Storia

Le mille vite di Tina Modotti: una rivoluzionaria al servizio dell'arte

Tina Modotti, friulana classe 1896, visse tante vite: attrice, fotografa, attivista politica, fino a diventare un agente segreto al servizio dei sovietici.

La fotografa Tina Modotti sotto la lente attraverso l'articolo "Mille e una Tina" di Maria Leonarda Leone, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Mille volti. C' è l'operaia delle filande, l'attrice di cinema muto e la modella, ma anche la fotografa politicamente impegnata, la comunista rivoluzionaria e l'agente segreto sovietico. Non donne in competizione, ma tutte anime dello stesso corpo, quello, fragile solo all'apparenza, di Tina Modotti.

"La Mata Hari del partito comunista internazionale": in Russia è stata definita così questa friulana, nata nel 1896 in un quartiere popolare di Udine e battezzata Assunta Adelaide Luigia, il nome di sua madre, sua nonna e sua zia tutti in uno. Morì a soli 45 anni, dopo una vita densa di esperienze sentimentali, artistiche e politiche, vissute in un periodo storico complesso, a cavallo della Prima e della Seconda guerra mondiale, del nuovo e del vecchio continente, tra il Messico postrivoluzionario e la Mosca di Stalin, tra l'Europa delle dittature nazifasciste e la Spagna della guerra civile. Ma chi fu davvero Tina Modotti? E come finì a lavorare per i servizi segreti sovietici?

DAi sacrifici a HOLLYWOOD. «Era un'artista, godeva di considerazione e riconoscimento, si era fatta un nome in una professione che ai suoi tempi era riservata agli uomini. Tuttavia un bel giorno compì un passo che il poeta Pablo Neruda, suo amico, descrisse così: "Gettò la macchina fotografica nella Moscova e giurò a se stessa di dedicare la sua vita ai più umili compiti del Partito comunista"», racconta Christiane Barckhausen-Canale, nella biografia Tina Modotti, verità e leggenda (Asterios). Non si trattò di un colpo di testa. A quella decisione Tina ci arrivò col tempo, forgiata dalle sue stesse esperienze.

Tempra d'acciaio, appena dodicenne si assunse la responsabilità di provvedere alla madre e ai 4 fratelli più piccoli, mentre il padre e la sorella maggiore cercavano fortuna in America. Dodici ore di lavoro in una fabbrica tessile, pochi soldi e tanti sacrifici: tra i suoi biografi c'è chi vede in questa faticosa adolescenza le radici delle sue convinzioni politiche. Non si possono dimenticare, però, la sincera fede socialista paterna e le lotte sindacali per i diritti dei lavoratori che, da operaia in una fabbrica di camicie e poi di cappelli, visse sulla propria pelle quando raggiunse il padre a San Francisco.

Ma all'epoca la diciassettenne Tina preferiva lo spettacolo: forte della pratica sul palcoscenico della Filodrammatica a Little Italy e di quei capelli corvini che facevano da cornice a occhioni scuri e labbra carnose, fece il suo ingresso a Hollywood, recitando da protagonista in 3 pellicole mute.

Folgorazione Sulla via del Messico. Le affibbiarono il cliché della femme fatale: non era così che le piaceva apparire, ma a molti suoi contemporanei dev'essere sembrata tale nel 1923, quando, vedova da un anno dell'artista bohémien Roubaix "Robo" de l'Abrie Richey, si trasferì a Città del Messico con l'amante, il fotografo Edward Weston.

Tina fu tutto per lui: musa immortalata senza veli sul tetto di una casa messicana, aiutante tuttofare, compagna, ma soprattutto dotatissima allieva. Weston le insegnò la tecnica e lei la fece propria, trasformandola in un mezzo di denuncia sociale. Quando l'uomo se ne tornò in California dalla moglie, Tina poté così consolarsi con le due profonde passioni che il Messico le aveva fatto scoprire: la fotografia e la politica. Il Paese viveva un periodo di enorme fermento culturale: il legame stretto con i grandi pittori di murales impegnati ad avvicinare l'arte alle masse, uno fra tutti il panciuto Diego Rivera, fu per Tina una tanica di benzina gettata sul fuoco della sua coscienza di classe. Risultato: nel 1927 la fotografa si iscrisse al Partito comunista messicano, di cui i suoi amici facevano parte.

I SUOI UOMINI. Fieramente antifascista, cominciò a lavorare nella sezione messicana del Soccorso rosso (un'organizzazione comunista con ramificazioni in tutto il mondo, guidata dall'Urss, per sostenere le vittime dell'ingiustizia sociale), partecipò alle manifestazioni della Lega antimperialista, scrisse e pubblicò le sue foto sul quotidiano del partito, El machete.

