Il "primo uomo" è come il primo amore: non si scorda mai. E infatti con quel passo, "piccolo per un uomo, ma gigantesco per l'umanità", Neil Armstrong (1930-2012), il primo astronauta ad aver messo piede sul suolo lunare il 20 luglio 1969, entrò di slancio nella Storia. Ma dietro l'astronauta, dietro il mito dell'eroe americano e di quella frase diventata leggendaria, che persona si nascondeva? Scopriamolo attraverso l'articolo "Sulla Luna" di Maria Leonarda Leone, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Il "primo uomo". In molti hanno tentato di scoprirlo, senza troppo successo. «Cercare di descrivere Armstrong è come guidare di notte nella nebbia. Ci sono contorni e indizi di qualcosa di solido, ma se provi a illuminarlo, la luce ti ritorna indietro e, alla fine, vedi solo quello che ti figuri di vedere: il bagliore riflesso delle tue personali aspettative», scrive il giornalista americano Andrew Smith, nel suo saggio Polvere di Luna. La storia degli uomini che sfidarono lo spazio (Cairo Editore).
Diffidente. Alto quasi un metro e ottanta, era solo un po' più robusto rispetto a quando indossava la tuta spaziale. Per i suoi amici era una persona calorosa, leale e amichevole, ma quasi tutti quelli che lavorarono a stretto contatto con lui la pensavano come Guenter Wendt, il responsabile delle piattaforme di lancio del programma Apollo: "Chiaramente non era un astronauta convenzionale, ma la maggior parte delle persone concorderebbe nel dire che non faceva amicizia facilmente".
Senza radici. Come nella miglior tradizione psicanalitica, le ragioni vanno cercate probabilmente nella sua infanzia. Il padre di Neil faceva il revisore dei conti per lo Stato dell'Ohio: a seconda di quali registri contabili dovesse ispezionare, una o due volte all'anno gli Armstrong caricavano le valige in macchina, cambiavano città e si trasferivano in una nuova casa ammobiliata. «Stringere amicizie era impossibile: per i suoi primi 15 anni di vita, l'unico punto fermo del futuro astronauta furono i genitori, premurosi e amorevoli, e i suoi due fratelli minori», sostiene Smith. Oltre, neanche a dirlo, alla grande passione per il volo.
Lezioni di volo. Si librò in aria per la prima volta a 6 anni, sul trimotore Ford di un pilota in visita nella città di Warren: suo padre gli aveva permesso di saltare la lezione di catechismo per conoscerlo. Quando la famiglia tornò a vivere a Wapakoneta, la città natale di Neil, il primogenito si era ormai trasformato nel tipico bravo ragazzo Anni '40: la scuola, il gruppo teatrale, la banda musicale, il coro e persino un gruppo jazz, i Mississippi Moonshiners.
Ma soprattutto le lezioni di volo nell'aeroporto della contea: pilotò un aereo ben prima di avere l'età per guidare un'automobile e ottenne il suo primo brevetto a soli 15 anni.
Un uomo schivo. "Un perfezionista", "un ragazzo silenzioso", con "una grande passione per la matematica, la scienza e l'astronomia": questa era l'opinione che avevano di lui i suoi insegnanti. E, crescendo, almeno in pubblico rimase così: un uomo di poche parole, per niente incline a manifestare i propri sentimenti. Eroico aviatore della Marina nei cieli della Corea del Nord, ingegnere brillante, eccezionale pilota collaudatore di aerei sperimentali, uno dei primi astronauti civili a volare nello spazio (prima con il Gemini 8, poi con l'Apollo 11), docente universitario, marito e padre: Neil Armstrong fu tante cose, ma mai un animale da palcoscenico.
Imperscrutabile. Taciturno e riservato, durante le conferenze stampa "parlava con lunghe pause, cercava le parole e, quando finalmente arrivavano, la banalità del loro contenuto faceva apparire eccessiva l'attesa […] ma attirava egualmente l'attenzione, perché era straordinariamente distaccato", scrisse di lui il giornalista e scrittore Norman Mailer. L'astronauta non godeva della simpatia dei media e quell'ostilità era ricambiata. "Doveva essere vanitoso e insicuro, visto che non riuscì mai a interagire con la stampa. Non ce la facevamo mai a parlargli, si indisponeva non appena gli rivolgevi la parola, perché quella domanda, direi qualunque domanda, lo irritava", sosteneva Reginald Turnill, storico corrispondente spaziale della Bbc.
In effetti, non sono molte le occasioni note in cui Neil si lasciò andare. Una di queste fu quando seppe, nel 1947, di aver vinto una borsa di studio per seguire i corsi di ingegneria aeronautica alla Purdue University. «Si racconta che quando aprì la lettera lanciò un grido di gioia così forte che sua madre si lasciò cadere un vaso sul piede e zoppicò per giorni», ricorda Smith.
