Storia

La storia dell'igiene

L’uomo ha sempre cercato la pulizia, ma il concetto di sporcizia è molto cambiato nei secoli.

La lotta alla sporcizia è sempre stata un impegno quotidiano, per il corpo e per la casa, anche quando questa era una caverna. Pure gli animali, del resto, sanno pulire. Tane e nidi vengono spesso sgombrati da deiezioni e avanzi di cibo. I felini si lavano leccandosi, gli elefanti fanno la doccia con la proboscide. Gli uccelli si bagnano e si lisciano le penne a lungo. Gli scimpanzé si puliscono il pelo reciprocamente (un comportamento definito grooming ), passando in questo modo circa un quinto della loro vita.


Punti di vista. Pulire e pulirsi sembra proprio un dovere, in natura. In un saggio dell’antropologa Virginia Smith (Clean, A History of Personal Hygiene and Purity, Oxford University Press) si argomenta che noi umani sin dalla preistoria ci adoperiamo per allontanare rifiuti e altri maleodoranti materiali, provvedendo a controllare sia l’aspetto sia l’odore che emettiamo, in un istintivo bisogno di sentirci puliti. Ma non sempre abbiamo avuto una visione univoca su che cosa sia “sporco”. E non sempre, nella storia dell’igiene, acqua, sapone e disinfettanti furono rimedi riconosciuti. I Greci e i Romani, per esempio, non usavano il sapone, ma uno strumento di legno per raschiare la pelle (lo strigile), pur ricorrendo a frequenti bagni e oli profumati.

Dal Rinascimento fino all’Illuminismo, in Europa l’uso dell’acqua per bagnarsi era scoraggiato o addirittura vietato dai medici: l’acqua, secondo loro, apriva i pori della pelle attraverso i quali potevano entrare gravi malattie. Se un bagno veniva concesso, era poi consigliato un giorno di riposo a letto per recuperare il presunto indebolimento del corpo.

Nel Medioevo, in assenza del water, lusso della modernità, il vaso da notte era svuotato in strada. Nella xilografia, in testa ad alcuni cantori.

Filosofi e pulizia. All’epoca, in Europa, si faceva largo uso di profumi e ci si puliva “a secco”, con crusca, sabbia e cipria, mentre gli indios dell’Amazzonia si curavano la pelle con la cenere e andavano allegramente in acqua, e gli Arabi avevano da tempo inventato il sapone moderno a base di soda caustica e salvato la tradizione romana dei bagni e delle latrine pubbliche, oltre agli scritti dei filosofi greci.

Questi filosofi avevano da parte loro inventato molto anche nel campo dell’igiene. Aristotele, per esempio, nella Costituzione degli Ateniesi, parla dell’esistenza di un “assessorato” che dirigeva il lavoro dei coprologi, gli spazzini di allora, che avevano il compito di portare i rifiuti ad almeno due chilometri dalla città, liberando il centro urbano del suo principale problema: l’accumulo d’immondizia nelle vie.

Un po’ come oggi a Napoli, l’antica Neapolis fondata dai Greci che, paradosso storico, presenta nei suoi sotterranei prove schiaccianti di abilità nella costruzione di cisterne e reti idriche; Napoli fu insomma fra le prime città a dare un importante contributo alla storia dell’igiene.

Furono poi i Romani che, con acquedotti e terme, misero in pratica le raccomandazioni sull’igiene di esperti greci come Ippocrate, Erodico e Galeno. Solo a Roma, 2.000 anni fa, 11 acquedotti portavano ogni giorno un miliardo di litri d’acqua corrente e garantivano a più di un milione di persone di bere, lavarsi ed espletare in sicurezza i propri bisogni fisiologici.


In un’altra città romana, Pompei, si può ancora vedere come sia relativo a volte il rapporto con la sporcizia. Fra i resti preservati dalle ceneri del Vesuvio, s’incontrano spesso anfore semi-interrate: il viandante del 79 d. C. era invitato a chiare lettere latine a utilizzarle come orinali. L’urina umana era molto ricercata perché veniva utilizzata dai fulloni per conciare le pelli a causa del contenuto di ammoniaca. Il rapporto con la pipì era così proficuo, per gli artigiani di concerie e tintorie, che l’imperatore Vespasiano decise di mettere una tassa sull’urina. Alle proteste in difesa della gratuità di questo semplice rifiuto corporeo, lui rispose con la storica frase: pecunia non olet (i soldi non puzzano).

Berna, 1790: prostitute puliscono le strade della città.

Sporcizia da nascondere. Il nostro rapporto nel tempo e nello spazio con la sporcizia è davvero mutevole. In effetti, a sporcizia è vista nelle varie culture umane come “materia fuori posto”. Lo sporco insomma stona, puzza, guasta l’ordine e la simmetria, a prescindere dalla sua pericolosità. Una conseguenza di questo relativismo antropologico, unito alla povertà, è che, con buona pace di Vespasiano, oltre due miliardi e mezzo di persone ancora oggi non hanno un water o una latrina.


