Storia

Michelangelo Buonarroti, il tormento e il furore del genio

Il 6 marzo 1475 nasceva Michelangelo Buonarroti: irrequieto, irascibile, orgoglioso, ebbe una vita estrema - come le sue immortali opere.

Il 6 marzo 1475 nasceva a Caprese, in provincia di Arezzo, Michelangelo Buonarroti. Le sue statue e i suoi affreschi raccontano la sua genialità, la sua vita racconta di un uomo tormentato e sofferente. Chi era per davvero Michelangelo?

Un uomo solo. Quel che connota la sua parabola - visse 89 anni e lavorò alle sue straordinarie creazioni fino alla morte, avvenuta a Roma il 18 febbraio 1564 - non è solo un'ambizione artistica sconfinata, ma anche un'autonomia di pensiero che non ha eguali, e non solo nel Cinquecento. Michelangelo fu l'artista più pagato e ammirato del Rinascimento - ne insidiò il primato, per un breve periodo a causa della morte prematura, solo Raffaello, tanto più conciliante di lui con i potenti, tanto più allineato con le posizioni della Chiesa romana - ma fu anche il più solo: per volontà, temperamento e obiettivi. Il mito del genio insofferente, intrattabile, incoercibile - la terribilità riconosciutagli dai contemporanei - è più che fondato.

Ritratto di Michelangelo, di Daniele da Volterra (1509-1566), allievo e amico del Maestro fino alla morte.
Ritratto di Michelangelo, di Daniele da Volterra (1509-1566), allievo e amico del Maestro fino alla morte. © Wikimedia Commons

Più di altri maestri del suo tempo dovette "turarsi il naso" per servire mecenati di cui non condivideva gli ideali politici e religiosi. Né fu uno stinco di santo, anzi; peccò di gravi difetti, miserevoli tare come l'avidità e l'avarizia, che lo indussero più volte a imbrogliare le carte e tentare doppi giochi incongruenti con la sua intransigenza espressiva; ma alla fine dei conti, e cioè nell'opera, si rivelò sempre libero, più forte di qualunque condizionamento.

Spirito libero. Schivò l'agiografia, anche dove sembrava impossibile, e rischiò, per imporre la propria visione, scomuniche e processi da parte dell'Inquisizione: obbedendo, di sfida in sfida, a quel demone che lo spingeva a superare se stesso e i limiti delle convenzioni. Se è vero che il classicismo rinascimentale fu una cresta sottile, fatalmente destinata a essere superata, Michelangelo fu quello che la valicò più in fretta con il suo furore sperimentale, aprendo la strada al barocco. In ciascuna delle sue sfere d'azione, scultura, pittura e architettura, fu uomo-cerniera tra Rinascimento e manierismo.

Tanto coraggio, tanta abnegazione nell'operare affondavano le radici in una ferita originaria, un senso di caduta e inferiorità sociale che l'artista patì e da cui volle strenuamente riscattarsi. Il suo casato - i Simoni Buonarroti - apparteneva da secoli alla classe dirigente fiorentina di fede repubblicana, in cui confluivano banchieri e mercanti delle arti maggiori, ma era in piena decadenza da un paio di generazioni.

I suoi avi erano stati priori, gonfalonieri e commissari di guerra, mentre Ludovico, suo padre, si era ridotto a fare il podestà a Caprese, un selvaggio borgo del Casentino, per quattro soldi.

ferite familiari. Proprio per questo, Michelangelo, che a Caprese aveva visto la luce il 6 marzo 1475, era stato mandato a lavorare, apprendista alla bottega dei fratelli Ghirlandaio, a 12 anni: in pratica declassato ad artigiano del popolo minuto. Un'altra ferita familiare dovette contribuire al suo carattere selvatico e tormentato: perse la madre a soli 6 anni. Per tutta la vita avrebbe ossessivamente accumulato ricchezze, acquistato terreni e case per sé, il padre e alcuni fratelli, sempre a Firenze, la patria elettiva, benché vivesse ormai a Roma. Conducendo peraltro vita francescana, priva di lussi e persino dei principali comfort: proteso unicamente a restituire il rango perduto alla sua stirpe.

Non occorre essere psicanalisti per capire come la sua enorme energia vitale venisse incanalata per intero nella creazione, a scapito degli affetti e dei piaceri terreni. Era maniacalmente perfezionista nella scelta dei marmi: passò anni sulle Alpi Apuane dormendo all'addiaccio, in bivacchi di fortuna, per scegliere la pietra giusta e trasportarla nel suo atelier. E si scordava di mangiare e dormire per settimane quando era in preda al suo estro creativo.

