Il 27 aprile 2014 Karol Wojtyla e Angelo Giuseppe Roncalli, i due papi più amati degli ultimi decenni, sono diventati santi. In modo velocissimo: in fondo, dalla morte di Giovanni Paolo II erano passati solo nove anni.
Ma come ci si è arrivati? E perché si diventa santi?
Chiamata per tutti. Pochi sanno che per la Chiesa cattolica tutti i battezzati sono santi. Lo sono in senso letterale, cioè santificati, e lo sono proprio per il fatto di aver ricevuto il battesimo, sacramento che li fa diventare figli di Dio e membri della Chiesa. Non per niente san Paolo, quando scrive agli efesini, si rivolge loro come “ai santi che sono in Efeso”, e la Chiesa ancora oggi è definita anche la “Comunione dei santi”, ovvero la comunità che riunisce tutti i battezzati, vivi e defunti. È la cosiddetta "chiamata universale alla Santità".
Santi di serie A. Tuttavia esistono santi, per così dire, più santi degli altri. Sono quei battezzati che hanno dimostrato di essere fedeli al Signore in modo speciale, e sono di due tipi: i martiri, ovvero coloro che sono stati uccisi a causa della loro fede, e i cosiddetti confessori (sono tali per esempio i due papi che stanno per essere canonizzati). Anche i confessori, sono stati testimoni della fede, ma senza il sacrificio supremo della vita.
Questione di diritto. Per stabilire chi è santo, la Chiesa utilizza il diritto canonico, ovvero il sistema giuridico della Chiesa cattolica. Un codice che si è evoluto molto nei secoli: se una volta si poteva diventare santi semplicemente per acclamazione popolare, è almeno dal Concilio di Trento (1545) che la Chiesa ha incominciato a dotarsi di norme specifiche, per evitare confusioni e abusi (si pensi al commercio delle reliquie dei santi, fiorente nel Medioevo).
Tribunale (al contrario). La congregazione (cioè il ministero) che per il Vaticano si occupa della questione è quella detta “per le cause dei santi”, la cui sede è in un palazzo a pochi metri da piazza San Pietro: si chiama così perché, proprio come un tribunale, ha il compito di istruire le cause che possono portare a proclamare la santità di una persona.
Per procedere nella causa occorre prima di tutto che il candidato sia morto, poi che qualcuno proponga di aprire il processo e che il vescovo della Chiesa locale, là dove il candidato ha trascorso la vita e ha operato, accolga questa richiesta. La primissima parte del processo si svolge in effetti in ambito locale: si raccolgono documenti e testimonianze, si ricostruiscono i fatti. Se l’insieme di questi dati è ritenuto idoneo, il tutto viene trasmesso al Vaticano.
Avvocato del diavolo. Come in tutti i processi, anche in questo caso ci sono un’accusa e una difesa. L’avvocato difensore, se vogliamo usare questo termine, è il cosiddetto postulatore (colui che chiede qualcosa con insistenza), incaricato di dimostrare la santità del candidato. La “pubblica accusa”, incaricata di fare le pulci a testimonianze e documenti, è invece rappresentata dal promotore di giustizia (un tempo conosciuto come “l’avvocato del diavolo”).
In genere sono entrambi sacerdoti, il primo nominato da chi ha fatto la proposta di istruire la causa, il secondo in servizio presso la congregazione.
Servo, venerabile, beato. Ma la santità è solo l’ultimo gradino di una scala che ne prevede altri tre. Il candidato, per diventare ufficialmente santo, deve essere prima riconosciuto servo di Dio, poi venerabile e poi beato. È definito servo di Dio dal momento in cui viene aperto il processo e in attesa che si verifichi un miracolo attribuibile al suo intervento. Se, dopo questa prima fase, il processo continua, il Papa può attribuire al servo di Dio la qualifica di venerabile: succede quando al candidato viene riconosciuto di aver vissuto le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) in modo eroico (si usa proprio questa espressione), o quando si riconosce che il candidato ha perso la vita da martire a difesa della fede.
Giovanni Paolo II fece 1.338 beati e 482 santi, molti dei quali laici.
Il suo scopo? Renderli più vicini ai “comuni” fedeli.
Il grado eroico delle virtù è dato essenzialmente dalla continuità e dall’intensità con cui le virtù stesse sono state vissute. Occorre cioè dimostrare che il candidato le ha praticate a un livello molto elevato, fuori dal comune. Il che, si badi bene, non vuol dire che la persona in questione non abbia mai avuto dubbi o momenti difficili per quanto riguarda la vita di fede.


Spesso, al contrario, i santi proclamati tali dalla Chiesa hanno attraversato fasi di buio interiore (è il caso, per esempio, della Beata Madre Teresa di Calcutta). Il beato e il santo, insomma, non sono supereroi, ma cristiani che, pur in presenza di eventuali crisi e difficoltà, hanno perseverato nella ricerca di un rapporto stretto con Dio.
Anche i medici non credenti. Perché un venerabile sia proclamato beato occorre (salvo dispensa papale) che siano passati almeno cinque anni dalla sua morte e che si sia verificato un miracolo (dal latino miraculum, cosa meravigliosa) ascrivibile all’intercessione del candidato stesso. Si parla di intercessione perché, per la Chiesa, il miracolo è sempre opera di Dio, mentre il beato o il santo hanno il compito di intercedere presso Dio perché il miracolo si compia. Questo evento miracoloso in genere è una guarigione ritenuta scientificamente inspiegabile, giudicata tale da una commissione medica convocata dalla Congregazione per le cause dei santi e composta da specialisti sia credenti sia non credenti.
Importante, ai fini del riconoscimento, è che la guarigione sia completa, definitiva e permanente. Se poi, attraverso lo stesso tipo di procedimento c’è il riconoscimento di un secondo miracolo (ma, anche in questo caso, il papa può fare un’eccezione), si arriva alla proclamazione della santità, tecnicamente detta canonizzazione perché in questo modo la persona entra a far parte del canone, cioè dell’elenco ufficiale dei santi riconosciuti dalla Chiesa e dei quali è possibile il culto.
Lavoro d’équipe. La Congregazione per le cause dei santi, per svolgere il suo compito si avvale dell’opera di una trentina di funzionari, coadiuvati da esperti in materia di teologia, storia e medicina. Il lavoro di certo non manca, perché richieste arrivano in continuazione, da ogni parte del mondo. Per lo più i candidati sono preti (come il fondatore dell'Opus Dei San Josemaría Escrivá), frati (ad esempio padre Pio), religiosi e suore (come madre Teresa di Calcutta).
Ma ci sono anche i laici, come dimostrano, per esempio, i casi del medico Giuseppe Moscati (1880-1927), proclamato santo nel 1987, e di Gianna Beretta Molla (1922 – 1962), mamma e medico, proclamata santa nel 2004.
La tendenza a riconoscere ufficialmente la santità anche nei laici è aumentata dopo il Concilio Vaticano II (1962 – 1965), ma soprattutto ha ricevuto un grande impulso nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II, il papa che nella storia della Chiesa ha battuto ogni record, proclamando 1.338 beati e 482 santi, alla media di quasi cinquanta beati e diciotto santi all’anno
Perché l’ha fatto? Wojtyla era convinto che occorreva riportare la santità vicino ai credenti e ribadire il concetto che tutti sono santi e che proprio per questo, con le opere, possono diventare santi canonizzati. Del resto, la proliferazione è stata possibile grazie all’estrema semplificazione, voluta proprio da Giovanni Paolo II nel 1983, del processo di beatificazione e canonizzazione.