Soldi dallo sporco. Lo stesso relativismo spiega anche tante contraddizioni. Per esempio, fra la cura maniacale dell’igiene con cui venivano tenute le case olandesi nel XVII secolo e le pessime condizioni in cui versava Londra a metà dell’Ottocento, in particolare il quartiere di Soho, sconvolto da un’epidemia di colera imputata dagli esperti vittoriani ai miasmi dell’inquinamento industriale. Miasmi che dovevano per forza essere tollerati, secondo i capitalisti di allora, che allargavano le braccia:“pecunia non olet”.

Altro esempio: il contrasto fra l’organizzazione dei consumisti Stati Uniti, che per smaltire l’immondizia hanno prodotto la discarica più grande del mondo, la Fresh Kills di Staten Island (tre volte il Central Park per estensione e più alta della Statua della Libertà), e l’arretrata situazione igienica nell’India moderna.

Dove gli escrementi umani non finiscono in reti fognarie, ma spesso si accumulano a secco nelle case, in tanti letamai domestici.


Già impuri. Gli intoccabili , cioè i fuori casta, si occupano di rimuovere con le mani gli escrementi, secondo una tradizione che prevede l’ingaggio soprattutto di donne in giovane età. Gli intoccabili coinvolti in questa occupazione, circa un milione, non subirebbero alcun danno secondo la tradizione, perché già impuri. È un esempio di trasferimento del concetto di sporcizia dalle cose alle persone.

Gli spazzini dell’India sono gli intoccabili: “impuri” che anche a mano tolgono gli escrementi da case e strade.

Anche la tradizione giudaico-cristiana a suo tempo lo ha fatto, ricorrendo ai principi di “mondo” e “immondo”, puro e impuro. Dice la Bibbia: «Il Signore aggiunse a Mosè: “Riferisci agli Israeliti: quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio sarà immonda per sette giorni (…) poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario (…). Ma se partorisce una femmina sarà immonda due settimane; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue”» (Levitico 12).

Una emarginazione implacabile riguardava poi i malati di lebbra. «Il lebbroso porterà vestiti strappati e il capo scoperto, si coprirà la barba gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; abiterà fuori dall’accampamento» (Levitico 13). I lebbrosi venivano dichiarati immondi dopo la visita di un sacerdote, che fungeva in pratica anche da medico per la diagnosi di molte malattie che comportavano lo status di immondo. I sacerdoti vigilavano anche sulle disposizioni di Jahvè sui cibi, primo fra tutti il maiale, sporco e immangiabile. Per i cristiani, poi, divenne pratica quotidiana la purificazione (pulizia) interiore dai peccati con preghiere e penitenze.

Sanità religiosa. In generale sono state le religioni i primi “ministeri della sanità”, con prescrizioni sulla pulizia del corpo (comprese le abluzioni rituali), sul consumo dei cibi, sull’isolamento di malati infettivi. Se lo diceva un dio… il divieto era di sicuro effetto. Ma l’antropologo americano George Harris, nel libro Buono da mangiare, ha spiegato che, per esempio, il qualificare un cibo mondo o immondo aveva spesso un motivo pratico: allevare maiali sarebbe stato un suicidio ecologico per gli Israeliti che abitavano zone di pascolo precarie, dato che questi animali scavano e sradicano tuberi e piante. Il problema non esisteva invece in Cina, dove l’ambiente boscoso di allora tollerava l’impatto ambientale del maiale. Il suino era lì considerato ottimo e anche simpatico. Più vicino a noi, il dio celtico Lug veniva rappresentato con un cinghiale, ad anticipare il successo della sua versione domestica (il maiale) nel Centro Europa, dove abbondavano le foreste.


Ci sono voluti secoli per capire quali agenti nella “materia fuori posto” fossero nocivi per la salute. Ci si copriva con vestiti stretti, lasciando scoperti solo viso e mani per timore che le malattie, come spiriti maligni, passassero attraverso la pelle. Si pensava che i parassiti si generassero dalla sporcizia, come dire che dalla materia inanimata si ripetesse il fenomeno planetario della nascita della vita.


Verso la scienza. Un passo decisivo venne compiuto con la scoperta dei batteri e l’uso del fenolo. Quando il chirurgo Joseph Lister arrivò a Glasgow, nel 1861, secondo il Royal Infirmary, il 90% dei casi di fratture (frequenti fra gli operai di una città industriale) finiva con l’amputazione. Molti morivano di febbre post-operatoria. Lister notò che la cancrena raramente si presentava fuori dagli ospedali. Non doveva quindi dipendere dai “gas venefici” indicati dalla teoria del miasma, ma da qualcosa che la trasmetteva da un paziente all’altro: fasciature usate, ferri chirurgici, le stesse mani dei medici.

Scoperta rivoluzionaria. Il francese Louis Pasteur dimostrò poi come la fermentazione di liquidi fosse legata ai batteri e come la bollitura fosse capace di bloccarla. Lister intuì che nelle ferite avveniva qualcosa di simile: se il calore bloccava la fermentazione, che cosa poteva impedire la putrefazione? Lister usò il fenolo (deodorante per le fogne). Fu un successo, che pubblicò sulla rivista The Lancet il 16 marzo 1867. Questo metodo, detto antisettico, e la disinfezione degli attrezzi chirurgici dimostrarono il valore dell’igiene su base “scientifica”. A Dresda nel 1911 la prima mostra sull’igiene attirò 5 milioni di persone.

3 gennaio 2016 Franco Capone
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