Il suo precoce magistero plastico si può spiegare solo in termini di genialità, giacché non aveva esempi artistici in famiglia. Già nei primi disegni dal vero surclassò il suo maestro, Domenico Ghirlandaio, che pare si lasciasse sfuggire un "costui ne sa più di me". Lo prese sotto la sua ala Lorenzo de' Medici, che ammantava di mecenatismo illuminato quella che era ormai una tirannide in una Firenze solo formalmente repubblicana.

a palazzo Medici. Il Magnifico aveva aperto una sorta di accademia di scultura nel Giardino del Casino di San Marco. Michelangelo, chiamato con altre giovani promesse, si mise subito in luce con una testa di fauno. Lorenzo gli spalancò le porte del suo palazzo. Alla corte medicea, dove abiterà fino alla morte del duca (1492), Michelangelo intrattenne rapporti con Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Poliziano e ne assimilò gli ideali neoplatonici.

Fu Poliziano a suggerirgli il tema con cui il genio adolescente compì la sua prima rivoluzione, facendo invecchiare di colpo la tecnica di Donatello: la scultura, ispirata a un brano di Ovidio, si intitolava Battaglia dei centauri. Un unico, vibrante rilievo: con quell'opera, osserva lo studioso Antonio Forcellino, l'artista era riuscito a «collocare nello spazio non più un corpo fermo, ma un corpo in movimento, con gli arti che si prolungano gradualmente e non più su tanti piani successivi».

Anatomia sui cadaveri. A tanto può giungere solo chi osa spingersi con lo scalpello «fino alla pelle del marmo stesso», annota ancora Forcellino, «laddove gli altri artisti si avvicinavano prudentemente con la raspa». Dopo la morte di Lorenzo, Michelangelo lasciò il palazzo di via Larga, ma mantenne stretti rapporti con il successore del Magnifico, Piero de' Medici, il quale gli consentì, tra l'altro, di frequentare l'obitorio dell'ospedale di Santo Spirito e far pratica di anatomia sui cadaveri. Poche settimane prima che Firenze, trascinata dal Savonarola, abbattesse il duca, Michelangelo, fiutata la tempesta, abbandonò l'amico-mecenate e riparò prima a Bologna e poi a Venezia.

La Pietà di Michelangelo
La Pietà di San Pietro è la scultura realizzata in marmo dal giovane Michelangelo tra il 1497 e il 1499. È considerata il primo capolavoro dell'artista e oggi è conservata nella Basilica di San Pietro in Vaticano. © Shutterstock

Da quel momento i suoi rapporti con i Medici, che a ripetizione persero e riconquistarono Firenze e con analoga frequenza riuscirono a salire al soglio pontificio, furono uno stillicidio di risse e riconciliazioni. Michelangelo era un fervente repubblicano, si considerava erede spirituale di Dante e condivideva parecchi degli sdegni savonaroliani. Sicuramente aveva ascoltato le prediche infuocate del domenicano Savonarola e aborriva i despoti. Nel 1527, quando, dopo il sacco di Roma, Firenze si ribellò ancora una volta ai Medici, progettò addirittura fortificazioni per impedirne il ritorno.

Disaccordi e compromessi. Ma alla fine non poteva rinunciare alle committenze più prestigiose, così come i Medici non potevano privarsi dell'artista più importante del momento. Per qualche tempo preferì restare a Roma e dedicarsi alla sbalorditiva Pietà di San Pietro. Tema già insolito per la nostra tradizione, a cui lui aggiunse le spiazzanti invenzioni d'una Madonna giovanissima, d'un Cristo splendente malgrado il calvario e d'un panneggio ineguagliabile.

Il David è il capolavoro in marmo che Michelangelo realizzò tra il 1501 e il 1504, conservato presso la Galleria dell'Accademia di Firenze.
Il David è il capolavoro in marmo che Michelangelo realizzò tra il 1501 e il 1504, conservato presso la Galleria dell'Accademia di Firenze. © Shutterstock

Nel settembre del 1502, quando i fiorentini elessero Pier Soderini gonfaloniere a vita, sentì che era venuto il momento di tornare a casa. A Firenze lo attendeva la prima delle sue sfide titaniche: creare il nuovo simbolo della libertà repubblicana sbozzandolo da un unico, gigantesco blocco di marmo. Già due scultori di vaglia si erano arresi alla prova del David. Michelangelo la spuntò regalando al mondo l'icona tuttora insuperata della bellezza maschile. Ormai era l'artista più acclamato: iniziò la sua fase più gloriosa e travagliata.

Dopo il David, la Cappella sistina. Ora i suoi committenti erano i mecenati più ricchi e potenti, i papi, che volevano rappresentarsi come novelli Cesari. Michelangelo dovette scendere a patti con quattro di loro. Il primo fu Giulio II, che voleva rinverdire i fasti dell'antica Roma e chiamò Bramante a ridisegnare San Pietro e Raffaello a dipingere le Stanze vaticane.

