Ascesa e caduta di un mito: il 23 novembre esce nelle sale Napoleon, l'ultima pellicola di Ridley Scott. A impersonare Napoleone, Joaquin Phoenix, diviso tra la burrascosa passione per la moglie Giuseppina de Beauharnais e la carriera militare, che lo vide protagonista di tante battaglie, come la vittoria di Austerlitz e la disfatta a Waterloo. Ma qual è stato il segreto del successo del generale còrso? Scopriamolo attraverso l'articolo "Un sogno imperiale" di Maria Leonarda Leone, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Selfmade man. Imperatori si nasce, ma Napoleone, immodestamente, non lo nacque. Genio della strategia militare, fiero e carismatico, Bonaparte fu un selfmade man, uno di quegli uomini che si sono fatti da soli, venuti su dal basso spinti dalla loro voglia di essere qualcuno. Da "qualcuno" a imperatore dei francesi la strada è lunga. Ma Napoleone quando decise di percorrerla? Si incamminò fin da piccolo, come quei bambini che finiscono per fare, da grandi, quello che avevano scritto nel tema delle elementari, o ci si ritrovò per caso, guidato dalle sue innegabili doti di comandante e dalle contingenze storiche? A sentir lui, non aveva la benché minima idea di dove volesse arrivare. E non solo da ragazzo, quando il suo sogno era soltanto quello di diventare scrittore.
Fin dove vuoi arrivare? "Al tempo del Consolato (1799-1804) alcuni veri amici mi domandavano, con le migliori intenzioni e per potersi regolare, dove volevo arrivare. Risposi sempre che non lo sapevo. Ne rimanevano colpiti, forse delusi e tuttavia dicevo loro la verità. Più tardi, nel periodo dell'Impero, [...] molti visi sembravano pormi la stessa domanda e io avrei potuto dar loro la stessa risposta. Non ero padrone delle mie azioni perché non ero così folle da voler forzare gli avvenimenti secondo il mio sistema, al contrario piegavo il mio sistema sul contesto imprevisto degli avvenimenti", scrisse nel suo Memoriale di Sant'Elena. La parola di Bonaparte, che seppe usare al meglio le bugie o l'addomesticamento della realtà per rincorrere il potere, non è sempre attendibile. Ma stavolta il generale non si discosta troppo dalla verità.
contraddizioni. Incerto sull'avvenire, era però convinto, come diceva spesso, che "nello zaino di ogni soldato si trova un bastone da maresciallo". Intendeva dire che tutti in Francia, dopo la rivoluzione, avevano la possibilità di farcela secondo le proprie capacità, a prescindere dalla nobiltà della loro nascita.
E lui ne era l'esempio più lampante. Malinconico e arrogante, egocentrico e un po' complessato, sognatore e realista, ma soprattutto "straniero" (era nato nel 1769 in Corsica) in casa degli oppressori della sua terra, Napoleone era un uomo dalle mille contraddizioni.
rancori e ambizioni. Il futuro imperatore dei francesi pare fosse stato un bambino vivace, membro di una famiglia di non altissimo rango. Poco brillante negli studi, durante la difficile adolescenza nel collegio militare francese di Brienne–leChâteau si era rifugiato nei libri degli autori classici latini, tra i suoi eroi, i grandi romani alla Giulio Cesare. «Si è molto considerata la psicologia di Napoleone, ragazzino di 9 anni che sbarca in Francia senza sapere una parola di francese, viene trattato male dai compagni e matura una voglia di riscatto nei confronti di quel mondo che sente ostile. Ma credere che all'epoca già progettasse di diventare imperatore è del tutto improbabile: il successivo scenario storico non era prevedibile, perché la rivoluzione sarebbe scoppiata solo una decina di anni dopo», spiega Vittorio Criscuolo, docente di Storia moderna all'Università di Milano e tra i maggiori studiosi italiani di Napoleone.
Ego e complessi. Sul carattere di Bonaparte è stato detto di tutto: alcuni sostengono che soffrisse di bipolarismo, come molte menti geniali del passato e del presente, mentre lo psicoanalista Alfred Adler (1870- 1937) diede il suo nome a una forma specifica di complesso d'inferiorità, la "sindrome del nano". Di sicuro Bonaparte era dotato di una bella dose di megalomania ed egocentrismo, coltivati fin dalla più tenera età insieme alla volontà implacabile di superare ogni ostacolo a dispetto di chi lo aveva disprezzato. A questo incandescente mix caratteriale, che lo portò a indossare la corona di imperatore, si aggiunse l'abilità militare.
Figlio della rivoluzione. Fu la Rivoluzione francese (1789) a dargli la possibilità di imporsi con una serie di trionfi militari, soprattutto negli anni successivi, durante la guerra civile. Leggenda vuole che, il 5 ottobre del 1795, il còrso avesse spazzato via a colpi di cannone i monarchici insorti contro il Direttorio, l'organo di governo collegiale allora a capo della Francia. Quest'impresa segnò l'inizio del viaggio che lo avrebbe portato al potere assoluto. Cinque mesi dopo, nominato comandante generale dell'Armata d'Italia, sconvolgendo tutti i piani del governo sconfisse gli austriaci a Lodi il 10 maggio 1796 e l'anno dopo strinse una tregua col trattato di Campoformio.
"Solo dopo Lodi", annotò il generale in una pagina del Memoriale, "mi venne l'idea che avrei potuto diventare un attore decisivo sulla nostra scena politica".
