A scorrere le cronache, i nomi e le azioni delle donne nell'epoca eroica del volo spuntano ovunque. E questo testimonia la loro passione, ma anche la simpatia con cui furono accolte all'inizio dal mondo maschile dell'aviazione. Eppure, molto presto il contributo delle pioniere è stato oscurato, e le loro nipoti hanno dovuto partire da zero per riconquistarsi il diritto di pilotare aerei civili e militari. Fra tutte, si è guadagnata un posto speciale l'americana Amelia Earhart (1897-1937), per una combinazione vincente di successi aviatori, fascino personale e – purtroppo – morte precoce e misteriosa. Perché morire giovani, si sa, cristallizza il mito di una persona nel momento del suo massimo fulgore, e il mistero fa sì che se ne torni a parlare in eterno. Scopriamo l'avventurosa vita di Amelia Earhart attraverso l'articolo "L'ultimo volo", tratto dagli archivi di Focus Storia.
DALL'ATLANTICO AL PACIFICO. La sorte di Amelia Earhart, la donna che per prima trasvolò l'Atlantico e poi scomparve nel Pacifico, è tuttora un "cold case", nonostante una controversa perizia medica del 2018, su ossa che poi (a loro volta, e perversamente) sono scomparse. Secondo Gregory Alegi, docente di Storia dell'aeronautica all'Accademia militare, il destino di Amelia Earhart è un mistero longseller, sul quale non mancano le rivelazioni più o meno frequenti. E non c'è una soluzione ufficiale. Abbondano infatti le teorie più varie, incluse quelle secondo cui Amelia si è salvata su qualche isoletta, magari per finire prigioniera dei giapponesi (stava per scoppiare la Seconda guerra mondiale). E il ritrovamento di alcune ossa non ha aiutato più di tanto.
TALENTO NATURALE. A dimostrazione di quante donne operassero agli albori dell'aviazione c'è il fatto che a insegnare a volare a Amelia Earhart, nel 1920, cioè pochi anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, fu proprio una donna, un'istruttrice professionale di nome Neta Stook, che di Amelia disse in seguito: "Non mi ha dato molto da fare. Si alzava da terra e volava. Tutto qui". Un talento naturale. Casomai, se Amelia aveva un difetto come pilota, era di essere fin troppo sicura di sé: «Era famosa per la sua guida disinvolta e i suoi atterraggi al limite dell'incidente», racconta la sua biografa Cristina De Stefano. «Le piaceva fare lo slalom con l'aereo fra gli alberi, passare bassa sotto i fili del telefono. E usava la radio quasi solo per ascoltare la musica».
Spesso trascurava di comunicare la sua posizione, e questo, in un'epoca pre-radar, ebbe forse un peso nella scomparsa in mezzo al Pacifico.
Tetto di cristallo. Per quanto dotate, le donne negli Anni '20 e '30 urtavano contro un tetto di cristallo quando desideravano volare, perché non erano ammesse all'addestramento militare, che forniva agli uomini l'accesso diretto agli aerei più aggiornati. Alle ragazze toccava pagarsi da sé la pratica sui piccoli velivoli degli aeroclub. Così Amelia si arrangiò a fare soldi iniziando mille mestieri (segretaria, fotografa, assistente sociale), ma quando si spinse fino a lavorare come camionista sua madre intervenne con decisione e investì un'eredità nell'acquisto di un piccolo aereo. Fu la svolta: Amelia lo dipinse di giallo canarino e cominciò a guadagnarsi da vivere con spericolate esibizioni di volo, a quell'epoca molto popolari.
SOLO SUCCESSI. La Earhart era bella, oltre che brava, e questi due elementi ne fecero la beniamina di stampa e cinegiornali. Risultato? Nel 1928 un pilota che stava organizzando una trasvolata dell'Atlantico, sulla rotta di Charles Lindbergh (che aveva compiuto l'impresa un anno prima), le propose di aggregarsi alla spedizione. Amelia partecipò, ebbe successo, fu ancora più osannata, ma poi volle riaffrontare da sola l'Atlantico nel 1932. Ci riuscì, e quella fu la sua apoteosi, ma lei non si fermò: andò a caccia di nuove imprese e nuovi record aviatori e ne collezionò parecchi. Incontrò un solo insuccesso, ma fatale. Nel 1937 Amelia intraprese un giro del mondo di 47mila chilometri. Ne aveva percorsi 35mila e mancavano solo gli ultimi balzi attraverso il Pacifico quando avvenne la tragedia.
