Circa mille anni fa un gruppo di polinesiani colonizzò una piccola isola di nome Rapa Nui, uno dei luoghi più remoti della Terra, tagliando alberi, sfruttandone le risorse naturali – in parole povere, commettendo un ecocidio: questa è la storia che fino a oggi ci hanno raccontato sulla triste fine dell'Isola di Pasqua, soffocata da una popolazione che, quando gli europei sbarcarono nel 1722, si era ridotta a poche migliaia di persone.
Secondo uno studio pubblicato su Science Advances (che conferma quanto scoperto da un'altra ricerca del 2017) la questione fu ben diversa: lungi dal condurre una vita ecologicamente insostenibile, i polinesiani trovarono invece modi alternativi per sopravvivere nell'ambiente poco ospitale dell'isola, mantenendo una popolazione stabile per secoli.
Altro che collasso! Con l'aiuto di modelli di machine learning gli studiosi hanno stimato l'estensione dei cosiddetti giardini rocciosi, appezzamenti di terreni protetti da rocce dove gli abitanti coltivavano patate dolci, concludendo che questi coprivano un'area pari a meno dello 0,5% di tutta l'isola – e non, come stimato in precedenza, del 10% o addirittura del 19%. «Fu proprio tutto il contrario di un collasso: la resilienza degli abitanti permise loro di sopravvivere con risorse così limitate, adattando la propria vita all'ambiente», spiega Dylan Davis, il coordinatore della ricerca.
Isola remota e poco ospitale. L'Isola di Pasqua è probabilmente il luogo abitato più remoto della Terra: lo Stato continentale più vicino è il Cile, che si trova a circa 3.500 km a est. L'isola si estende per 163 km2 ed è fatta di roccia vulcanica: a differenza delle Hawaii o Tahiti, però, qui le eruzioni sono cessate centinaia di migliaia di anni fa, per cui il terreno non è fertile e ricco di minerali ma arido. A peggiorare le cose le maree, che si abbassano velocemente rendendo difficile la piscicoltura (diffusa invece in altre isole polinesiane).
Non più di 3mila persone. Uno studio del 2013 aveva stimato l'estensione dei giardini rocciosi basandosi su immagini satellitari a infrarossi, ma il margine di errore era molto ampio (le stime erano tra il 2,5% e il 12,5% di aree coltivate). Uno studio del 2017 aveva identificato un'area coltivata pari a 31 km2 (il 19% dell'isola); tutte queste ipotesi avevano fatto pensare agli studiosi che gli abitanti dell'Isola di Pasqua fossero un tempo 17.500 o addirittura 25.000.
Le nuove stime riducono drasticamente questi numeri: appena 76 ettari di terreno coltivato, pari a meno di mezzo punto percentuale dell'intera isola. Appena 2.000 persone avrebbero potuto sopravvivere mangiando le patate dolci così coltivate, ma probabilmente furono un po' di più (circa 3.000) poiché la loro dieta integrava anche pesce, banane, zucchero di canna e taro (un tubero simile alla patata).
«Probabilmente gli studi passati hanno confuso i numerosi recinti di rocce naturali con giardini rocciosi», spiega Davis.
Un esempio da cui prendere spunto. Non si trattò di ecocidio, dunque, ma di un perfetto esempio di adattamento all'ambiente da cui potremmo prendere spunto anche noi, che dovremo imparare a fare i conti con condizioni climatiche sempre meno favorevoli: secondo Seth Quintus, antropologo all'Università delle Hawaii non coinvolto nello studio, sopravvivere nell'antica Rapa Nui – un'isola subtropicale isolata e arida – fu una notevole sfida per gli abitanti dell'epoca.