Storia

Luigi XIV, la faccia tragicomica del potere assoluto del Re Sole

Il 5 settembre 1638 nasceva Luigi XIV, il Re Sole, che riportò l'assolutismo nella monarchia francese. E che impose alla sua corte rituali molto imbarazzanti. Per esempio...

Parigi, 23 febbraio 1653. Nella residenza reale del Louvre è in programma il Ballet de la nuit, una specie di rave party di corte: dal tramonto all'alba saranno inscenate coreografie ispirate al mondo dell'antica Grecia. Piatto forte dell'esibizione è la performance del dio Apollo (protettore delle arti e cocchiere dell'astro solare), interpretato per l'occasione da un ragazzino abile nella danza e con un nome che pesa: Luigi XIV di Borbone, erede designato al trono di Francia. Scopriamo l'involontaria e tragica comicità del Re Sole - che nacque il 5 settembre 1638 e morì il 1° settembre 1715 - attraverso l'articolo "Il Sole di Francia" di Matteo Liberti, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Come un Sole. Il giovane indossa un appariscente costume a forma di Sole, e per farlo ha due valide motivazioni: la prima è che tale veste ben si addice al personaggio di Apollo; la seconda, come scriverà egli stesso, è che "il Sole, per lo splendore che lo circonda, per la luce che comunica agli altri astri […] per il bene che produce ovunque […] è certamente la più viva e più bella immagine per un grande monarca". 

Re bambino. «Grande, Luigi XIV lo fu veramente », conferma lo storico Roberto Moro, già docente di Storia delle dottrine politiche all'Università di Milano. «Soprattutto se si pensa alla capacità che ebbe di teatralizzare il proprio potere, tanto da farne un geniale strumento di comunicazione politica». Il "genio coronato" in questione era nato il 5 settembre 1638 a Saint-Germain-en-Laye, un piccolo borgo alle porte di Parigi. Figlio di Anna d'Austria (un'Asburgo) e del re francese Luigi XIII (un Borbone), alla morte di questi (il 14 maggio 1643) ereditò il trono.

Per interposta persona. Avendo il re appena 5 anni, le leve del comando andarono alla madre, affiancata nel compito dal primo ministro, il cardinale Mazarino. «Era quest'ultimo a esercitare il grosso del potere», spiega Moro. «Ma la gestione del governo da parte di ministri forti non era certo una novità nella monarchia francese. Lo stesso Luigi XIII aveva avuto al fianco il potentissimo cardinale Richelieu, che finì per esercitare quasi più potere del sovrano».

Più tasse per tutti. La politica di Mazarino, improntata al motto "più tasse per tutti", portò nel 1648 alla rivolta di alcuni esponenti del Parlamento parigino. Quest'ultimo, nato nel XIII secolo, era al tempo una corte di giustizia, con alcuni poteri amministrativi, che poteva opporsi agli editti regi.

Ai "parlamentari" si unirono larghe frange del popolo, che manifestarono la loro rabbia a colpi di "fronda" (la fionda, da cui il nome del movimento) costringendo la corte alla fuga da Parigi.

Trauma e riscatto. «Per il piccolo Luigi fu un vero trauma», racconta Benedetta Craveri, storica della letteratura francese e studiosa dell'ancien régime. «L'esperienza della fuga si impresse a fuoco nella sua memoria e soprattutto lo convinse della necessità di governare il Paese con il pugno di ferro». Rientrata la corte a Parigi, scoppiò una seconda rivolta della Fronda.

In rotta di collisione con Mazarino e il piccolo sovrano furono stavolta i nobili, dei quali Luigi aveva una pessima opinione: "Il difetto della nobiltà è di essere piena di usurpatori […] con titoli ottenuti per denaro e non per merito", annoterà nelle sue Memorie. Questa seconda ondata di proteste fu più violenta della prima e portò la corte a un nuovo esilio. Pochi mesi prima del Ballet de la nuit del 1653 era tornata la calma, ma il re fanciullo aveva ormai in mente una sola cosa: prendere in mano le redini del regno e raddrizzarne le sorti. Ma tra il dire e il fare c'era sempre di mezzo l'ingombrante cardinale.

