Con il coronavirus sono montati anche miti e fake news (bufale, informazioni errate), diffuse soprattutto attraverso social media. Per esempio, benché la mascherina non serva a proteggere se stessi dal contagio, almeno le mascherine più semplici perché i virus sono "troppo piccoli" per venire bloccati, centinaia di migliaia di persone (sane) in tutto il mondo si sono precipitate a comprarla.
Le fesserie sono anche di carattere sociale, come la bufala (fake news) della donna di Wuhan che avrebbe cucinato e messo in tavola una zuppa di pipistrello, e aperto così la strada al coronavirus. Anche se i pipistrelli potrebbero (forse) essere all'origine dell'espandersi dell'epidemia, la storia della "zuppa di pipistrello" nasce nel sud del Pacifico, non in Cina, per un noto programma di viaggi di una blogger cinese, Wang Mengyun.
Nonostante gli esperti abbiano lavorato duramente per sfatare molti di questi miti, quella storia è preziosa per inserire l'epidemia di CoViD-19 in un contesto che dovremmo conoscere bene. Cosa che, in teoria, dovrebbe aiutare a ribattere alle falsità e a placare le nostre paure: insomma, peste nera, influenza spagnola e anche il vaiolo possono insegnarci molto.
Coronavirus e zoonosi. Il coronavirus che ci sta flagellando, l'ormai famigerato SARS-CoV-2 all'origine della pandemia di CoViD-19, è solo un esempio (uno de tanti) nella lunga storia delle zoonosi (le malattie che passano dagli animali agli uomini). L'addomesticazione del cavallo permise di fare il salto di specie a quello che oggi è il virus responsabile del comune raffreddore; l'addomesticazione dei polli causò malattie come la varicella, il fuoco di Sant'Antonio e diversi ceppi di influenza aviaria; all'origine dell'influenza ci sono i maiali, mentre morbillo, vaiolo e tubercolosi vengono dai bovini. Quando un virus riesce a saltare da un animale a un umano (il "paziente zero", il primo capace di infettare i suoi simili), e quella versione del virus a sua volta riesce a contagiare un secondo individuo, quelle due persone diventano i primi due vettori umani di trasmissione del virus.
Tre quarti delle malattie infettive sono il risultato di spillover zoonotici (salti di specie), e il nuovo coronavirus non è un'eccezione. Il termine "coronavirus" fa riferimento a una famiglia di virus la cui forma ricorda quella di una corona, e racchiude circa il 10% dei raffreddori comuni (la principale causa del raffreddore comune sono i rhinovirus). Nel XXI secolo, i coronavirus hanno compiuto il salto di specie diffondendosi tra gli umani in tre occasioni, ogni volta causando epidemie mortali: la SARS (Severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria acuta grave) alla fine del 2002, la MERS (Middle East respiratory syndrome, sindrome respiratoria medio-orientale) nel 2012, e la COVID-19 (Coronavirus disease 2019, malattia da coronavirus 2019) all'inizio di questo inverno.
Che cosa ci insegna la Morte Nera. L'altro microrganismo protagonista della lunga storia delle epidemie dell'umanità non è un virus, ma un batterio: lo Yersinia pestis, responsabile dell'epidemia di peste bubbonica scoppiata a metà del XIV secolo, alla quale ci si riferisce normalmente con l'appellativo di Morte Nera. Nella memoria storica popolare, l'origine della Morte Nera è spesso associata alla Cina, ma secondo altri studi sarebbe nata in Asia Centrale (probabilmente nel Kazakhistan sudorientale), da dove si sarebbe poi diffusa in Cina e in Europa. Sottolineare l'origine esatta non è solo un esercizio accademico: si ripercuote sulla xenofobia che a volte accompagna le epidemie.
Nonostante l'origine della Morte Nera sia spesso associata a topi e pulci, il vettore originale fu con maggiore probabilità un mammifero, come la marmotta (Marmota Blumenbach) o il grande gerbillo (Rhombomys opimus Lichtenstein). Entrambi sono roditori socievoli: le marmotte misurano dai 30 ai 60 centimetri, mentre i grandi gerbilli circa 20 centimetri; le marmotte, in particolare, sono così diffuse che Marco Polo le definì "topi di Faraone". È probabile che una pulce abbia punto una marmotta o un grande gerbillo, e che il roditore abbia poi trasmesso il batterio a un umano.
Nel 1894 un'altra pandemia di peste bubbonica originò dalla provincia cinese sudoccidentale dello Yunnan, e si diffuse poi a Canton e Hong Kong, raggiungendo Mumbai nel 1896. Per il 1900 aveva raggiunto i porti di ogni continente, portata da ratti infetti che viaggiavano sui piroscafi, lungo le rotte dei commerci internazionali. In trent'anni l'epidemia uccise, solo in India, 12 milioni di persone.