Sangue freddo. In ogni caso la sua freddezza gli fu spesso utile. Per esempio durante la Guerra di Corea, dov'era finito, nel 1950, come aviatore della Marina: ne tornò con tre medaglie al valore e la storia di come era riuscito a rientrare da una missione su un aereo con un'ala semidistrutta. I nervi saldi gli salvarono la vita anche durante il suo primo volo spaziale, al comando dell'ottava missione Gemini (il secondo programma statunitense di volo umano nello spazio, l'immediato predecessore del programma Apollo).
Incidenti spaziali. Come concordato, effettuò l'aggancio in orbita con un razzo, ma un propulsore ausiliario si ruppe.
I due veicoli spaziali cominciarono a ruotare su loro stessi, poi si separarono continuando a vorticare alla velocità assurda di un giro al secondo. Armstrong e il suo collega David Scott, sballottati da ogni parte, avrebbero perso presto i sensi: il rischio era di rimanere senza abbastanza carburante per tornare indietro. Ma il comandante riuscì a riportare la navicella sotto controllo. Quasi nessuno, alla Nasa, fu in grado di guardare le riprese della cabina di pilotaggio senza sentirsi male. Ma il direttore di missione notò stupito che la voce di Neil "era rimasta per tutto il tempo incredibilmente calma".
Peggiore di quello sul Gemini 8 fu l'incidente con il simulatore di volo del modulo lunare Lem, un pezzo di ferraglia che gli astronauti avevano ribattezzato il "letto volante". Nel 1969, mentre Armstrong lo pilotava a 30 metri di altezza, il "letto" si inclinò e cominciò a precipitare. Anche allora Neil cercò fino all'ultimo di stabilizzarlo: si eiettò giusto 4 decimi di secondo prima che il trabiccolo prendesse fuoco. Unica ferita: un morso alla lingua.
Problemi tecnici. Persino sull'Apollo 11 riuscì a dar prova di sangue freddo: a 1.800 metri dalla superficie lunare, il computer di navigazione si bloccò. Allora Armstrong, che non avrebbe mai rinunciato alla missione, atterrò con i comandi manuali sul Mare della Tranquillità. Il tutto mentre, dalla base, un controllore di volo scandiva, con angoscia sempre maggiore, i pochi secondi rimanenti prima che il carburante rimasto non fosse più sufficiente a riportare il Lem indietro, sul modulo di comando che attendeva in orbita lunare.
Un lutto profondo. Nelle foto scattate prima e dopo quella famosa missione, l'ormai quasi quarantenne comandante non dimostrava più di 25 o 26 anni. Eppure quella faccia da ragazzino, liscia e senza rughe, nascondeva i segni che la vita gli aveva lasciato: il più brutto, la perdita dell'unica figlia femmina, Karen. La bambina era morta di polmonite il 28 gennaio 1962: l'anno prima le era stato diagnosticato un tumore maligno al tronco encefalico, che le aveva tolto la possibilità di camminare e di parlare.
Star per caso. Sei mesi dopo quella tragedia, Armstrong fece domanda per entrare a far parte del gruppo di aspiranti astronauti che la Nasa stava mettendo insieme per i programmi Gemini e Apollo. Una decisione che, sette anni più tardi, lo condusse sulla Luna e gli portò centinaia di offerte di agenti, produttori cinematografici, aziende in cerca di sponsor e politici in cerca di candidati.
Le rifiutò quasi tutte. E invece di approfittare di quella fama enorme e improvvisa, l'anno dopo lo sbarco smise di volare nello spazio e accettò un lavoro d'ufficio alla Nasa Da lì diede le dimissioni nel 1971, per occupare la cattedra di ingegneria aerospaziale che gli era stata offerta all'Università di Cincinnati e trasferirsi in una fattoria. Nel giro di 8 anni lasciò anche quell'incarico e scomparve dalla vita pubblica.
Ritiro prematuro. Un fatto su cui, nel 1984, in occasione del venticinquesimo anniversario del primo allunaggio, ironizzarono molti quotidiani: "Nell'Ohio rurale, Armstrong vive tranquillo sul suo lato nascosto della Luna", scrisse il New York Times. Smise persino di concedere autografi, quando scoprì che venivano rivenduti a cifre esorbitanti e che esisteva un mercato di falsi. Tuttavia quest'eroe riluttante non è mai riuscito a farsi dimenticare: lo dimostra il film biografico First man (2018).
"Per coloro che potrebbero chiedersi cosa possano fare per onorare Neil", diceva il comunicato stampa della famiglia alla morte dell'astronauta, "abbiamo una semplice richiesta. Onorate il suo esempio di servizio, il traguardo e la modestia. E la prossima volta che vi capiterà di camminare all'aperto in una notte chiara e di vedere la Luna sorridervi, pensate a Neil Armstrong e fategli l'occhiolino". Magari lui vi saluterà da lì.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?