Dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale i governanti europei pianificarono la nascita di un'organizzazione sovranazionale per porre un freno ai nazionalismi da cui era scaturito il conflitto. Iniziò così un processo di integrazione che investì l'ambito economico, per poi strizzare l'occhio a quello politico.
Il progetto di un'Europa unita, che convogliasse i destini degli Stati europei in un clima di pacifica cooperazione, era peraltro già emerso nei secoli precedenti, e alcuni storici individuano i primi germi di una comune identità addirittura nell'Impero romano, quando si creò un'omogeneità culturale poi cementata dal cristianesimo.
Ragioni per unirsi. «Se le ragioni concrete della cooperazione tra Stati europei sono da ricercarsi nelle due guerre mondiali, è perché queste furono un'importante "esperienza generazionale", che coinvolse in prima persona molti politici e pensatori del tempo», spiega Laura Fasanaro, docente di Storia dell'Integrazione europea all'Università Roma Tre: «a un certo punto, fu chiaro a tutti che la pacificazione del continente dovesse passare da una qualche forma di collaborazione; e per alcuni Paesi, come Germania e Italia, c'era anche l'esigenza di recuperare prestigio diplomatico, cosa più semplice all'interno di un'istituzione internazionale».
A erodere il mito dello Stato-nazione, sviluppatosi nel XIX secolo e responsabile di ripetute atrocità, contribuì la pubblicazione clandestina del Manifesto di Ventotene. A scriverlo furono, dal carcere di Santo Stefano, di fronte all'isola di Ventotene (Latina), alcuni antifascisti al confino, producendone più versioni tra il 1941 e il 1944. Si trattava di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, aiutati dalla moglie di Colorni, la tedesca Ursula Hirschmann. Questa, non essendo al confino, aveva libertà di movimento e contribuì a diffondere il Manifesto, che proponeva la creazione di un sistema basato su un'interdipendenza degli Stati: una casa comune in cui sarebbe scomparso ogni vecchio motivo di attrito. Nello specifico, si immaginava una federazione con un parlamento eletto a suffragio universale.
I PADRI. Le istanze europeiste furono condivise da molti politici del tempo, alcuni dei quali - come i francesi Jean Monnet e Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l'italiano Alcide De Gasperi, oltre naturalmente allo stesso Spinelli - sono oggi celebrati come "padri fondatori" dell'Europa unita.
«Alla diffusione delle loro idee si sommò il fatto che i vecchi Stati europei si ritrovarono sovrastati dalle superpotenze Usa e Urss, evento da cui derivò la sensazione che solo presentandosi compatti di fronte al resto del mondo avrebbero potuto recuperare posizioni nello scenario internazionale», aggiunge lo storico Leonardo Rapone: «in tale contesto gli europei occidentali rimarcarono peraltro la loro fedeltà al blocco filoamericano, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della Guerra fredda».
Questo articolo è tratto da Alle origini dell'Europa, di Matteo Liberti,
pubblicato su Focus Storia 126 (aprile 2017)
Passi decisivi. Nel settembre del 1946 fu la volta dell'ex primo ministro inglese Winston Churchill, che in un celebre discorso propose la nascita degli "Stati Uniti d'Europa". Due anni dopo (maggio 1948) all'Aja (in Olanda) si organizzò un congresso per discutere di una futura unione economico-politica.
Solo un mese prima era stata inoltre creata l'Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE), pensata per coordinare la ricostruzione post-bellica basata sui fondi americani del piano Marshall. «Il processo avviato all'Aja avrebbe portato il 5 maggio 1949 alla firma dei trattati di Londra, con cui si diede vita al Consiglio d'Europa. L'organizzazione contribuì alla promozione dei diritti umani, elaborando nel 1950 la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», riprende Rapone.
PAROLE chiave. Il cammino verso l'unità subì un'accelerazione il 9 maggio 1950 (oggi giorno della Festa dell'Europa). Con una storica dichiarazione, Robert Schuman, Ministro degli esteri della Francia, propose la creazione di una comunità internazionale i cui membri avrebbero dovuto mettere in comune le loro produzioni di carbone e acciaio.
L'idea di fondo, accolta da sei Paesi, era semplice: unificando gli interessi in questi settori si sarebbe resa impossibile una corsa individuale agli armamenti, favorendo nel contempo l'economia continentale. Detto, fatto: a Parigi, il 18 aprile 1951, Germania Ovest, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo firmarono un trattato per la gestione comune delle proprie industrie pesanti. L'anno dopo nasceva la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA).
SENZA ESERCITO. «La dichiarazione Schuman e la creazione della CECA ebbero grande valore sul piano economico, rilanciando i bilanci dei Paesi firmatari. Su quello politico, attenuarono le tensioni tra Francia e Germania, nazioni storicamente ostili e fresche rivali nella Seconda guerra mondiale», sottolinea Laura Fasanaro. «I francesi, tuttavia, nutrivano ancora parecchie riserve verso i tedeschi in tema di riarmo».
Proprio queste ritrosie fecero naufragare nel 1954 l'ipotesi di un esercito europeo, nonostante nel 1952 fosse stato firmato un trattato che prevedeva la nascita di una Comunità europea di difesa (CED) basata su una cooperazione militare.
Nasce la CEE. Sulla scia dei successi della CECA, i sei Paesi firmatari siglarono il 25 marzo 1957 i Trattati di Roma: nascevano così la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom), per indirizzare l'energia nucleare a fini pacifici, e, soprattutto, la Comunità economica europea (CEE), basata su un'unione doganale ma resa zoppa dalla mancanza di una politica di difesa ed estera comune.
«Questo aspetto fece storcere la bocca a chi attendeva la nascita di una federazione, ma in compenso i trattati velocizzarono l'integrazione sul terreno economico», racconta Rapone, «e la progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali, agevolando le esportazioni, si rivelerà un fattore di sviluppo per le diverse nazioni coinvolte».
In breve, a livello istituzionale vennero creati un'assemblea eletta a suffragio universale, una commissione, un consiglio e una corte di giustizia, mentre in ambito economico fu sancita la nascita di un Mercato europeo comune (MEC) in cui persone, servizi, merci e capitali potevano circolare liberamente. In seguito gli Stati membri inizieranno a elaborare strategie comuni anche su ambiente, clima, immigrazione e salute. Nel 1992 il trattato di Maastricht mandò in pensione la CEE istituendo l'Unione europea (UE).
Parabola discendente? La nuova organizzazione, arrivata nel 2013 a contare 28 Stati membri (oggi 27, dopo l'uscita del Regno Unito, il 31 gennaio 2020) iniziò la propria avventura l'anno dopo, nel 1993, ma non senza intoppi: progetti rimasti incompiuti - come quello di una costituzione europea - e aspre polemiche legate alla moneta unica hanno per esempio diviso gli schieramenti tra europeisti ed euroscettici.
«Dal punto di vista storico l'introduzione dell'euro nel 2002 è da leggere come un successo, visto che il sogno della moneta unica era stato coltivato per decenni», aggiunge Laura Fasanaro, «e altri successi sono facilmente riscontrabili nella maggiore sicurezza sulla tracciabilità dei prodotti e nei grandi investimenti nell'educazione».
Al netto dei nodi spinosi come quello della Brexit (la scelta del Regno Unito di lasciare la UE) e delle molte incognite sul futuro, vi è un ultimo successo di cui parlare, forse il più rilevante: il clima di pace che da oltre settant'anni distingue l'Europa, dove una guerra tra Stati membri è oggi inimmaginabile. Un risultato niente male, dopo secoli di conflitti, tanto da valere nel 2012 il Nobel per la Pace alla UE.







