Oggi è l'anniversario della nascita di Nerone, il cui vero nome era Lucio Domizio Enobarbo, quinto imperatore di Roma dal 54 al 68 d.C., morto suicida a 30 anni dopo aver sterminato (quasi) tutti quelli che non gli andavano a genio.
Non solo donne. La sua vita sentimentale è più intricata della trama di un romanzo rosa: dopo il primo matrimonio (incestuoso) con la cugina di secondo grado Claudia Ottavia, sposò l'amante Poppea (dopo aver prima esiliato e poi fatto uccidere Ottavia). Della terza moglie, Statilia Messalina, si sa poco: pare fosse una donna intelligente, che sposando Nerone convolò a nozze per la quinta volta in trent'anni. Si sa poco anche del fatto che Nerone sposò anche due uomini: il primo, Sporo, era un liberto eunuco che l'imperatore era convinto fosse la reincarnazione della defunta moglie Poppea; il secondo, Pitagora, era un bellissimo giovane che Nerone sposò nel 64 vestendo i panni di moglie.
Vittoria o morte (degli avversari). Grande appassionato di sport e amante dei giochi olimpici ellenici, nel 67 Nerone prese parte a diverse gare a Olympia, nelle quali trionfò (in qualche caso, barando): vinse nella gara delle quadrighe, in quella delle quadrighe dei puledri, nel concorso degli araldi, nel tiro a dieci puledri e nelle prove per citaredi (cioè gli aedi che cantavano suonando la cetra, strumento dell'epoca simile a una piccola arpa) e per tragedi. Si narra, però, che durante una delle corse di cavalli nelle quali trionfò gli avversari si fossero fermati ad aspettare l'imperatore, caduto dal cocchio, preoccupati delle conseguenze (mortali) di una sua sconfitta.
Amava insomma così tanto le Olimpiadi che ne creò una copia per Roma, i cosiddetti Neronia, che si disputavano ogni cinque anni ed erano divisi in tre specialità: arte, ginnastica ed equitazione.
Miopia ed errori di traduzione. Se ne è dibattuto a lungo, ma pare che la famosa miopia di Nerone, rappresentata anche nel colossal del 1951 Quo Vadis (Oscar e Golden Globe 1952), non sia mai esistita. L'equivoco deriverebbe da un errore di traduzione di una frase di Plinio il Vecchio, che sarebbe stata male interpretata: lo scrittore latino infatti non avrebbe scritto che Nerone utilizzava uno smeraldo per vedere meglio i combattimenti dei gladiatori, ma che se ne serviva per ripararsi dal sole e dai riflessi dell'arena (utilizzando la pietra come una sorta di occhiale da sole ante litteram).
Incinto. Nerone è anche il protagonista di un'antica leggenda romana, secondo la quale per un certo periodo l'imperatore fu ossessionato dall'idea di avere un figlio, nel vero senso della parola.
Lo stravagante tiranno voleva infatti provare l'ebbrezza di rimanere "incinto", e minacciò di morte tutti i medici di corte che non fossero riusciti a soddisfare il suo desiderio. Impauriti, i dottori si inventarono un escamotage: gli fecero bere una miscela di sostanze soporifere insieme a un girino. L'idea era che l'imperatore, grazie a una purga, partorisse successivamente una rana.
Quando questo accadde il sovrano, pazzo di gioia, organizzò una parata, durante la quale la rana venne posta su un carro d'oro e d'argento e fatta girare per la città, scortata da una nutrice e quindici nobili. Quando raggiunsero il Tevere, però, la rana saltò via, scomparendo per sempre nelle acque del fiume. Latitans rana, rana che scappa: da questo episodio deriverebbe il nome Laterano, dove sorge la basilica di San Giovanni. Leggende a parte, fonti storiche attestano una derivazione più credibile del toponimo, ovvero il nome dell'originario proprietario delle terre, Plauzio Laterano, a cui vennero confiscate con l'accusa di aver partecipato alla congiura di Pisone, il complotto ordito nel 65 ai danni dell'imperatore.