Le abbiamo trovate descritte nei libri di scuola con poche notizie, o incontrate nei film con le loro vesti candide, sullo sfondo di trame epiche, mentre curavano un fuoco sacro o vaticinavano per conto di qualche condottiero romano. Ma chi erano davvero le vestali? Intanto non leggevano il futuro e, per stessa volontà delle autorità, erano ravvolte nel mistero.
Di loro anche gli studiosi moderni non ne sapevano molto. Fino a tempi recenti, quando in una bancarella di libri usati di Roma uno storico ha trovato un vecchio libro di 90 pagine, di tale A. G. Frigerio, un ricercatore ottocentesco che si prese il compito di raccogliere le notizie disponibili sulle vestali sparse negli scritti di decine di autori latini, dai "soliti" Tito Livio, Ovidio, Seneca, Plinio e Cicerone, ai forse meno noti Dionisio di Alicarnasso, Properzio e Lucano. Lo storico moderno autore dello scoop librario si chiama Luigi Manzo e ha ripubblicato e commentato l'antico testo di Frigerio Storia delle vestali romane e del loro culto con la casa editrice Agora & Co.
IL VALORE DEL FUOCO. «Anzitutto erano chiamate vestali perché erano le sacerdotesse di Vesta, dea meno conosciuta di Giove, Minerva o Nettuno, ma che secondo il mito era loro sorella, figlia di Crono e di Rea», spiega Manzo. «La particolarità di Vesta è che veniva identificata proprio con il fuoco sacro». La cosa interessante, con buona pace degli dei dell'Olimpo, è che il fuoco sacro era il culto più intimo dei Romani, forse di origine locale.


«Era il principio della vita e del creato, un elemento solare. Una volta spento per incuria o poca devozione, sarebbe finita la civiltà romana. Questo credevano le autorità, a prescindere dalle avvincenti storie su divinità dalle sembianze umani da divulgare al popolo», continua lo studioso. L'élite aveva insomma un principio animista come fondamento della religione dello Stato: il fuoco inteso come energia vitale primaria.
Per custodirlo al meglio, Numa Pompilio (754- 673 a.C.), il secondo re di Roma, istituì l'ordine delle vestali, composto da 4 vergini. Negli scritti degli autori latini consultati da Frigerio, il mito di fondazione elaborato da Numa faceva risalire la prima vestale a Rea Silvia, madre di Romolo e Remo. Servio Tullio, secondo Plutarco (o Tarquinio Prisco, per Dionisio di Alicarnasso) , portò poi a 6 il numero delle sacerdotesse di Vesta.


ALTRO CHE RINCHIUSE. A stabilire chi aveva la stoffa per diventare vestale, era il pontefice massimo, il capo dei sacerdoti: la scelta, fra 20 candidate tra i 6 e i 10 anni, cadeva su figlie della nobiltà romana, che dovevano avere entrambi i genitori in vita (meglio se di prime nozze) ed essere prive di difetti fisici.
Il loro incarico durava 30 anni durante i quali dovevano rispettare, senza eccezioni, la castità. Un prezzo ben ricompensato dallo Stato romano. Le vestali non erano certo monache di clausura: erano fornite di una dote personale e di schiavi. Partecipavano a feste e spettacoli teatrali e circensi con posti d'onore riservati. Giravano in lettiga o su cocchi fastosamente decorati, precedute dagli auguri, che le facevano spazio tra la folla con picche e fasci.
LETTERALMENTE INTOCCABILI. Nessuno poteva toccare, anche incidentalmente, una vestale. Se un magistrato la incrociava, doveva cederle il passo. Se sulla loro strada capitava un detenuto, ancorché diretto al luogo dell'esecuzione, veniva graziato. La vestale doveva solo dichiarare che l'incontro era venuto per caso.
Tale era la considerazione per queste sacerdotesse che erano le uniche donne a potere testimoniare ai processi, la loro intercessione poteva fare assolvere persone pesantemente indiziate e si ricorreva a loro anche per risolvere i conflitti interni, come avvenne fra Silla e Cesare. Non solo potevano fare in qualsiasi momento il loro testamento (cosa altrimenti riservata a donne di una certa età con almeno tre figli) ma potevano testare per altri. Avevano infine l'onore di avere una tomba dentro le mura della città.
CUSTODI DI UN SEGRETO. L'altra faccia dei privilegi era il rispetto assoluto dei doveri. Il fuoco sacro era tenuto in un edificio circolare del Foro romano, in un'ara con dei vasi di terracotta. Non doveva mai spegnersi, se non all'inizio di marzo, primo mese dell'anno nel calendario romano. Per riaccenderlo le vestali ricorrevano al Sole, concentrandone i raggi in uno strumento conico di ottone lucido, in analogia con gli specchi ustori di Archimede. Il fuoco infatti era considerato parte o emanazione del Sole e con questo doveva riaccendersi.
Se per negligenza si spegneva, erano associate svariate sventure. E la vestale responsabile era punita con la fustigazione. «Nel libro antico recuperato al mercatino, si scopre anche che le vestali avevano il compito delicatissimo di conservare in segreto il Palladio, la statua lignea di Pallade Atena, secondo la tradizione portata da Enea esule da Troia, a significare che la sapienza migrò dalla Grecia a Roma, per irradiarsi sul mondo», spiega l'esperto.
La Pallade Atena era insomma per i Romani ciò che per gli Ebrei era l'Arca dell'alleanza.
PENE E SUPPLIZI. Nella ricerca ottocentesca vengono citati i nomi di una ventina di vestali condannate a morte per non avere rispettato l'obbligo della castità. La trasgressione si verificava in genere con cavalieri e schiavi. La vestale accusata, veniva messa sotto processo dal pontefice massimo con un collegio di sacerdoti.
Se condannata dal collegio giudicante, veniva sepolta viva. Era cioè condotta in una lettiga velata in una stanza scavata sotto terra con un letto, una lanterna, pane, olio e acqua. L'ingresso veniva sigillato. Questa fine spaventosa aveva un senso logico. Come intoccabile, la vestale non poteva essere uccisa direttamente. Ed essere cremata, secondo l' uso diffuso fra i Romani, perché il suo peccato era impuro e non doveva mischiarsi con la purezza del fuoco.
MEGLIO LA MORTE. Alcune vestali, racconta Frigerio documenti alla mano, riuscirono a suicidarsi prima della terribile esecuzione. Altre furono vittime, una volta assolte, di revisioni processuali sospette tendenti al capro espiatorio in caso di calamità o sconfitte belliche. Infatti, davanti ad avvenimenti sociali negativi, la prima cosa che si faceva era controllare che tutto fosse in ordine nel tempio di Vesta. E potevano spesso venire fuori delle magagne.
Secondo alcuni autori latini, ci furono imperatori, come Caracalla, che nell'ebrezza del potere inventarono accuse nei confronti di vestali che arrivarono a violentare. Questo soprattutto mentre si avvicinava la fine del loro culto. Divenuto il cristianesimo religione di stato, si iniziò a tagliare loro i fondi e a confiscarne le rendite. Le vestali furono le ultime paladine del fuoco sacro e della religione degli avi. Finché l'imperatore Teodosio, su consiglio di S. Ambrogio, chiuse anche il loro tempio e le sciolse. Dopo novecento anni di servizio.