E fu così che iniziarono a diffondersi i cliché xenofobi: le vignette satiriche e le copertine dei giornali californiani raffiguravano cino-americani mentre mangiavano topi vivi in abitazioni sporche e affollate. Come ha scritto Jessica Hauger in un recente articolo pubblicato sul Washington Post, «l'idea che i cino-americani rappresentassero una minaccia per la sanità pubblica spinse le autorità di San Francisco a mettere in quarantena Chinatown e a effettuare controlli e sgomberi anticostituzionali durante l'epidemia di peste del 1900». Allo stesso modo, il Ministero della Salute di Honolulu mise in quarantena la Chinatown della città, bruciando la spazzatura e innescando un incendio che distrusse 4.000 abitazioni.
L'epidemia da COVID-19 ha suscitato nuovi interessi per la Morte Nera. Un articolo del Washington Post avverte che trattare il coronavirus come la Morte Nera è "pericoloso", sostenendo che in questo modo si tramanderebbe una falsa "storia dell'epidemia", secondo la quale le epidemie seguirebbero sempre la stessa traiettoria, sui grafici, e avrebbero lo stesso grado di gravità.
Effettivamente, confrontare la COVID-19 con la Morte Nera non fa altro che aumentare la paura tra la gente, anche se il patogeno con cui abbiamo oggi a che fare non è fatale quanto quello che provocò la pandemia medievale.
Che cosa ci insegna la spagnola. Dall'influenza spagnola abbiamo appreso lezioni importanti sull'importanza della trasparenza e sull'efficacia della quarantena. Quella pandemia, che fu probabilmente di origine aviaria, infettò un quinto della popolazione mondiale, uccidendo 50 milioni di persone - molte più delle vittime della Prima Guerra Mondiale - che fu peraltro in parte all'origine della diffusione del virus nel mondo, per via dello spostamento massiccio di soldati.
Per quanto riguarda la questione trasparenza, la storia del nome della malattia è rivelatore. Venne chiamata "spagnola" non perché ebbe origine in Spagna, ma perché la Spagna fu il primo paese a rendere nota l'epidemia. Dal momento che la Spagna non prese parte alla Prima Guerra Mondiale, nel paese non era in vigore la censura di guerra: altre nazioni, al contrario, avevano censurato la notizia della pandemia. Leggendo i titoli e gli articoli della stampa spagnola, molti dedussero che l'epidemia fosse iniziata lì. Dal canto loro, gli spagnoli pensarono invece che la malattia arrivasse dalla Francia e la chiamarono influenza francese. La CoViD-19 è anche il risultato di una mancata trasparenza da parte dei funzionari di Wuhan, che hanno ignorato e censurato gli avvertimenti iniziali.
La trasparenza è essenziale per ottenere la fiducia dei cittadini, che in questo contesto è necessaria per controllare l'epidemia. La fiducia determina se la popolazione crede nelle azioni del governo e ne ascolta i consigli. È inoltre necessaria affinché la gente si fidi degli annunci pubblici che spiegano come evitare di venire infettati. La Cina e l'Iran, per esempio, trasmettono informazioni sulla salute pubblica attraverso i canali della tv di stato, e queste misure sono essenziali per mettere a tacere le chiacchiere ed evitare che il pubblico si affidi a metodi poco adatti di medicina popolare. Entrambi gli stati, tuttavia, sembrerebbero aver perso questa battaglia per la credibilità, visto l'iniziale occultamento della malattia avvenuto in Cina, e il mancato riconoscimento dell'abbattimento accidentale di un aereo civile all'inizio di gennaio in Iran.
L'influenza spagnola fornisce un importante contesto storico anche per quanto riguarda la quarantena. Questa, che definisce un intervallo di tempo di quaranta giorni, venne impiegata per la prima volta a metà del XIV secolo per contenere la peste bubbonica, evitando che si diffondesse dalle navi in arrivo dall'Oriente e dalla Via delle Spezie.
Alcuni anni fa (2007), ricercatori coordinati da Howard Markel (Soria della medicina, University of Michigan) hanno pubblicato uno studio che valuta l'efficacia della quarantena utilizzando i dati ricavati dall'epidemia di influenza spagnola del 1918. Secondo la ricerca, per fermare un'epidemia è necessario agire presto, combinando anche misure come la chiusura delle scuole e la proibizione dei raduni pubblici.
Nel caso del coronavirus, le autorità cinesi hanno messo Wuhan e più di una dozzina di altre città in quarantena, isolando completamente circa 50 milioni di persone dal resto del mondo e rinchiudendo i malati con i sani: lo sforzo più grande che si sia mai visto nella storia, definito, da uno storico della medicina, "la madre di tutte le quarantene". Le preoccupazioni erano diverse, da come rifornire di cibo, acqua e altri prodotti chi era in isolamento, ad altre considerazioni pratiche: come sarebbe stato possibile recarsi al lavoro? Le famiglie sarebbero state separate? Sarebbe stata chiusa ogni strada?
