Ha attraversato indenne l'Olocausto, dalla parte dei carnefici. Ed è uscito di scena nel 1979, oltre trent'anni dopo il crollo del nazismo, senza aver mai scontato un solo giorno di carcere. Come ha fatto? Scopriamolo nell'articolo "La seconda vita del dottor morte" di Giuliana Rotondi, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Selezionatore. Resta in parte un mistero che cosa fece Josef Mengele per tre decenni nascosto in Sud America. Sappiamo invece quale fosse il suo lavoro nel campo di sterminio di Auschwitz (Polonia). Dal 1943 fu lui ad accogliere i prigionieri. Aspettava i carichi umani in guanti e camice bianco e decideva chi aveva diritto di vivere e chi no. I primi spesso diventavano cavie per i suoi esperimenti medici, i secondi cadaveri da sezionare.
«A interessarlo erano soprattutto i gemelli: ne analizzò 3 mila, ne sopravvissero, sembra, 285», spiega Gilberto Corbellini, storico della medicina alla Sapienza di Roma. «Non c'era nessun fondamento scientifico nei suoi esperimenti, che erano una miscela di sadismo e fede cieca nell'ideologia razzista. Mengele aveva un sogno: l'eugenetica. Ovvero selezionare la "razza ariana" per farla perdurare».
Cavie umane. Nel suo laboratorio, al blocco numero 10 di Auschwitz, erano all'ordine del giorno operazioni senza anestesia, mutilazioni, inoculazioni di batteri della lebbra e del tifo. Mengele praticò trasfusioni incrociate tra gemelli, tentò di creare in laboratorio fratelli siamesi (cucendoli insieme), iniettò liquido nei loro occhi per mutarne il colore, impose castrazioni, sterilizzazioni e congelamenti.
Intorno a un personaggio così, inevitabilmente nacquero truci dicerie, amplificate da film come I ragazzi venuti dal Brasile (1978) e da libri secondo i quali nella sua esistenza in Sud America il Dottor Morte avrebbe continuato a condurre i suoi esperimenti gemellari. Leggende, per gli storici. Ma di quella seconda vita qualcosa di certo si sa.
Impunito. In Sud America Mengele infoltì le file dei criminali nazisti sfuggiti ai processi di Norimberga. Arrestato nel 1945 dagli angloamericani e rinchiuso in un campo di prigionia dopo la liberazione di Auschwitz, non fu identificato perché, al contrario degli altri membri delle SS, non aveva il proprio gruppo sanguigno tatuato sul braccio.
Liberato, raggiunse l'Italia, ottenne un nuovo passaporto (intestato a un altoatesino) e, con l'aiuto dei servizi segreti argentini, il 18 luglio del 1949 si imbarcò per l'Argentina. Il Paese, negli anni della guerra, era già stato ospitale verso imprese finanziate da capitali nazisti e da tedeschi ben inseriti nel potere locale.
Mengele si trovò dunque in degna compagnia: trovò, tra gli altri, il dittatore croato Ante Pavelić, Adolf Eichmann, l'organizzatore della cosiddetta "soluzione finale" e dei treni della morte per gli ebrei, ed Erich Priebke, responsabile dell'eccidio romano delle Fosse ardeatine il 24 marzo 1944.
Marchiato. Elegante e discreto, si inserì senza difficoltà nel circolo degli intellettuali tedeschi di Buenos Aires. «Difficilmente poté esercitare la sua professione medica (la laurea riportava il suo vero nome). Al massimo, stando alle testimonianze, praticò aborti clandestini», precisa Corbellini. Men che meno ebbe modo di fare esperimenti eugenetici. Giocando prima con una nuova identità e per un breve periodo usando il suo vero nome, trovò lavoro come artigiano. Prima in una bottega di tintura del legno, realizzando giocattoli. Poi in una fattoria.
Tic nervosi. Chi lo conobbe a metà degli Anni '60 lo descrisse come un "ometto anziano con i baffi mangiati" a causa di un tic nervoso che lo induceva a mordicchiarsi la peluria che con cura si era fatto crescere per camuffare il largo spazio fra gli incisivi, che lo rendeva più facilmente riconoscibile.
Testimonianze da brividi. In Europa, intanto, i sopravvissuti di Auschwitz serravano le file, iniziando a far affiorare testimonianze agghiaccianti sul suo conto. "Presero me, mia mamma e mia sorella gemella. Ci rinchiusero in una gabbia con altre due gemelle. Non c'era spazio per muoversi. Eravamo trattate come bestie, anzi peggio" raccontò un'ex prigioniera. "Persino la mano non si poteva tirar fuori perché le maglie della gabbia erano molto strette. Mengele veniva quotidianamente e ci iniettava non so quale sostanza. Dopo quelle iniezioni avevo tutto il tempo voglia di vomitare. Mia sorella viveva in una specie di coma, era completamente fuori di sé. Facevamo i nostri bisogni come animali nella gabbia, che non aprirono mai. Aspettavamo la morte".
Quasi preso. Nel 1958 il Comitato internazionale dei sopravvissuti ad Auschwitz lo accusò di genocidio. L'Università di Francoforte, dove Mengele aveva conseguito la laurea, annullò il suo diploma. E gli agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano, iniziarono a dargli la caccia. Apparentemente con successo. Nel 1960 lo individuarono a Buenos Aires insieme ad Adolf Eichmann, che fu rapito, processato in Israele e giustiziato due anni dopo. Perché Mengele, invece, non fu catturato quella volta? "Rifarei la stessa cosa", raccontò in seguito in un'intervista il funzionario del Mossad a capo dell'operazione.
"Resto convinto che se avessimo tentato di prenderli insieme li avremmo perduti entrambi".
Senza giustizia. Mengele fece perdere le sue tracce fuggendo in Paraguay, il cui dittatore, Alfredo Stroessner, non aveva mai nascosto le sue simpatie per il Terzo Reich. Le tracce del Dottor Morte riemersero nel 1974, quando sotto falso nome (Wolfgang Gerhard) risiedeva in un quartiere di San Paolo, in Brasile, al numero 5555 di via Alvarenga. Nemmeno allora però fu preso. Molti ritengono che l'operazione sia stata annullata all'ultimo momento perché Israele, appena uscito dalla Guerra del Kippur con l'Egitto, aveva altre priorità e non voleva complicare i suoi rapporti con il Brasile e con la comunità internazionale.
Morto in segreto. La caccia proseguì anche dopo il 7 febbraio 1979, quando Mengele morì (forse d'infarto) mentre nuotava. Per anni nessuno lo seppe. La famiglia che lo aveva ospitato mantenne il segreto fino al 1985, quando rivelò dov'era stato sepolto: il test del Dna stabilì che quella salma apparteneva davvero a Mengele. Il famigerato angelo sterminatore era riuscito a morire senza dover affrontare nessun giudizio, se non quello della Storia.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?