Finalmente al potere! Il 7 giugno 1654, poco prima del suo sedicesimo compleanno, a Luigi XIV fu finalmente posta la corona in testa. «Ma dovettero trascorrere ancora sette anni affinché il nuovo re potesse davvero entrare in scena da protagonista», avverte Moro. Facciamo due conti: 1654 più sette uguale 1661, ovvero l'anno di morte di Mazarino, che si spense il 9 marzo. «Fu solo in quel momento che il Re Sole divenne tale, impossessandosi del regno».

Finanze. Il suo assolutismo si espresse nei settori chiave. Per risanare l'economia di una Francia sull'orlo della bancarotta Luigi ingaggiò l'economista Jean-Baptiste Colbert, nominato nel 1665 Controllore generale delle finanze. Questi aumentò le tariffe doganali per sfavorire le importazioni e incentivare l'esportazione di merci francesi, usando poi il ricavato per finanziare l'industria nazionale, posta sotto il diretto controllo della corona.

Politica militare. Poi il sovrano si dedicò all'esercito, affidandone la riorganizzazione a Michel Le Tellier e al figlio, marchese di Louvois. Questi tolsero a nobili e signorotti locali ogni residua competenza sulla direzione delle armate trasferendola direttamente al sovrano, il quale fece infuriare ulteriormente la nobiltà francese autorizzando la promozione di tutti quei soldati che si fossero distinti in battaglia anche se privi di titoli nobiliari.

Nel suo genere, fu una rivoluzione. «La grande differenza con la politica del passato», spiega Moro, «stava nel fatto che in questo processo di accentramento del potere Luigi (cui non a caso si attribuisce la frase "lo Stato sono io") era davvero il cuore di tutto: sia Colbert che i Le Tellier erano considerati semplici dipendenti, che mai avrebbero avuto lo stesso margine di azione concesso in passato a Richelieu e Mazarino». Peraltro, da consumato attore qual era, il re si divertiva a favorire ora uno ora l'altro dei suoi collaboratori, mantenendosi così saldamente al centro del governo. Ma il suo capolavoro assolutista doveva ancora venire.

Trasloco di lusso. Come sfondo scelse una piccola tenuta nella campagna parigina, in località Versailles, utilizzata in genere come base per le battute di caccia. «Qui fece costruire una reggia grande quanto una città nella quale il sovrano portò ai massimi livelli la messa in scena del suo potere», racconta la Craveri. L'idea era ribaltare lo schema secondo il quale il re doveva viaggiare attraverso il Paese per tenere sotto controllo la nobiltà locale e mostrarsi ai sudditi.

D'altronde, pensò Luigi, se il Sole si trovava al centro dell'universo (così si credeva allora) lui avrebbe dovuto stare al centro del regno, con tutti gli altri "pianeti" (nobili in primis) a orbitargli attorno. All'origine di Versailles c'era un semplice ragionamento: se aristocratici ed esponenti di governo avessero trascorso le proprie giornate sotto lo sguardo vigile del re non avrebbero più avuto occasione di tramare contro di lui. Oltre a ciò, spostarsi fuori da Parigi avrebbe significato per il re lasciarsi alle spalle il pericolo delle rivolte popolari. Due piccioni con una fava, insomma.

La reggia di Versailles. E così, dal 1682, tutta la nobiltà e l'entourage reale furono costretti a traslocare nell'immensa reggia, tra boschi e giardini all'italiana, ma a stretto contatto con il sovrano. In città rimase il Parlamento, al quale nel 1673 fu tolto il "diritto di rimostranza", ovvero la facoltà di opporsi agli editti del re, svuotandolo di ogni significato. Per quanto riguarda invece i cortigiani, ad attenderli c'era uno stile di vita privilegiato e lussuoso, cadenzato da feste e innumerevoli occasioni mondane. «Molti di loro cominciarono a fare a gara per vedersi assegnati gli alloggi più esclusivi, ossia il più possibile vicini a quelli del sovrano», riprende Moro.

«Pian piano a Versailles si ricreò una socialità urbana, con tanto di botteghe artigiane, strade affollate e curiosi di ogni tipo. Inoltre, per dare ulteriore lustro alla sua immagine, Luigi si circondò di schiere di artisti, tutti pronti a omaggiarlo con dipinti nei quali veniva spesso raffigurato con le sembianze d'una divinità, come gli imperatori ellenistici e romani».