Per questo Rivera la ritrasse in uno dei suoi più celebri murales, El Arsenal, nell'atto di armare il popolo per la rivoluzione proletaria. In quel dipinto compaiono altri due uomini importanti per Tina: il comunista cubano Julio Antonio Mella e, seminascosto alle sue spalle, l'antifascista triestino Vittorio Vidali, agente sovietico in missione in Messico come rappresentante del Soccorso rosso internazionale nel Centroamerica. Di Antonio, giovane e affascinante studente di legge, leader rivoluzionario e oppositore dell'autoritario presidente cubano Gerardo Machado, l'attivista friulana si innamorò subito. 

Omicidio politico. La loro storia finì pochi mesi dopo, la notte del 10 gennaio 1929: mentre rincasavano, due pallottole raggiunsero il ragazzo. Fu un omicidio politico, dubbio il mandante, ma di mezzo ci finì Tina, accusata e poi scagionata soltanto grazie all'intervento dei compagni di partito.

Ormai l'atmosfera messicana si era fatta pesante: il governo, preoccupato dell'attività dei rivoluzionari, sia rifugiati esteri sia di casa propria, approfittò dello sventato attentato al nuovo presidente Pascual Ortíz Rubio per colpire i comunisti. Mise fuorilegge il partito ed espulse gli stranieri, accusandoli di essere implicati nella cospirazione. 

SOTTO COPERTURA. Tra gli altri, il 25 febbraio 1930 anche Tina venne imbarcata sul piroscafo Edam diretto in Olanda. A bordo ritrovò una vecchia conoscenza: Vidali. Pochi mesi dopo, si riunirono a Mosca. "Vivo una vita completamente nuova, tanto che mi sento diversa", scrisse all'inizio del 1931 al suo ex, Weston, informandolo di aver detto addio senza troppa nostalgia alla sua fedele macchina fotografica Graflex reflex.

Ufficialmente lavorava per il Soccorso rosso internazionale, ma la realtà era un'altra. «Vidali e Tina Modotti vennero reclutati nel servizio segreto militare sovietico, la IV sezione dell'esercito. Dietro la facciata del Soccorso rosso internazionale, dunque, i due svolsero la loro attività di agenti segreti dell'Urss, con compiti organizzativi di estrema importanza», sostengono due giornalisti, Giovanni Fasanella e Monica Zornetta, nel saggio Terrore a nordest. Girarono l'Europa con documenti e nomi falsi, furono arruolati per una missione di controspionaggio in Cina (poi saltata), infine, nel 1936, inviati in Spagna.

IDEALISTA. A Madrid, durante la guerra civile scatenata dal movimento nazionalista del generale Francisco Franco contro il governo repubblicano, Tina diventò María Ruiz. Forte e silenziosa, sempre vestita di nero, rimase nei cuori di molti: arruolata nel battaglione femminile del Quinto Regimiento dell'esercito popolare di Carlos Contreras (alias Vidali), María curò i feriti, consolò gli sfollati, aiutò gli orfani e organizzò gli ospedali. Ma si occupò anche di controspionaggio e di "funzioni di collegamento". E venne a conoscenza degli omicidi di repubblicani anarchici e comunisti trotzkisti commessi, pare anche dallo stesso Vidali, in nome della caccia aperta da Stalin a tutti i suoi contestatori. Quando le forze antifasciste vennero sbaragliate dalle armate di Franco, rientrò a Città del Messico, con un passaporto spagnolo intestato a María del Carmen Ruiz Sánchez.

La fine. Era il 1939: gli amici, che non la vedevano da dieci anni, non riconobbero più la loro "Tinísima". Triste e invecchiata dalla guerra, se ne stava in disparte, silenziosa. Anche il suo rapporto con Vidali sembrava essersi raffreddato. Il patto di non aggressione stretto dal dittatore rosso con Hitler (1939) e l'assassinio di Lev Trotzkij compiuto dagli stalinisti (1940) le diedero il colpo di grazia.

Proprio lei, segnalata a Washington come "agente della polizia segreta sovietica", lei, che secondo il diplomatico messicano Octavio Paz avrebbe dovuto esser chiamata non "Tinísima" ma "Stalinísima", non rinnovò la tessera del partito. La morte la colse di lì a poco. Non più attrice, non più fotografa, non più comunista, ne era rimasta solo, messa a nudo e ferita, l'anima più pura: quella di idealista.

17 agosto 2024 Focus.it
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