Colpo di stato. L'esaltazione di quella scoperta fu tale che "vedevo il mondo fuggire sotto di me, come se fossi portato per l'aria". al potere. Quella ventata di megalomania lo condusse al potere, il 9 novembre 1799, con un colpo di Stato. Si dice che i francesi lo accolsero con entusiasmo, certi che il generale sarebbe riuscito a riportare la pace a Parigi dopo 10 anni di guerra. Per questo permisero ai cospiratori di rovesciare il Direttorio e di sostituirlo con tre consoli provvisori. Napoleone, che aveva in mano l'esercito, ebbe il ruolo di primo console: che i parigini se ne rendessero conto o meno, il generale possedeva adesso più potere di quanto ne avesse il re Luigi XVI prima della rivoluzione. E lo usò senza risparmio, convinto, come lo era stato ai tempi di Robespierre, che solo un regime autoritario fosse in grado di assicurare l'ordine, la coesione nazionale e la vittoria nella guerra alle altre potenze europee.
propaganda. Obbiettivi che in effetti riuscì a raggiungere a tempo di record, insieme alla carica, il 2 agosto 1802, di console a vita. «Napoleone è diventato Napoleone dopo la rivoluzione, ma non fu il solo generale a imporsi grazie agli strumenti, primo fra tutti l'esercito, che quell'evento gli aveva fornito. Rispetto agli altri, però, lui ebbe il genio organizzativo, le doti di statista, l'abilità di usare la propaganda», osserva Criscuolo. Qualche esempio? Fondò (e chiuse) giornali, cercò l'appoggio dei letterati e mise a tacere, con bavagli ed esili, chi lo criticava; oltre a sfruttare l'arte e la pittura per esaltare la propria immagine, proprio come facevano gli antichi imperatori romani.
tiranno? La scrittrice francese Madame de Staël provò sempre una viscerale antipatia nei suoi confronti, sostenendo che "Per lui non c'è che lui [...] i suoi successi sono dovuti più alle qualità che gli mancano che al genio che possiede", ma anche chi ci aveva creduto reagì indignato quando il primo console si proclamò imperatore. Ludwig van Beethoven che gli aveva dedicato la sua terza sinfonia, l'Eroica, quando seppe dell'incoronazione sbottò: "Anche quello non è dunque altro che un uomo comune? Adesso calpesterà tutti i diritti dell'umanità e seguirà soltanto la sua ambizione; si metterà al di sopra di tutti gli altri e diventerà un tiranno".
Imperatore fai-da-te. Il compositore non si sbagliava troppo. Ormai sovrano assoluto della Francia, dopo aver ottenuto la nomina dal Senato in maggio, si incoronò imperatore il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Ma, ci teneva a sottolinearlo, non era un monarca come quello rovesciato dalla rivoluzione, "re di Francia e di Navarra per grazia di Dio": lui era l'"imperatore dei francesi per volontà del popolo". In effetti, però, le differenze con la testa coronata rotolata ai piedi della ghigliottina 12 anni prima finivano più o meno qui. E a ben vedere, della Corona ferrea dei Longobardi e di Carlo Magno, che indossò proclamandosi re d'Italia nel 1805, disse: "Dio me l'ha data, guai a chi la tocca".
Frutto del caso? A 35 anni, Napoleone governava dunque sullo Stato più forte d'Europa, i cui confini aveva esteso come mai prima d'allora; il resto degli Stati europei era o suo satellite o suo alleato. Nessuno, e probabilmente neppure l'imperatore, aveva previsto questi eccezionali risultati. «Si dice avesse immaginato di costruire un tipo di impero sul modello carolingio, dando l'amministrazione dei territori conquistati ai parenti, come Stati vassalli, ma che poi si pentì e, con la nascita di suo figlio, centralizzò il potere per lasciarlo all'erede, secondo un modello più romano di impero», spiega Criscuolo. «Ma queste sono solo elucubrazioni: in realtà Napoleone decise cosa fare, anche quando si trattava di guerra, sempre basandosi sulle situazioni contingenti». Un po' come aveva fatto per tutta la sua vita.
oltre il limite. I 10 anni che lo separavano dall'abdicazione del 6 aprile 1814 furono un susseguirsi di matrimoni, alleanze e guerre con le maggiori potenze europee, fino al primo tragico epilogo a Lipsia (1813) contro l'alleanza antifrancese, seguito dalla definitiva disfatta di Waterloo (1815). Il trascorrere del tempo, le preoccupazioni e gli impegni di governo, l'amministrazione dell'impero non cambiarono solo l'aspetto di Napoleone, appesantendolo e dandogli una precoce calvizie, ma anche la sua personalità: l'ambizione e l'orgoglio prevalsero su ogni altro tipo di sentimento. «La sua ambizione è al centro della grande domanda che si pone la storiografia: perché non si è fermato? Si poteva stabilire un limite? E se anche fosse successo, Austria e Prussia avrebbero accettato la presenza in Europa di una Francia nutrita dallo spirito rivoluzionario?», si chiede Criscuolo.
Tradito. D'altra parte, gli stessi francesi, oltre agli altri Stati europei, erano stanchi di quell'aggressivo figlio della rivoluzione: l'ordine interno, ormai ottenuto, non giustificava più il ferreo autoritarismo imperiale.
Nel 1815 la forza del destino spezzò Napoleone con gli stessi mezzi con cui nel 1800 l'aveva fatto trionfare: i soldati e i borghesi gli voltarono le spalle. E lui, che nei momenti di sconforto aveva vagheggiato il suicidio, a Sant'Elena si chiese: "Non credete che sarei dovuto morire a Mosca? La mia gloria militare sarebbe stata senza sconfitte, la mia carriera politica senza esempio nella storia del mondo". Per sua fortuna non fu così: da aspirante scrittore avrebbe dovuto sapere che, senza un finale tragico, la sua storia non avrebbe avuto lo stesso successo.