Storia

Moche, la civiltà del sesso

Mentre Roma fondava il suo impero, in Perù vivevano i Moche, un popolo dai tratti enigmatici e con una religione basata sul sesso.

Il loro vero nome è ancora un mistero, nessuno lo conosce ancora. Gli archeologi li chiamano Moche (o Mochica), ma sono nomi convenzionali, presi dal fiume Moche sulle cui rive si è sviluppata la loro civiltà. Visserò in Perù, tra il 100 a.C. e il 740 d.C, più o meno nello stesso periodo in cui in Europa si è andati da Gesu Cristo a Carlo Magno.

La loro fu una delle più antiche civiltà del nuovo mondo, nata e cresciuta molto prima di quelle degli Aztechi e degli Incas. Abili agricoltori (coltivavano mais e patate nel deserto), coraggiosi marinai (avevano sfidato l’oceano, andando a pesca con fragili barche di giunti) e impavidi guerrieri (erano armati solo di mazze di rame e tatuaggi portafortuna) sono famosi soprattutto perché il sesso era parte integrante della religione. I morti e gli dèi passavano il tempo a fare l’amore, non per piacere bensì per mantenere l’equilibro della vita.

Intrecci. Questa è la tesi degli studiosi che hanno analizzato le sculture di questa civiltà che raffigurano atti sessuali realistici tra vivi, defunti e dèi. Atti sessuali privi di carica erotica, in quanto non riferiti alla vita quotidiana ma a una cosmogonia religiosa in cui sesso, morte e sacrificio erano intrecciati.

I Moche, infatti, credevano che il cosmo fosse formato da 3 dimensioni in contatto: quella dei vivi, quella dei morti e quella degli dèi. «Le scene di sesso tra vivi e defunti sono la celebrazione degli scambi tra gli abitanti del cosmo» sostiene l’antropologa Anne-Christine Taylor. «Il sesso era il motore che permetteva ai 3 mondi di restare in contatto»

Museo vietato ai minori. L'archeologo Maximo Terrazos racconta che quando, oltre 50 anni fa, aprì la porta di una stanza del seminterrato del Museo di Archeologia di Lima rimase a bocca aperta: davanti a lui si spalancò la vista di 1.500 ceramiche incise dalla popolazione Mochica. Tutti quei vasi, boccali, brocche, e vari oggetti, prelevati da sarcofaghi di adulti, donne e bambini, ritraevano scene porno: masturbazione di gruppo, atti di sodomia, orge, sesso orale, accoppiamenti con scheletri, ranocchie, ermafroditi, e molto altro.

Le ceramiche, insieme alle mummie di alcuni defunti, sono tra i pochi resti di questa civiltà che non conosceva la scrittura e che ha lasciato poche tracce del suo passaggio.

Sacrifici umani. Una visita alla sezione erotica del museo di Lima però può trarre in inganno. I Moche non erano soltanto degli insaziabili edonisti come potrebbero apparire.

Le decorazioni di altri vasi descrivono raccapriccianti sacrifici umani, con sacerdoti intenti a bere sangue umano da coppe rituali.

Una rappresentazione del Decapitador (Il tagliateste), con la testa del sacrificato in mano. I sacrifici e il sangue servivano per propiziarsi gli dèi e i raccolti.

Orge e sodomia. I Moche non erano i soli a essere sessualmente spregiudicati. Lo furono anche i successivi Incas, e gli Aztechi messicani. L’esploratore spagnolo Bernal Díaz del Castillo (1492-1584) così descrisse gli indigeni: “per la maggior parte erano tutti sodomiti. Alcuni vestivano addirittura con abiti da donna per guadagnare denaro con quell’atto diabolico e abominevole”.

Nel 1570 lo stupefatto viceré del Perú Francisco da Toledo si accorse che sodomia, masturbazione e la pratica quechua chiamata “matrimonio di prova” erano diffuse in varie regioni, e per estirpare questi vizi ordinò che gli sporcaccioni ricevessero 100 frustate a testa.

Ci fu però chi, come gli aztechi e gli zapotechi, introdusse dei limiti: secondo la fede animista azteca, per esempio, l’attività sessuale precoce ed eccessiva faceva ammalare e morire; l’adulterio provocava l’emissione di un miasma dal fegato, nocivo per chiunque si accostasse al peccatore. E, molto spesso, il deterrente funzionava.

12 febbraio 2016
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