Al Buonarroti affidò l'incarico di creargli una tomba a dir poco sfarzosa (40 statue, nella prima ipotesi). Era il 1505. La vicenda si protrasse per 40 anni, tra minacce e contratti stracciati e riscritti, divenendo un incubo per l'artista: "la tragedia della sepoltura".

Un po' perché Michelangelo si faceva distrarre da altre offerte, e molto perché sperperava i lauti anticipi in acquisti immobiliari e tramava per spostare marmi e lavori a Firenze. Nondimeno Giulio II gli commissionò il primo affresco della Cappella Sistina (la volta). Per il Buonarroti, che non aveva esperienza di affreschi, fu un grandioso banco di prova. Vinse la sfida imponendo la monumentalità delle sue figure anche in pittura.

Il secondo papa con cui si scontrò fu Leone X, Giovanni de' Medici, figlio del Magnifico. L'ex compagno di gioventù gli fece subito il più grande degli sgarbi nominando Raffaello, già sugli scudi in Vaticano come pittore, architetto di San Pietro. Ma poi riparò coinvolgendo Michelangelo nel rifacimento della facciata di San Lorenzo, a Firenze. Anche in questo caso Michelangelo si fece prendere dall'ingordigia e cercò di accaparrarsi da solo l'intero appalto, ricorrendo anche a mezzucci e sotterfugi. Di nuovo la cupidigia gli si ritorse contro: incontrò mille ostacoli nella selezione dei marmi e dopo tre anni dovette desistere.

Il Mosè. Venne compensato magnanimamente con l'incarico di scolpire le tombe di Giuliano e Lorenzo de' Medici nella cappella di famiglia: figure che doveva esaltare come grandi condottieri. Come per il sepolcro di Giulio II, obbedì, ma trovò il modo di non scadere nell'apologia e di mettere in rilievo quel che premeva a lui.

Nelle tombe medicee, le vere protagoniste sono le statue che rappresentano il malinconico scorrere del tempo e della vita. Un memento mori (ricordati che devi morire) che torna in altra forma nel mausoleo di Giulio II, in cui l'ambizioso papa Della Rovere è ridotto a una figurina ripiegata su se stessa: il vero protagonista della composizione è il muscolare Mosè dalla barba a boccoli. Michelangelo compì un miracolo per la scarsezza di marmo disponibile; girò addirittura la faccia al suo gigante pochi giorni prima della scadenza, colto da un pentimento improvviso.

La creazione di Adamo (particolare della Cappella Sistina) di Michelangelo.
La creazione di Adamo (particolare della Cappella Sistina) di Michelangelo. © Andres Nassar da Pixabay

Un'altra caratteristica del suo modo di lavorare era proprio quella di non fissarsi nel primo schema, ma di modificarsi in corso d'opera, adattando anche l'architettura e i supporti tecnici alle correzioni di tiro. Prassi che si rinnovò nel secondo affresco della Cappella Sistina, quel

Giudizio Universale commissionatogli da un altro papa de' Medici, Giulio, ovvero Clemente VII, e confermatogli, l'anno dopo, da Paolo III.

un nuovo cupolone. Con l'elezione a papa di Alessandro Farnese gli fu finalmente conferita la carica di "supremo architetto, scultore e pittore dei Palazzi Vaticani". Ciononostante non smise di lottare: contro i detrattori che lo reputavano un dilettante dell'architettura e contro le maestranze fedeli ai predecessori, che nei primi tempi lo boicottarono. Ebbe la meglio anche in questo campo: ricondusse San Pietro all'originario progetto bramantesco e ne ridisegnò il cupolone a somiglianza della cupola fiorentina del Brunelleschi.

Gli ultimi trent'anni li trascorse a Roma, dove trovò l'amore nel giovane patrizio Tommaso de' Cavalieri. Una passione nascosta, censurata, che tuttavia trabocca da molte sue poesie. L'erompere dell'omosessualità fece deflagrare il suo dramma di cristiano peccatore. Un senso di colpa che lo avvicinava alle posizioni luterane, in particolare alle idee degli Spirituali, il cenacolo raccolto intorno alle figure di Vittoria Colonna, poetessa e marchesa di Pescara, e del cardinale Reginald Pole, i quali cercavano di conciliare Riforma protestante e ortodossia cattolica.

l'omosessualità. L'attraeva in particolare il tema dell'accoglienza: la teoria, poi ritenuta eretica, secondo cui la grazia dipende dalla fede e non dalle opere, per cui i più meritevoli di salvezza sono in fin dei conti i peccatori. Quando il 18 febbraio 1564 Michelangelo lasciò questo mondo, gli trovarono nell'armadio pochi frusti giubboni e, sotto il letto, una cassa di monete d'oro. Svaniva la miseria umana e restavano i frutti divini della sua arte.

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Tratto dall'articolo Il tormento e la perfezione, di Dario Biagi, pubblicato su Focus Storia Collection Medioevo e Rinascimento: i protagonisti (autunno 2015, disponibile solo in digitale).

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