Storia

La storia della tortura

Tre millenni di torture: dagli Egizi all’Iraq. Con un denominatore comune: la crudeltà degli aguzzini è sempre giustificata con un interesse superiore: la sicurezza dello Stato, l’ortodossia religiosa, la lotta al crimine. Ma rimane orribile, inutile, spesso controproducente.

Mi hanno fatto inginocchiare. Volevano che dicessi chi erano i leader. Quando ho risposto che non sapevo niente, dopo avermi ammanettato, hanno tentato di affogarmi, di strangolarmi, mi hanno dato calci nella pancia. Mi hanno tolto i vestiti e hanno minacciato di violentarmi. Poi mi hanno fatto inginocchiare davanti a un monte di sterco di vacca ancora caldo. Mi hanno avvicinato un coltello al collo e mi hanno fatto mangiare mezzo chilo di sterco».

Valdecir Bordignon, agricoltore brasiliano, ha ricevuto questo trattamento nel 1999 dagli squadroni di polizia del Paranà, in Brasile, a caccia dei capi del movimento dei “Senza terra”.

Oggi rivediamo scene simili in diversi Paesi del mondo, anche evoluti. Un'aberrazione moderna? Tutt'altro. Oggi la tortura dispone di strumenti ingegnosi, ma è tuttora l'uso di metodi violenti e umilianti in nome di un interesse superiore: stanare criminali, punire o far confessare colpevoli di delitti, intimidire i nemici. Un male necessario? La storia (e la scienza) dicono di no. Eppure, l'uomo è ben lontano dall'averlo compreso. Anche perché le radici di questo comportamento sono molto più antiche di quanto si pensi...

In un'illustrazione del '600 la rappresentazione di varie torture fatte agli schiavi italiani catturati dai saraceni: impalati, squartati da 2 navi, bruciati vivi, crocefissi, bruciati con candele, murati vivi, fatti a pezzi, trascinati da cavalli.

Radici millenarie. Le prime tracce della tortura risalgono già agli antichi Egizi, che fin dal XX secolo a. C. usavano metodi crudeli (soprattutto bastonate e frustate) per intimorire, punire o far confessare i malfattori o i nemici.

Un torturato appeso per le braccia e tormentato con tizzoni infuocati.
Un torturato appeso per le braccia e tormentato con tizzoni infuocati. Nell’antica Roma si usava la graticola: il prigioniero era steso su un letto di ferro sospeso su carboni ardenti.

Ma fu con i Greci, e soprattutto con i Romani che la tortura prese piede: non a caso la parola tortura deriva dal latino torquere (torcere il corpo). Inizialmente applicata agli schiavi (per i liberi la credibilità era convalidata dal giuramento) poi si estese con l’assolutismo imperiale: fu usata sui rei di lesa maestà, sui maghi e sui bugiardi.

La tortura diventò uno strumento giudiziario perfettamente legale: la confessione era indispensabile, nel diritto romano, per formulare una condanna. La flagellazione, con la frusta formata da lunghe cinghie di pel di bue che tagliavano come un coltello, era la più utilizzata. Ma vi erano anche altri metodi: gli schiavi che avevano tentato di fuggire erano marchiati a fuoco sulla fronte; sotto l’imperatore Costantino allo schiavo colpevole di aver sedotto un uomo o una donna liberi veniva versato piombo fuso in gola. La stessa crocifissione di Gesù (cruciare significava “tormentare”) era uno dei terribili supplizi riservati ai malfattori.

Barbarie medievali. A dispetto del loro nome, i barbari non praticavano torture.

Avevano però un modo cruento per provare la colpevolezza di un accusato: l'ordalia. In caso di dubbio, solo chi riusciva a tenere nel palmo della mano un ferro rovente o a immergere il braccio in un paiolo di acqua bollente, dimostrava la propria innocenza.

La tortura della battitura dei piedi in voga in Europa nel rinascimento. Quella del carnefice era un
La tortura della battitura dei piedi in voga in Europa nel rinascimento. Quella del carnefice era una professione riconosciuta.

La rinascita del diritto romano, alla fine del XII secolo, riportò in auge la tortura come strumento giudiziario (sia punitivo, sia per ottenere confessioni). Varie erano le tecniche: la più comune era quella della “corda”, cioè sollevare dal suolo il sospetto con una corda legata ai polsi facendo poi precipitare il malcapitato da varie altezze, disarticolando gli arti superiori, oppure la “stanghetta”, con cui si comprimeva la caviglia fra due tasselli di metallo; “le cannette” inserite fra le dita delle mani e poi strette con cordicelle; le tenaglie roventi con le quali si strappavano le carni o l’acqua fatta ingerire, con la forza, a litri. Ma non tutti i tribunali applicavano questi sistemi in modo abituale. Almeno fino al 1252, quando papa Innocenzo IV ne autorizzò ufficialmente l’uso nei processi contro gli eretici, quando vi erano forti dubbi e contraddizioni sulle confessioni dell’imputato.

