L'antica città di Chichén Itzá era un importante centro politico dell'epoca Maya nei secoli precedenti l'arrivo dei coloni spagnoli. Oggi è un visitatissimo sito archeologico dello Yucatan, noto per la sua storia di sacrifici rituali le cui prove sono soprattutto nel famoso Sacro Cenote (un cenote è un pozzo naturale di acqua dolce), dove all'inizio del XX secolo vennero ritrovati centinaia di resti umani e un enorme tzompantli (letteralmente "rastrelliera di teschi") in pietra. Uno studio pubblicato su Nature traccia l'identikit della vittima sacrificale-tipo, scoprendo che si trattava spesso di maschi geneticamente affini e talvolta di gemelli identici.
Giovani maschi imparentati. Per giungere alle loro conclusioni gli studiosi hanno analizzato i resti di 64 bambini seppelliti in un chultún (cisterna di acqua) scoperta nel 1967 vicino al Sacro Cenote. Le analisi genetiche hanno svelato che si trattava di maschi – la maggior parte tra i 3 e i 6 anni di età – appartenenti alla popolazione Maya locale, che un quarto di loro era strettamente imparentato almeno con un altro bambino del gruppo e che avevano consumato diete simili, a riprova del fatto che erano stati cresciuti nella stessa famiglia ed erano parenti di primo o secondo grado.
La cosa più sorprendente è stata trovare tra i resti anche quelli di due coppie di gemelli omozigoti: nel complesso, spiegano gli autori, i risultati indicano che all'epoca i bambini venivano probabilmente selezionati a coppie per prendere parte alle attività rituali associate al chultún.
Il lascito genetico del colonialismo. L'analisi genetica condotta dagli studiosi ha permesso anche di indagare un'altra rilevante questione: l'impatto genetico a lungo termine delle epidemie dell'epoca coloniale sulle popolazioni indigene. Dagli studi è emersa infatti una continuità genetica tra gli antichi abitanti di Chichén Itzá e le popolazioni attuali della zona, a eccezione della presenza di alcuni geni HLA che proteggono dalla salmonella, infezione diffusa nel XVI secolo durante il colonialismo spagnolo. All'epoca guerra, carestie ed epidemie fecero crollare la popolazione del 90%. «I Maya di oggi portano nel loro patrimonio genetico le ferite delle epidemie di epoca coloniale», conclude il coordinatore della ricerca Rodrigo Barquera.