Il risveglio del re Sole. La rappresentazione del potere diede però il suo meglio nei cerimoniali che regolavano la vita di corte, la famigerata "etichetta". «Una delle peculiarità della monarchia francese fu quella di abbattere ogni distinzione tra privato e pubblico, trasformando ogni attività, anche la più intima, in un evento», spiega la Craveri. Per farsene un'idea sarebbe bastato assistere al rituale quotidiano del lever du roi, il risveglio del re.

Questione di etichetta. La cosa funzionava così: a dare la sveglia era un valletto che dormiva ai piedi del letto, mentre i migliori cuochi del regno si davano da fare per preparare la colazione e, poiché lo "spettacolo" era pubblico, alcuni paggi facevano entrare nella stanza i membri della corte autorizzati. Tra di loro vi erano il gran ciambellano e il primo cameriere, che portava scarpe e vestiti al sovrano, che a quel punto si alzava in piedi per essere avvicinato dal maestro guardarobiere, il quale, con l'aiuto di un valletto, aveva il compito di sfilargli la camicia da notte e di vestirlo.

Il sacro gabinetto. «Tutte queste mansioni erano assegnate a nobili, trasformati in questo modo in semplici maggiordomi», spiega Moro. «Il risveglio era solo uno dei tanti momenti della giornata dominati dall'etichetta: ogni gesto del sovrano era infatti accompagnato da un qualche rituale, e prendervi parte era considerato un privilegio». «Tra questi privilegi c'era persino quello di assistere alle funzioni fisiologiche di Luigi», aggiunge la Craveri. «Segno di quanto il sovrano stesso fosse in fondo prigioniero di quest'etichetta implacabile». L'unica consolazione sembrava essere, per il re, la frequentazione delle sue numerose amanti, in particolar modo dopo il 1683, anno di morte della moglie Maria Teresa di Spagna.

Grandeur. A Versailles, Luigi XIV espresse la sua idea di potere al meglio, costringendo l'aristocrazia in una prigione dorata e demolendo la concezione del sovrano primus inter pares. Quello che si andava formando era invece il principio del a deo rex, a rege lex ("da Dio viene il re, dal re la legge").

Ma se il potere del sovrano era emanazione diretta della volontà divina, allora avrebbe dovuto affermarsi anche sulla Chiesa. Detto fatto. Il re stabilì che ogni disposizione papale fosse dichiarata nulla se priva del suo consenso. Sotto la bandiera del cattolicesimo affermò la supremazia dello Stato scagliandosi dapprima contro il giansenismo (una corrente dissidente che predicava il ritorno a un comportamento più conforme al messaggio originario dei Vangeli) e quindi contro gli ugonotti (i protestanti d'Oltralpe), ai quali revocò la libertà di culto concessa nel 1598 con l'Editto di Nantes.

Conquistatore. «Sgombrato il Paese da ogni opposizione, l'unica cosa che gli rimaneva da fare era riuscire a portare la propria luce oltre i confini francesi », riprende Moro. «Luigi XIV intendeva infatti porre la Francia al centro della politica europea, così come egli stesso era al centro della Francia». Questi sogni di grandeur portarono il Paese a una serie di conflitti che devastarono il morale della popolazione nonché le casse del regno. Quella di Luigi fu un'epoca di guerre e sacrifici per i francesi. Fu però un periodo di grande gloria. «A conti fatti, pur se sul piano internazionale le conquiste furono limitate, Luigi seppe consolidare l'egemonia della Francia sul continente », dice Moro. «Il francese divenne allora la lingua ufficiale di tutta l'élite europea, artisti e letterati transalpini venivano acclamati e imitati ovunque».

con MOlière e Racine. Alcuni di questi intellettuali furono servi tra i servi, ma altri entrarono nelle sue grazie. Per esempio i drammaturghi Molière e Racine. Ma fu con il compositore di origini italiane Jean-Baptiste Lully che Luigi XIV ebbe i legami più profondi e proficui ai fini della creazione di un'aura assolutista. Era stato proprio lui, quel 23 febbraio del 1653, a insistere perché il giovane re si presentasse sul palco con le sembianze del Sole. Un contributo decisivo a un'immagine regale che sarebbe passata alla Storia.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

5 settembre 2023 Focus.it
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