Pera di ferro, strumento di tortura
La “pera di ferro”: tramite il meccanismo a vite si apriva la bocca fino a slogarla.

Ma alla tortura si ricorreva solo in casi eccezionali: spesso era sufficiente la sola minaccia del supplizio; in ogni caso i manuali dell’epoca raccomandavano che venisse fatta in maniera limitata, senza menomare la vittima in modo permanente, e che ogni sessione di tortura non dovesse durare più di 10 minuti. Alla fine, se l’eretico confessava, doveva pentirsi davanti alla comunità con un “atto di fede” (auto da fé, in portoghese) indossando un saio nero con un alto copricapo. In caso contrario, c’era il carcere a vita o il rogo, per gli eretici recidivi o gravi: si bruciava il corpo della vittima affinché non potesse più risorgere dopo il Giudizio universale.

Cambio di rotta. La pratica della tortura continuò a lungo. L'Inquisizione romana, tra il 1542 e il 1761 mandò al rogo 97 persone, fra cui il filosofo Giordano Bruno che non volle rinnegare le proprie idee; Galileo Galilei invece si salvò perché abiurò.

Il quadro culturale iniziò a cambiare con l’Illuminismo. Cesare Beccaria nel trattato Dei delitti e delle pene (1764) condannò la tortura come prassi inutilmente crudele: “Se un delitto è certo, inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, non devesi torturare un innocente perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati”.

Il primo Paese a ripudiare la tortura era stata la Prussia nel 1740; alla fine del secolo la Rivoluzione francese ribadì i diritti dell’uomo anche se sospetto criminale. Ma la “ragion di Stato” prevalse anche sull’egualitarismo: nel 1800 la polizia francese cominciò a usare – in segreto – varie droghe negli interrogatori per far confessare i criminali.

Orrori moderni. Il secolo scorso è stato uno dei più bui della storia per il ricorso alla tortura. Nella I guerra mondiale (1914-1918) i turchi compirono atti efferati nei villaggi armeni: alle donne, dopo essere state violentate anche da 40 soldati, venivano strappate le sopracciglia e le unghie, tagliati i seni; agli uomini erano amputati i piedi e nei moncherini erano inseriti chiodi da ferratura da cavallo.

tortura in Corea
Flagellazione in Corea agli inizi del 1900: spesso la tortura diventa un rituale pubblico per scoraggiare ogni trasgressione.

Nella nascente Unione Sovietica (1919-1950), molti preti, compresi vescovi, furono bruciati vivi, a fuoco lento; agli ufficiali che si opponevano al regime venivano tagliati i testicoli, sfregiato il volto, cavati gli occhi e tagliata la lingua. Questa sorte toccò anche, durante la II guerra mondiale, a molti prigionieri di guerra tedeschi. Spesso nei gulag le vittime venivano trafitte con una baionetta nello stesso punto, lentamente, anche 15 o 20 volte. Ad alcune vittime veniva iniettata polvere di vetro nel retto.

I nazisti, dal 1933 al 1945, trasformarono la tortura in un fatto di massa: deportarono nei campi di sterminio ebrei, zingari, omosessuali e dissidenti politici per sterminarli sistematicamente. Li picchiavano (anche fino a 800 volte) con pesanti bastoni, spegnevano le sigarette sui genitali, strappavano le unghie... I prigionieri erano usati anche come cavie umane per atroci esperimenti: riduzione di ossigeno e di pressione atmosferica, congelamento e raffreddamento prolungato, prove di sterilizzazione e castrazione. E prima ancora di distruggerne i corpi, i nazisti annientavano le anime dei prigionieri: sostituivano i loro nomi con numeri, li costringevano a lavori massacranti e inutili, li affamavano. Fino a cancellarne la dignità.