Come se non bastasse, gli ufficiali locali di Wuhan non si sono mossi in tempo, come accade spesso in quell'intervallo di tempo tra le prime indicazioni di epidemia e una conferma sicura. Inizialmente hanno ignorato le scoperte scientifiche e permesso grandi raduni di persone, per poi mettere in atto la quarantena otto ore dopo averla annunciata, lasciando oltre cinque milioni di persone libere di abbandonare la città dopo l'inizio dell'epidemia e prima dell'inizio dell'isolamento. Markel, sul New York Times, ha definito la drastica quarantena cinese "troppo esagerata, e troppo tardi".
Che cosa ci insegna il vaiolo. Mentre un editoriale del Wall Street Journal invoca uno sfortunato cliché storico riferendosi alla Cina come al "malato dell'Asia" (rifacendosi a quando l'Impero Ottomano era chiamato "malato d'Europa"): uno dei popolari articoli sulla storia delle zoonosi offre delle valide lezioni imparate dal vaiolo, lasciando spazio a un po' di ottimismo.
L'articolo sottolinea che il vaiolo potrebbe essere stato la causa della morte del 20 per cento della popolazione di Atene, nel 430 a.C., un evento che testimoniò e successivamente narrò lo storico Tucidide. Nel corso del XX secolo, si stima che il vaiolo fu responsabile di 300 milioni di morti.
Tuttavia, dal 1966 al 1977, l'Organizzazione Mondiale della Sanità iniziò una campagna di vaccinazione internazionale che riuscì a debellare la malattia, divenendo uno dei successi più sostanziali della sanità pubblica globale del XX secolo. Il programma di eradicamento funzionò per il modo improvvisato e non convenzionale con cui il team dell'OMS gestì gli straordinari ostacoli burocratici, tecnici e fisici che si trovò ad affrontare.
Gli articoli pubblicati nel 1975 dall'OMS sul Journal of Clinical Pathology raccontano di operatori sanitari, in prima linea contro il vaiolo nei luoghi più remoti del mondo, rapiti e tenuti in ostaggio o minacciati di morte, o che camminano per centinaia di miglia per visitare i loro pazienti, e che si rifiutano di abbandonare le zone a cui sono stati assegnati.
La cooperazione globale per contenere oggi il coronavirus richiederà sforzi simili. Come nel caso del cambiamento climatico, minacce che riguardano la storia del mondo richiedono livelli di cooperazione che siano anche storia del mondo. Cina e Stati Uniti dovranno lavorare vicini, accanto ai governi locali, alle aziende private e alle organizzazioni non governative, per fermare la diffusione del virus.
La storia si ripete. «Se il passato recente può insegnarci qualcosa, che si tratti di SARS, MERS o COVID-19, è che bisogna affrontare queste epidemie in modo proattivo, dando maggiore importanza alla prevenzione», afferma Peter Daszak, esperto in ecologia delle malattie, in un articolo pubblicato di recente sul New York Times. Le società moderne trattano le pandemie come catastrofi, aspettando che si presentino e poi reagendo e sperando di trovare presto un vaccino. Questo, sostiene Daszak, è un approccio sbagliato.
Per quanto riguarda quello che ognuno di noi può fare per fronteggiare l'attuale epidemia, le misure migliori da adottare sono lavarsi spesso le mani e non toccarsi la faccia... Questo non è solo ciò che gli esperti di sanità pubblica raccomandano, ma quello che la storia insegna. Durante la guerra di Crimea, Florence Nightingale era convinta che il problema principale fosse costituito dall'alimentazione, dalla sporcizia e dalle fogne: portò al fronte cibo più sano (almeno per l'epoca) e ripulì cucine e reparti ospedalieri. La Nightingale ci ricorda, allora come ora, gli eroi sconosciuti, gli operatori sanitari in prima linea nel contenere la diffusione di un patogeno.
Gli altri eroi sono (oggi) quelli che ai primi sintomi si sono messi in quarantena volontaria: decidere di isolarsi, anche solo per prevenire la diffusione del patogeno, allevierà il peso che grava sulla sanità pubblica.
Un altro caso emblematico è quello del colera nella Londra vittoriana: tra le bufale che circolavano vi erano quelle che attribuivano la malattia all'aria malsana e ai miasmi. In altre occasioni si è data la colpa agli ebrei... Le bufale di oggi, col coronavirus, danno la colpa a laboratori clandestini o a qualche improbabile fondazione.
Quello che ognuno di noi può fare per combattere il virus... è cominciare a sfatare i miti virali che si diffondono, oggi come centinaia di anni fa.
Articolo tratto dal Bulletin of the Atomic Scientists (thebulletin.org): Black plague, Spanish flu, smallpox: All hold lessons for coronavirus, di Ibrahim Al-Marashi. Traduzione e adattamento per Focus.it di Chiara Guzzonato