Gli antichi Celti consumavano vino in grandi quantità e in un'ampia varietà di recipienti, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Uno studio pubblicato su PLOS ONE, basato sull'analisi del vasellame rinvenuto in un sito archeologico della Germania, confuta l'idea che bere vino fosse un lusso esclusivo dei ricchi e dei nobili.
La ricerca ha ripercorso l'evoluzione del consumo di cibo e bevande nell'insediamento celtico di Heuneberg, nello Stato tedesco di Baden-Wuerttemberg, al confine con la Svizzera: uno dei più antichi esempi di sviluppo urbano in Europa centrale nonché, tra il VII e il V secolo a.C., un importante centro di scambio culturale con molte realtà del Mediterraneo.
In questo sito è venuta alla luce una ricca collezione di recipienti per il consumo di vino importati dal sud Europa. I ricercatori dell'Università di Tubinga, in Germania, hanno estratto residui organici da 126 recipienti fabbricati a Heuneberg e di altri 7 importati dall'Attica (una regione storica dell'antica Grecia), e li hanno studiati con la spettrometria di massa e la gascromatografia, due tecniche di analisi chimica che servono a separare e individuare le componenti di una miscela. Le analisi hanno interessato calici, bicchieri, brocche e bottiglie per versare il vino, oltre a ciotole usate per la preparazione e la conservazione del cibo.
Tra le braccia di Dioniso. Anche nei recipienti locali più antichi dell'arco di tempo considerato (VII-V secolo a.C.) sono emerse tracce chimiche riconducibili al vino, nella forma di composti carbossilici a catena corta, come l'acido succinico, l'acido fumarico, l'acido malico e tartarico. Quest'ultima sostanza è presente in elevate concentrazioni negli acini d'uva (e non nella frutta che cresceva all'epoca nell'Europa centrale), mentre gli altri composti sono prodotti tipici della fermentazione.
Poiché in quest'area non sono state trovate evidenze di attività vinicola, il vino doveva essere importato da sud, e molto prima che si cominciasse a importare le raffinate ceramiche per il suo consumo. La bevanda era diffusa in tutte le case - anche nelle più popolari, situate al di fuori della cerchia fortificata in cui abitavano le élite. Le analisi hanno anche riscontrato tracce di fermentazione di altri frutti e di prodotti affini al miele, che suggeriscono la produzione di altre bevande alcoliche locali, come il sidro.
Un'abitudine costosa. Nella parte più recente del periodo analizzato, quando si diffuse l'importazione di ceramiche più raffinate dalla Grecia, si affermò invece l'usanza di bere vino principalmente da questi recipienti: il consumo di questa bevanda divenne progressivamente un modo per riaffermare il proprio status, una pratica riservata ai ceti più benestanti e che potevano permettersi recipienti esotici e finemente lavorati.
Il vasellame popolare di questo secondo periodo contiene sempre meno tracce di vino e sempre più di cibo (come miglio e latte). Questa distinzione di epoca più tarda coincide con le descrizioni della società celtica riportate dallo storico greco Posidonio di Rodi (135-50 a.C.), secondo il quale le élite celtiche bevevano vino, lasciando al popolo la birra.