La chirurgia plastica ha origini lontanissime: plastica deriva da plastikos, vocabolo greco che significa modellare, dare forma. Ma la descrizione dei primi interventi di chirurgia plastica risalgono ai papiri egizi e ai testi sanscriti dell’antica India. Già il papiro di Edwin Smith, datato 3.000 a. C. contiene la prima descrizione della chirurgia di un trauma facciale, con fratture nasali e della mandibola.
Nemici e galeotti. Per la prima ricostruzione di nasi, orecchie e labbra si deve arrivare ai testi Indù datati circa 400 a. C. Allora andava di moda tagliare il naso al nemico, e anche il sistema giudiziario comminava l’amputazione di nasi, orecchie e genitali.
Non stupisce allora che un autore Indù, Sushrata, descriva per primo nella sua enciclopedia Samhita, la ricostruzione dell'orecchio con pelle prelevata dalla guancia e la ricostruzione del naso detta ancora oggi con il "metodo indiano" o "indù": con una incisione su tre lati si prelevava un lembo quadrato di cute dalla guancia adiacente e lo ribaltava, fino all'attecchimento, sulla zona da ricostruire. Sempre ai medici indù si deve il trapianto di pelle prelevata dalle natiche: tecnica che predaterebbe di più di 2 millenni il primo trapianto ufficiale di pelle descritto da Jacques-Louis Reverdin, chirurgo svizzero, nel 1869.
Sbarco in Occidente. Nel 4 secolo a. C. Alessandro Magno il Macedone invase l'India, e importò queste tecniche di ricostruzione nel bacino del Mediterraneo. Si diffusero, tanto che nel 1 secolo d.C. il medico romano Aulo Cornelio Celso descrisse la riparazione della mutilazione delle labbra, delle orecchie, del naso nel suo De Medicina. E nel 4 secolo d. C. Oribasio, medico di corte bizantino, nella sua Synagogue Medicae (una enciclopedia di 70 volumi), dedicò ben due capitoli alla ricostruzione dei difetti della faccia.
Pratiche assai utili a quei tempi: si dice che nell'8° secolo Giustiniano II fosse detto Rhinometus, cioè "dal naso mozzo" perché dopo essere stato rovesciato dal trono era stato anche mutilato per impedirgli di riconquistare lo status di imperatore. Pratica che non ebbe grande risultato: Giustiniano II si fece ricostruire il naso e ritornò al potere: c'è chi sostiene che alcune sue statue marmoree lo raffigurino con una cicatrice sulla fronte, nella zona del prelievo.
Contemporanea è la correzione del labbro leporino, che a partire dal 4° secolo veniva praticata in Cina dai medici della dinastia Chin.
Secoli bui... con qualche lampo. La caduta di Roma, nel 5° secolo e le invasioni barbariche fecero dimenticare queste tecniche. E il Medio Evo fu, sotto questo aspetto, un periodo di arretratezza. Con qualche eccezione: nel 920 nel Leechbook of Bald, testo antico inglese di pratiche mediche, si descrive la prima operazione di correzione della palatoschisi: cioè un malformazione del palato che durante la gravidanza non si salda.
Ma nel 13° secolo papa Innocenzo III proibì ogni intervento chirurgico, e la maggior parte dei medici del tempo iniziarono a considerare disonorevole e volgare la manualità degli interventi chirurgici che diventarono competenza dei barbieri.
La chirurgia plastica ricostruttiva fu reintrodotta in Europa nel 9°-12°: gli arabi, che avevano invaso la valle dell'Indo nel 711 d. C. e vi avevano appreso le tecniche di ricostruzione, le reimportarono nel bacino del mediterraneo quando conquistarono la Spagna e la Sicilia.
Mamma li Turchi. Cerrahiye-i Ilhaniye, il primo testo di chirurgia illustrato è patrimonio della letteratura turco-islamica: Serafeddin Sabuncuoğlu vi descrisse le tecniche della chirurgia maxillo-facciale, delle patologie delle palpebre e della ginecomastia: ancora oggi la sua tecnica per asportare il tessuto ghiandolare anticipa la moderna mammoplastica riduttiva.
La scuola italiana. In Italia invece sono di quel periodo le grandi famiglie in cui il mestiere di barbiere-cerusico era ereditario. Un esempio fu la famiglia Branca, vissuta nella Sicilia del 15° secolo: il padre, nel 1442 reintrodusse la ricostruzione del naso con la tecnica indiana, ma così come nell’India antica la casta indiana Koomas, (cioè dei cerusici-produttori di mattoni) non divulgava le sue tecniche, lo stesso fece Branca padre, che le tramandò al figlio Antonio.
Le conosciamo grazie alla descrizione che ne diede Alexander Benedictus, allora docente all’Università di Padova: i Branca, per riparare labbra, nasi e orecchie, legavano un braccio alla zona da ricostruire, poi tagliavano dal braccio tre lati di un lembo quadrato di pelle e la ribaltavano sulla parte da ricostruire. A riparazione compiuta tagliavano il quarto lato del lembo e liberavano il braccio. Le tecnica, detta “metodo italiano” divenne patrimonio anche dei Boiardi, famiglia di medici calabresi.
Un po' di pipì e si riattacca. All’Università di Bologna lavorava Leonardo Fioravanti, che nel suo Il tesoro della vita humana pubblicò il resoconto delle ricostruzioni nasali effettuate dalla famiglia di barbieri Vianeso, suscitando l’interesse di Gasparo Tagliacozzi che ne divulgò la metodica.
