solo negli ultimi anni si è iniziato a far luce su quanto accaduto allora, anche grazie a una maggiore documentazione resa disponibile per gli storici. Per molti mesi, tra il 1943 e il 1945, la vita degli italiani e delle italiane fu pesantemente influenzata da una violenza inaudita».
L'ATLANTE DELL'ORRORE. Oggi grazie all'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, un progetto a cui hanno collaborato oltre 90 studiosi, esiste una banca dati che raccoglie e analizza gli episodi di uccisione intenzionale di inermi.
Sono stati censiti più di 5.600 episodi di violenza e oltre 23mila vittime, in particolar modo tra la primavera e l'estate del 1944.
Diamo i numeri. I civili uccisi nell'ambito delle stragi furono 12.788, i partigiani 6.882. I nazisti si resero protagonisti del 65% degli episodi di violenza, i fascisti del 21% e nel restante 14% dei casi si trattò di operazioni congiunte. I rastrellamenti furono 1.704, con 7.406 vittime, e le rappresaglie 975, con 6.215 vittime. Fino alla Liberazione, nell'aprile del 1945, le regioni più colpite furono Emilia-Romagna (4.536 vittime), Toscana (4.413), Piemonte (2.872 vittime), Veneto (2.311 vittime), Campania (1.406), Lombardia (1.188), Friuli- Venezia Giulia (1.098), Lazio (1.060), Liguria (876) e Marche (876).
LA VERITÀ ACCANTONATA. Nel Dopoguerra le responsabilità per le stragi non vennero del tutto definite. I processi per giudicare le autorità tedesche accusate di crimini di guerra non furono molti e, non di rado, si conclusero con assoluzioni o con la comminazione di pene piuttosto leggere. In altri casi, le indagini furono rinviate, finendo per perdersi nel tempo. A tutto questo si arrivò per ragioni diverse, ma molto incisero il cambiamento del contesto globale e l'inizio della Guerra fredda.
COLPO DI SPUGNA. Il blocco occidentale, dopo il processo di Norimberga a carico di 24 gerarchi nazisti, si concentrò infatti sull'anticomunismo. Soprattutto su impulso degli Stati Uniti, si scelse allora di sostenere la ricostruzione e il rilancio della Repubblica federale tedesca (Germania Ovest), confinante con la Repubblica democratica tedesca (Germania est) e le zone dell'Europa Orientale sotto il controllo dell'Urss. La Germania Ovest, nata nel 1949, finì quindi nell'orbita occidentale e aderì alla Nato, la principale alleanza militare fra Paesi dell'Europa e dell'America del Nord. In cambio ottenne il sostegno delle democrazie vincitrici – Usa, Regno Unito e Francia – e l'opportunità di stabilizzarsi politicamente ed economicamente. Si preferì dunque non perseguire ulteriormente i nazisti per via giudiziaria, evitando alla Germania un compito scomodo: confrontarsi ancora, e fino in fondo, con l'eredità lasciata dal nazismo.
Pasticcio giudiziario. Questo ebbe conseguenze anche in Italia, in cui peraltro si era già creata una situazione ambigua e contraddittoria. Mentre i familiari delle vittime pretendevano giustizia e una parte della magistratura chiedeva l'estradizione di militari tedeschi, la classe dirigente negava l'estradizione degli italiani accusati di crimini di guerra verso Paesi che il regime fascista aveva invaso prima e dopo il conflitto mondiale (come l'Etiopia e la Jugoslavia). Si credeva infatti, allora, che lasciar processare i militari e i civili italiani attivi sotto il fascismo avrebbe pregiudicato il ruolo internazionale dell'Italia, riaperto lacerazioni interne e messo a rischio il processo di democratizzazione.
NON TUTTO È PERDUTO. L'inserimento nel blocco occidentale offrì quindi l'occasione per prendere una decisione discutibile: non processare i nazisti che avevano seminato il terrore. Il che impedì di far luce su quanto accaduto tra 1943 e 1945 e finì per minimizzare le corresponsabilità dei fascisti della Rsi.
Nel 1994, nel corso delle indagini sull'operato del capitano delle Ss Erich Priebke, furono però rinvenuti a Roma 695 fascicoli d'indagine su crimini di guerra nazisti e fascisti, arbitrariamente archiviati nel 1960. La vicenda destò scalpore e si aprì un'intensa stagione giudiziaria, che contribuì all'accertamento della verità. Da allora molti passi avanti sono stati fatti per ricostruire uno dei momenti più bui della storia d'Italia.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?