Il 4 marzo 1999 la corte marziale di Camp Lejeune, negli Stati Uniti, dichiarò il capitano Richard Ashby e il suo navigatore Joseph Schweitzer non colpevoli per la strage del Cermis. Il pilota dei marines era alla guida del jet che tranciò i cavi della funivia in Trentino provocando venti morti. La sentenza non è appellabile e le motivazioni non sono state rese note. Vediamo allora cosa successe a Cavalese, quel drammatico 3 febbraio 1998, attraverso l'articolo "Maledetto Cermis" di Federica Ceccherini, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Un tranquillo week end di paura. Piste innevate e sole splendente. È solo il primo pomeriggio eppure è già ora di tornare a casa perché a febbraio fa buio presto sulle Alpi trentine. Così gli sciatori dalla vetta del monte Cermis (in Val di Fiemme) salgono sulla funivia che li dovrebbe riportare verso valle. A un certo punto, un rombo sordo: è un velivolo che viaggia a 700 chilometri orari e che si avvicina. Dopo poco, l'impatto.
Impatto fatale. Alle 15 e 12 i sismografi di Trento registrano qualcosa. È il momento in cui l'aereo, un EA-6B Prowler, ha ripreso quota con i motori al massimo, dopo aver tranciato con l'ala destra il cavo d'acciaio dell'impianto, in seguito a una virata improvvisa fatta forse per evitare l'ostacolo. La funivia, con a bordo 19 turisti e il manovratore, precipita per un'ottantina di metri, si schianta al suolo e scivola verso valle per altri 30 metri. Tutto avviene in pochissimi secondi. Quando arrivano i soccorsi, per i turisti e il manovratore non c'è più niente da fare.
Nel frattempo il pilota del caccia si mette in contatto con il comando della base Usa di Aviano, da dove era partito: «Abbiamo colpito qualcosa, forse uno skilift». Da Aviano viene annunciata, in una conferenza stampa lampo, una commissione d'inchiesta in tempi rapidi.
Troppo basso. Il Prowler, usato dai marine per missioni a bassa quota (allora in Bosnia), era in volo di addestramento e, già secondo le prime ricostruzioni, si trovava a una quota che violava le regole. Il velivolo avrebbe dovuto tenersi a una distanza minima dall'ostacolo più alto: il cavo della funivia in quel punto si trovava a circa 100 metri da terra. «L'aereo americano è entrato in valle molto basso», affermò un testimone oculare, «e lo abbiamo visto abbassarsi ancora quando è giunto quasi sopra alla nostra casa. Poi si è impennato improvvisamente con un bang tremendo».
Crisi diplomatica. Era il 3 febbraio del 1998 e sulla tragedia si sfiorò la crisi diplomatica. Sulla stampa italiana si scatenarono le accuse verso le basi Nato e anche le ipotesi fiorirono: il pilota voleva passare sotto il cavo della funivia; gli aerei in realtà erano due e si stavano inseguendo. Ad alzare ulteriormente la tensione furono le indiscrezioni su un video nel quale, si disse, i militari scommettevano birre sulle abilità acrobatiche del pilota. Tuttavia processare i militari in Italia non fu possibile.
Non colpevoli. Gli imputati chiamati a rispondere davanti alla Corte marziale della Carolina per omicidio colposo, inoltre, furono solo due (anche se a bordo erano in quattro): il pilota Richard Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer. A loro discolpa portarono il fatto che la funivia non era segnata sulle carte aeronautiche e che l'altimetro di bordo non funzionava. La Corte, pur riconoscendo l'eccessiva velocità e la quota bassa del velivolo, li ritenne non colpevoli.
Intralcio alla giustizia. Nel 1999 ancora un processo, questa volta per intralcio alla giustizia, per aver distrutto il "video fantasma". I due marine furono radiati dall'esercito (perdendo ogni beneficio economico) e Ashby fu condannato a 6 mesi di carcere (ne scontò 4).
Solo nel 2012 si seppe di più su quel video: Schweitzer, in un'intervista, confessò di averlo bruciato perché non voleva che le sue risa prima della tragedia fossero associate in qualche modo ai morti. Nel filmato, un souvenir da riportare in patria, sullo sfondo si vedevano le montagne: forse per questo volavano bassi? Una proposta di risarcimento dell'amministrazione Usa, 40 milioni di dollari, fu respinta dal Congresso. Nel 1999 lo Stato italiano stanziò 4 miliardi di lire per ogni vittima che gli Usa, in virtù di accordi Nato, dovettero rimborsare al 75%.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?