Leonardo Fioravanti rese nota anche la tecnica del trapianto. Questa risale alla civiltà indù, circa 2500 anni fa, e fu reintrodotta in Europa dagli arabi. Ma la prima descrizione, di Fioravanti, risale al 1570 «un certo gentiluomo Spagnolo chiamato Andreas Gutiero, cui era stato tagliato il naso in un duello, e poi le aveva fatto cadere nella sabbia e io che l’ho avuto in mano, era pieno di sabbia: ho urinato su di esso e l’ho lavato con urina, l’ho riappiccicato facendolo restare lì 8-10 giorni.». Barbara ma efficace.
Fra i lettori del racconto di Lucas c’era Joseph Carpue, chirurgo del York Hospital di Chelsea in Inghilterra: si esercitò sui cadaveri e nel 1814 effettuò la prima operazione su un ufficiale britannico che aveva perso il naso per colpa di un aterapia mal fatta a base di mercurio, e su un altro ufficiale mutilato da una sciabolata. Carpue pubblicò il suo lavoro con il titolo Restoration of a Lost Nose nel 1816 ridando nuovo splendore alla rinoplastica indiana.
Nasce la chirugia plastica moderna... Due anni dopo, era il 1818, il chirurgo tedesco Carl Von Graefe, considerato allora il miglior chirurgo d’Europa e padre della chirurgia plastica moderna, pubblicò Rhinoplastik: vi citava 55 operazioni di rinoplastica (con il metodo indiano, italiano e il nuovo metodo tedesco, che consisteva in un vero trapianto di pelle dal braccio), ma anche interventi di blefaroplastica (plastica della palpebra) e di palatoplastica, tanto da essere considerato padre della chirurgia plastica moderna.
Ma solo il suo successore rese le tecniche più tollerabili grazie all’introduzione dell’anestesia e all’intervento al naso in due tempi per migliorarne l’aspetto.
Per la ricostruzione completa del naso mancava la parte ossea: la soluzione risale al 1892 quando Robert Weir utilizzò lo sterno d'anatra, e coniò per primo in vocabolo "rinomania", cioè la ricerca patologica del perfezionismo chirurgico dei pazienti. «Un comportamento che sicuramente persiste tutt'ora ed è uno dei problemi più importanti della chirurgia plastica estetica» dice Michael Ciaschini, chirurgo plastico della Case Western Reserve University Hospitals di Cleveland.
Ma il primo intervento di chirurgia estetica risale alla fine del 1800. Nel 1892 John Orlando Roe, chirurgo di Rochester, nello stato di New York, pubblicò uno studio sulla rinoplastica intranasale, cioè come rifare il naso senza lasciare cicatrici esterne. Non eliminava la gobba, ma correggeva il naso a sella, deformità che affliggeva i figli di madri malate di sifilide, patologia venerea allora molto diffusa, che non riuscivano a trovare lavoro e compagno.
A lui si deve anche il primo intervento estetico di rinoplastica.
... e quella estetica: l'importante è la bellezza. Lo sdoganamento della chirurgia estetica era vicino. Anche in Germania Vincent Czerny sosteneva che il solo scopo estetico era sufficiente per giustificare un intervento chirurgico.
Fino alla fine del 19mo secolo la chirurgia plastica fu quasi esclusivamente ricostruttiva e di scarso valore. Poi la prima guerra mondiale cambiò tutto grazie alla chirurgia plastica militare: i molti traumi al capo riportati in battaglia fecero maturare la disciplina, soprattutto per quel che riguarda la chirurgia maxillofacciale. Nei centri di chirurgia plastica militare si riparavano le lesioni della testa e del collo e se prima della grande guerra le maschere coprivano le ferite più sfiguranti, dopo la guerra i visi sfigurati furono riparati dai chirurghi.
Fra il 1920 e il 1940 la chirurgia plastica era stata accettata anche dall’università. Il primo corso universitario di chirurgia plastica risale al 1924, negli Usa, al Johns Hopkins.
Niente più infezioni. Miglioramenti dell’anestesia, uso delle trasfusioni, dei sulfamidici e della penicillina per controllare le infezioni, ridussero di molto mortalità e morbilità delle procedure durante la guerra. In alcuni centri chirurgici plastici militari la mortalità era zero. Inoltre l’amputazione nella Seconda guerra mondiale fu meno usata rispetto ai precedenti conflitti. E si imparò a usare osso lieaco per la ricostruzione delle ossa del viso. Questa guerra fece avanzare ulteriormente la disciplina.
La prima mastoplastica con lo stesso tessuto della paziente fu effettuata da Czerny nel 1895: trapiantò un lipoma (deposito di grasso) dalla schiena di una paziente al suo seno per correggere una asimmetria.
E il seno cresce. Alla fine del 19° secolo si iniziò ad aumentare il seno con iniezioni di materiale sintetico. Nel 1899 si tentò con la paraffina, poi con cera d’api, oli vegetali e altre schifezze, tanto che a partire dagli anni 1960 questa pratica fu proibita per i danni che arrecava alle pazienti. Si passò allora alle protesi impiantabili: le prime erano d’avorio o vetro, ma furono abbandonate perché il seno sembrava poco naturale. Poi fu la volta di materiali spugnosi, come l’Ivalon, che poteva essere modellato per dare un’apparenza più naturale al seno, ma col tempo si restringevano, si indurivano e si distorcevano. Gli impianti moderni, a base di silicone, iniziarono nel 1963.
Liposuzione tricolore. La liposuzione è invece più recente: la tecnica di aspirare il grasso con una cannula fu inventata dall’italiano Arpad Fisher, e modificata nel 1987 dal dermatologo Jeffrey Klein con una nuova tecnica che consentiva di asportare un volume maggiore di grasso, ma con meno perdita di sangue.