Il 2 luglio decollò da Lae, in Nuova Guinea, diretta a un atollo chiamato Howland, dove non arrivò mai. In prossimità dell'ora prevista di atterraggio Amelia comunicò di essere a corto di carburante e di non riuscire a vedere la nave militare che avrebbe dovuto servirle da riferimento. Le comunicazioni successive furono frammentarie, ma diedero l'idea che fosse fuori rotta. Sull'aereo non era sola, aveva un navigatore, però né lui né lei avevano dimestichezza con una nuova apparecchiatura di rilevamento montata sul velivolo: ci furono difficoltà di taratura prima del decollo e pare che un'antenna fosse stata accorciata per un problema tecnico.
TUTTO INUTILE. Oggi questo suona come improvvisazione e incoscienza. Ma per l'epoca era un modo di fare ordinario, ci si arrangiava.
Nelle imprese estreme, gli aerei subivano frequenti guasti in volo, o addirittura perdevano pezzi (erano accadute entrambe le cose nelle due trasvolate di Amelia sull'Atlantico), ma si proseguiva lo stesso. Durante le ricerche, dopo la scomparsa della Earhart nel Pacifico, si scoprì addirittura che le mappe di quella zona erano sbagliate: un'isola aveva forma diversa rispetto a quanto disegnato, e questo avrebbe ingannato chi l'avesse cercata dall'alto come riferimento.
Soprattutto, all'epoca non esistevano i radar: quando Amelia smise di trasmettere alla radio sparì dal mondo. Qualche crepitìo radio fu percepito nei giorni successivi, accendendo la speranza che l'aviatrice e il suo navigatore avessero compiuto un atterraggio di fortuna su qualche atollo, ma un'enorme campagna di ricerca con 9 navi e 66 aerei non diede esito. Addio, Amelia...
LE RICERCHE. Eppure il sipario non calò: da 85 anni si cerca di dipanare il mistero. L'attenzione si concentrò sull'atollo disabitato di Gardner, oggi Nikumaroro, nello Stato di Kiribati. Qui furono trovate, nel 1940, alcune ossa, attribuite poi a un uomo. Nel 2018 una nuova perizia le attribuì a una donna della corporatura di Amelia, ma la contro-perizia fu possibile solo sulla carta, perché le ossa nel frattempo erano scomparse e diversi medici legali contestarono la validità delle conclusioni. Il ritrovamento di un altro osso nel 2010 non servì nemmeno a stabilire se si trattasse di un reperto umano o di tartaruga.
IN MANO AI GIAPPONESI? Ma l'aereo, che fine avrà fatto l'aereo? Quello avrebbe dovuto lasciarsi dietro un grosso relitto (a meno che non sia scomparso negli abissi, ovviamente). Ogni tanto in quella zona del Pacifico si trovano una carlinga o un'ala (grande clamore fece un presunto ritrovamento nel 2012), ma nulla è mai stato collegato in modo definitivo con Amelia Earhart. Sono fiorite quindi le teorie complottiste. C'è chi dice che lei sia andata fuori rotta di proposito, nell'ambito di una missione americana di spionaggio, per sorvolare e fotografare basi militari giapponesi, che effettivamente esistevano.
Dagli archivi di Washington non è mai emersa alcuna conferma. Certo, se anche Amelia non fosse stata una spia, potrebbe essere stata ritenuta tale dai giapponesi: se fosse caduta nelle loro mani, dopo averla interrogata o forse torturata si saranno forse resi conto che lasciarla andare sarebbe stato imbarazzante, a maggior ragione se innocente. Sulla sua eventuale prigionia e uccisione per mano giapponese ci sono presunte testimonianze oculari, ma nessuna prova.
PRESAGI. Resta da segnalare un presagio di morte della stessa Amelia, poco prima del viaggio fatale: "Quando me ne andrò", disse, "vorrei che fosse sul mio aereo. E in fretta".
E ancora: "Ho sempre avuto una sola ossessione, un piccolo e molto femminile orrore di diventare vecchia. Quindi non mi sentirò del tutto defraudata se non torno". A quarant'anni era ancora forte e bella, ma sentiva vicino il viale del tramonto. Chissà che un senso inconscio di fine non l'abbia portata a commettere – come insegna la psicoanalisi – qualche inconsapevole errore. Ipotesi indimostrata e indimostrabile, come tutte le altre.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?