"Le emozioni più forti le ho provate lungo le strade, quando sentivo la gente gridare così tanto il mio nome che mi veniva il mal di testa". È tutto racchiuso in queste parole l'amore che ha saputo suscitare in milioni di tifosi Marco Pantani, il Pirata, lo scalatore più forte degli ultimi decenni. Scopriamolo attraverso l'articolo "La parabola" di Arianna Pescini, pubblicato su Focus Storia in edicola.
Nel cuore di tutti. Dalla morte del ciclista romagnolo sono passati vent'anni: il 14 febbraio 2004 ci lasciava l'atleta che più ha avvicinato gli italiani contemporanei al ciclismo. Quello che ha conquistato Giro d'Italia e Tour de France nello stesso anno, il 1998, e che nonostante le controversie e i fiumi di inchiostro scritti su di lui, è rimasto nel cuore di chi lo ha visto scattare in salita, e fare il vuoto.
EROE TRAGICO. Quella del Pirata, infatti, è stata una carriera che ha fruttato meno di quanto avrebbe potuto, costellata di infortuni e con un finale tragico, ma proprio per questo ancora più romantica agli occhi dei tifosi. Nello sport ci sono i campioni perfetti, gli eroi costruiti per vincere, tutti tabelle e tecnica. E poi c'è Marco Pantani, l'eroe anti-eroe, pieno di luci e ombre, allegro e malinconico, sagace ma anche azzardato. Un atleta che la gente amava proprio per la sua imperfezione, per essersi rialzato dalle cadute, in strada e nella vita. Fino alla sospensione al Giro del 1999, e quei lunghi cinque anni che lo hanno fatto fuggire per sempre.
GAMBE E VOLONTÀ. Il ragazzo di Cesenatico mostra la sua stoffa già dai 13 anni: nessuno riesce a staccarlo in salita. Pantani vive per la bicicletta, e a detta dei suoi primi direttori sportivi ha una forza impressionante nelle gambe, unita ad una volontà ferrea. A16 anni cade, rischiando grosso. Ma si rialza e in poche stagioni mette in bacheca il Giro d'Italia dilettanti.
Salite e discese. Poi, nel 1994, la ribalta: alla Corsa rosa vince la sua prima tappa da professionista scendendo in picchiata verso la città di Merano, sporgendosi spaventosamente all'indietro sul sellino della bici. Il giorno dopo scala il Passo del Mortirolo in 43 minuti, di fronte a 100mila tifosi urlanti, staccando campioni come Indurain e la maglia rosa Berzin. Recupera le energie in discesa e trionfa in solitaria sul Passo dell'Aprica. "Pantani sei un mito", titola La Gazzetta dello Sport. Quando la strada del successo sembra spianata, però, altre due cadute lo allontanano dalle gare.
In mezzo, Pantani riesce a partecipare al Tour de France del 1995: ha i capelli rasati e l'orecchino, inizio della metamorfosi piratesca, e attende la montagna per scattare.
VOLI E CADUTE. L'Alpe d'Huez ha 21 tornanti disseminati per 13 km, con pendenze da capogiro. Pantani si alza sui pedali non appena la strada sale, leggero come una foglia. Indurain, sempre lui, lo lascia andare: sta già vincendo l'ennesimo Tour, e preferisce non scoppiare. Pantani supera i fuggitivi di giornata e va a vincere. Il pubblico è in delirio. La caduta alla Milano-Torino, in autunno, è quella più grave: un fuoristrada contromano lo prende in pieno, rompendogli tibia e perone.
la Scalata. La carriera è a rischio, ma dopo 5 mesi è di nuovo in sella. Perde ancora il Giro, nel 1997. Torna in Francia con una bandana in testa: la getta via mentre doma l'Alpe d'Huez in appena 37 minuti. Il suo sogno, però, è quello di indossare la maglia rosa, finalmente senza intoppi. Aspetta solo l'occasione giusta, che arriva nel 1998.
IMPRESA compiuta. Per Marco Pantani è l'anno perfetto, quello del ciclismo più bello. Alla Corsa rosa stacca i rivali sulla Marmolada, lottando poi con l'incrollabile Tonkov. La resa dei conti, il 4 giugno, è di quelle durissime, tutto sudore, sforzo, nervi al limite. Con la maglia rosa già sulle spalle, Pantani si libera del russo negli ultimi chilometri. L'arrivo a Plan di Montecampione, tra due ali di folla, è già leggenda. Il Pirata chiude gli occhi, esausto, e assapora ogni istante mentre taglia per primo il traguardo. Il Giro è suo. Così come l'Italia intera.
