Il 2 dicembre 1923 nasceva la soprano più famosa di tutti i tempi, puntiamo i riflettori sulla sua unicità e sulle sue fragilità nell'articolo "Maria Callas" di Flavia Piccinni, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Incontentabile. "Se avessi più tempo sarebbe tanto meglio per il successo della Norma. Perché non si studia mai abbastanza la Norma". Maria Callas scriveva così, l'11 novembre 1948, al futuro marito Giovanni Battista Meneghini. E soltanto una settimana dopo, uscita dalle prove dello spettacolo che sarebbe andato in scena a Firenze, ammetteva disperata: "Dice [Tullio] Serafin che è arcicontento della mia Norma, ma purtroppo io non lo sono per niente. Sono convinta di poter fare cento volte di più ma la voce non mi accontenta e non mi rende quello che voglio!".
Voce unica. Le due lettere, vendute il 12 dicembre 2007 dalla casa d'aste Sotheby's, raccontano molto di Maria Callas e del suo incontentabile carattere che la portò, in un'oscillazione perpetua fra la gioia assoluta e la disperazione più profonda, a diventare una fra le più amate soprano di tutti i tempi, l'unica in grado di interpretare con assoluta intensità, grazie a un timbro particolare e a una notevole estensione vocale, le donne di Vincenzo Bellini come la Norma e la Sonnambula, ma anche l'Aida di Verdi (la prima volta a Torino nel 1948) o la Medea di Cherubini (La Fenice, 1948).
Una buona maestra. «La sua carriera iniziò con Puccini e la Tosca in Grecia, nel 1942, con un successo strepitoso. Il merito era in parte della sua maestra di canto, Elvira De Hidalgo, una cantante spagnola che nel 1939, a 47 anni, aveva smesso la carriera e aveva iniziato a insegnare in un conservatorio di Atene. Quando incontrai Elvira, mi raccontò che Maria le chiese di poter seguire tutte le sue lezioni: arrivava in classe alle dieci del mattino e vi restava fino a sera», racconta il critico Renzo Allegri, uno dei massimi esperti italiani della cantante. Maria Callas divenne così, grazie al suo spirito di sacrificio e allo sfiancante lavoro, una star dell'opera greca.
collaborazionismo. Con la fine della guerra, però, fu accusata di collaborazionismo perché aveva cantato anche con compagnie dirette da tedeschi e italiani e allora tornò a New York, dove era nata e dove viveva suo padre. Non fu ugualmente facile e le accuse la seguirono anche lì: in due anni non fece neppure un concerto.
Salvata da un italiano. «A salvarla fu un italiano» continua Allegri. «Nel 1947 aveva conosciuto Nicola Rossi-Lemeni che parlò di lei al tenore Giovanni Zenatello. Quest'ultimo stava cercando un soprano adatto a interpretare il ruolo di Gioconda, nell'omonima opera di Amilcare Ponchielli, all'Arena di Verona, volle ascoltarla e la scritturò subito. Il compenso era veramente misero e Maria Callas venne in Italia viaggiando su una nave commerciale. A Napoli, dove sbarcò, le rubarono la valigia. Giunse a Verona con i soli vestiti che aveva addosso». Due giorni dopo partecipò a una cena con gli altri interpreti della stagione, i dirigenti dell'Arena e alcuni notabili della città. Tra questi c'era l'industriale Giovanni Battista Meneghini che si innamorò di lei a prima vista e si offrì di aiutarla, proponendole di diventare il suo manager.
Accoppiata vincente. «Maria Callas diventò l'idolo di tutti i teatri, tranne la Scala», ricorda Allegri «dove, non si sa perché, non volevano neppure sentirla al telefono. Fu il commendator Stefanotti di Parma a risolvere il problema: parlò con Toscanini, che volle conoscere la cantante, e i due si incontrarono il 28 settembre 1950, nell'abitazione del maestro a Milano. Fu amore a prima vista. Cinque giorni dopo, Ghiringhelli scritturò Maria Callas che debuttò nel teatro milanese inaugurando la stagione con i Vespri siciliani di Verdi».
Snella. Anche il fisico di Maria nel frattempo era cambiato: fra il 1952 e il 1954 la Callas, che era alta un metro e settantuno, aveva interpretato sette opere e perso ben 28 chili, appuntando su un calendario il peso fra un'interpretazione e l'altra. Le leggende su questo repentino cambiamento fisico che la portò da 92 a 64 chili furono molte, prima fra tutte quella che avesse volontariamente ingoiato la larva di una tenia. La carriera stava andando bene e sembrava quasi che anche nella vita della cantante ci fosse spazio per la serenità, ma tutto precipitò: nel 1958, a Roma, interruppe la Norma dopo il primo atto era andata in scena con un po' di raucedine e la freddezza del pubblico l'aveva ancora di più frenata), e nel 1959, ormai ossessionata dalla vita mondana, lasciò il marito per l'armatore greco Aristotele Onassis.
Follie d'amore. Lei allora era già la divina e aveva attraversato da protagonista i palchi e le opere più famose al mondo. Continuò ad andare in scena con fortune alterne fino al 1965, ma non resse la pressione e il triangolo amoroso: Onassis le preferì infatti la sorella di una vecchia amante, e, l'ex first lady americana Jackie Kennedy, una "diva" del jet-set.
«Maria Callas», conclude Allegri, che la incontrò più volte «era una bambinona che aveva sofferto molto nella sua vita, ed era di una ingenuità spaventosa. Era affamata di affetto e prendeva cantonate da ogni parte. Quando si innamorava di una persona, diventava possessiva e perdeva la testa. E questo forse perché da bambina e da ragazza aveva sofferto moltissimo per mancanza di affetto. Sua madre stravedeva per la figlia maggiore e trascurava Maria. I suoi coetanei non la degnavano di uno sguardo perché era grassa, trasandata, bambolona. Se un uomo le si dimostrava gentile, pensava che fosse innamorato di lei e si concedeva anima e corpo».
Infelice. Amò profondamente Meneghini, che forse pensava più ai soldi che avrebbe guadagnato con la sua voce che a lei. Perse la testa per Onassis, che se ne serviva per attirare personalità sulla sua nave e combinare affari, ma la trattava solo come una schiava. Si innamorò di Pasolini, che le dimostrava grande gentilezza, ma forse era l'unica persona al mondo a non sapere che lui era omosessuale. E così per tutta la vita. Non fu mai felice. Forse solo dal 1947 al 1959, quando visse con Meneghini. Amava l'arte, ma amava soprattutto la vita, una vita semplice, la famiglia, quella famiglia che invece non ebbe mai.