Istruzioni per l'abuso. Ma la pace non ha cambiato le cose. Durante la guerra fredda gli Usa, ossessionati da spie e presunte tali, misero a punto nel 1963 un vero e proprio manuale sull'interrogatorio di controspionaggio, il "Kubark", basato sul modello delle 3 D: dependency, debility, dread (dipendenza, debilitazione, terrore). Per far confessare i prigionieri si manipolavano le funzioni vitali con privazioni sensoriali (niente luce o luce artificiale continua; nessun suono o suoni ossessivi); indebolimento fisico; droghe; tormenti vari (stare in piedi per ore o in posizioni scomode). Il tutto con l'ulteriore vantaggio di non lasciare tracce riscontrabili a un esame medico.

Il manuale fece scuola in tutti i conflitti successivi: già nel 1973 Amnesty denunciava che la tortura era diventata "un fenomeno internazionale: esperti stranieri girano da un Paese all'altro, scuole di tortura illustrano e dimostrano i vari sistemi, e il moderno armamentario della tortura viene esportato da un Paese all'altro".

La parola d’ordine? Non solo far soffrire, ma soprattutto annullare la volontà dei prigionieri.

Inferno globale. Così la tortura è diventato un metodo globale. Fu usata nella guerra del Vietnam (anni '60) dai militari Usa, nella Grecia dei Colonnelli (anni '60), nella Gran Bretagna impegnata contro i separatisti dell'Ira (anni '70) fino ad arrivare alla Cambogia: durante il regime di Pol Pot (1976- 1979), gli oppositori erano torturati con schegge di vetro o puntine di grammofono infilate sotto le unghie. Le vittime erano picchiate con il guanto di ferro, la cui superficie esterna era ricoperta di chiodi. Un altro metodo era far stendere il prigioniero a terra con la faccia in su: 4 uomini gli tenevano ferme le spalle e la testa, e il collo gli veniva tirato, mentre un quinto uomo lo colpiva, sul collo, col calcio di una rivoltella o con una mazza fino a fargli uscire il sangue dalla bocca e dalle narici. Molti erano ustionati con acqua bollente o con candele accese.

Gli ultimi orrori, in ordine di tempo, sono le camere della tortura argentine (1976-1983) e cilene (1973-1990) nelle quali si utilizzava molto l’elettricità: gli aguzzini collegavano la batteria di un’auto ai genitali o ai capezzoli delle vittime, costrette a continue docce gelate e minacciati di morte. I cadaveri (o i prigionieri agonizzanti) venivano fatti sparire gettandoli nell’oceano dagli aerei.

Dopo il 2000. Quantificare le torture oggi? Impossibile. Ma siamo nell'ordine di migliaia di casi secondo Amnesty International. I più noti sono venuti a galla dall'inferno del carcere di Abu Ghraib (Iraq): scosse elettriche, pestaggi, umiliazioni sessuali… Per non parlare del carcere Usa a Guantanamo, dove 460 persone sono recluse senza processo né accuse in condizioni inumane, con suicidi sempre più frequenti. Eppure questa è solo la punta di un iceberg: in 104 Paesi (su 190, 1 su 2) si tortura per estorcere confessioni, punire criminali, imporre la disciplina... E la lotta contro il terrorismo non è la motivazione più frequente: in molti Stati (Cina, Russia, Paesi islamici) i diritti umani sono un optional.

Ma anche i Paesi democratici hanno un lato oscuro. Nel dossier di Amnesty figurano infatti molte nazioni europee. Compresa l’Italia, dove l’episodio più grave riguarda 59 poliziotti accusati di violenze contro i manifestanti di Napoli (marzo 2001) e Genova (luglio 2001: quasi 100 feriti, di cui 3 in coma). Ancora più preoccupanti le situazioni strutturali: le carceri e i centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) per immigrati. Nelle prigioni italiane, oltre a episodi di maltrattamento da parte di agenti, il sovraffollamento e l’assistenza sanitaria inadeguata sono equiparati a torture, tanto da aver causato diversi suicidi. E nei Cpta, oltre a casi di abuso, si segnalano sovraffollamento, scarsa igiene e assistenza sanitaria insufficiente, e in alcuni casi l’uso illegale di sedativi.

Criptopolizie al buio. «Non c'è Paese al mondo» diceva lo scrittore Leonardo Sciascia negli anni '80 «che ormai ammetta nelle proprie leggi la tortura, ma di fatto sono pochi quelli in cui polizie, sotto polizie e criptopolizie non la pratichino. Nei Paesi scarsamente sensibili al diritto – anche quando se ne proclamano antesignani e custodi – il fatto che la tortura non appartenga più alla legge ha conferito al praticarla occultamente uno sconfinato arbitrio».

Che può essere sconfitto solo facendolo venire alla luce.

17 settembre 2014
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