Tutto contro. Un mese dopo, al Tour, tutto sembra favorire il colosso tedesco Jan Ullrich. La svolta è sulle Alpi francesi. Siamo al 27 di luglio ma sul temibile Col du Galibier, a 2600 metri, piove e fa freddo. Scattare a 50 km dall'arrivo sfidando pioggia e vento gelido è da folli. Il Pirata lo fa: raggiunge la vetta della montagna senza che nessun rivale diretto osi seguirlo, sbucando dalla nebbia con il suo completino colorato. Si getta a capofitto nella discesa, duellando con l'asfalto fradicio e le curve, e non smette un attimo di spingere sui pedali. La maglia gialla Ullrich cede. Arriverà dopo nove minuti. I fari delle moto illuminano, nei metri finali a Les Deux Alpes, un piccolo corridore, distrutto, che chiude ancora gli occhi per sentire la magia di quell'impresa.
Pantastique. I francesi, padroni di un Tour scosso dallo scandalo doping, non credono ai loro occhi: "È un gigante", titola il quotidiano sportivo L'Équipe, coniando per il Pirata un nuovo aggettivo, "Pantastique".
La doppietta Giro-Tour lo consegna alla storia dello sport mondiale, accanto a campioni come Fausto Coppi, Eddie Merckx e pochissimi altri. In un'epoca senza social media, il romagnolo diventa un'icona moderna, riconoscibile in tutto il mondo.
ICONICO. Il Pirata e la sua bandana, una specie di simbolo da eroe risorgimentale. E poi l'orecchino, il pizzetto, la fisionomia. Segni distintivi di una "Pantani-mania" che polverizza tutti i record, compresi quelli degli ascolti televisivi. Tifosi di generazioni diverse tappezzano le strade con il suo nome. E attendono ogni volta, come in un rito, che quel copricapo cada a terra, segnale dell'inizio della battaglia.
Passione ciclismo. Un amore che ricorda i tempi di Coppi e Bartali, eroi, tra gli Anni '30 e '50, di un'Italia povera e acerba. Così scrisse il giornalista sportivo Gianni Mura: "Pantani veniva da lontano. Era un grande fossile preistorico, il 'Pantadattilo': uno scalatore puro in un periodo in cui occorreva essere forti soprattutto a cronometro. A lui invece bastava la salita. Era un ciclista così amato perché non lo si vedeva da un pezzo, e, morto lui, non si è più visto". Ma al culmine della fama e della gloria, ecco la caduta, quella più lunga e dolorosa.
L'ULTIMA TAPPA. È il 5 giugno del 1999. Quel giorno, a Madonna di Campiglio, Pantani ha il Giro d'Italia in tasca: è saldamente in testa alla classifica e mancano due tappe all'arrivo a Milano. Il mondo gli crolla addosso al controllo antidoping, l'ennesimo. L'ematocrito (il volume dei globuli rossi nel sangue) è a 52, oltre il limite consentito di 50. Quel numero non rileva la positività al doping, ma potrebbe esserne, teoricamente, una conseguenza. E significa una sospensione di 15 giorni. Pantani è frastornato, incredulo, grida la sua innocenza. Non si spiega la diversità con i valori del giorno precedente (ematocrito a 48).
L'ombra della camorra. Negli anni emergeranno tutte le anomalie di quell'esame, alcune eclatanti, come ha confermato la Commissione parlamentare antimafia, tali da rendere plausibile "l'ipotesi della 'manomissione' del campione di sangue". Sullo sfondo, l'ombra della camorra, forse un giro di scommesse legate alla vittoria del Pirata.
Linciaggio mediatico. Quel 5 giugno l'eroe di colpo diventa il reietto. Arrivano il linciaggio mediatico, le corti di giustizia che lo condannano, lo assolvono e lo indagano di nuovo, la depressione, la cocaina. Dal 2000 Pantani torna alle gare e ha un paio di guizzi, anche se corre ormai con un macigno sul cuore.
Per i tifosi, che lo hanno sempre difeso, è una dolce illusione. La sua storia finisce nel peggiore dei modi. Ma non si spegne il mito. Chi lo ha amato lo vede ancora là, al traguardo di Montecampione, sfinito e liberato, con gli occhi chiusi, sul tetto del mondo.