Tobruk, giugno 1940: i militari italiani abbattono per sbaglio due aerei. Su uno di essi si trova il noto gerarca fascista Italo Balbo. Fatalità o complotto? Scopriamolo attraverso l'articolo "L'ultimo volo di Balbo" di Luigi Grassia, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Fuoco amico. Il 28 giugno 1940, alle 17:30, due aerei si avvicinarono a Tobruk, in Libia, all'epoca colonia italiana. Da una ventina di giorni Mussolini aveva preso la più avventata delle sue decisioni: la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia per combattere a fianco di Adolf Hitler. Da allora gli inglesi si erano messi a punzecchiare la Libia con qualche bombardamento. Anche in quel 28 giugno c'era stato un attacco britannico al porto e all'aeroporto di Tobruk: qualche bomba, qualche colonna di fumo e qualche raffica di mitragliatrice dall'aria, ma (stranamente) alle 17:30, cioè più di due ore dopo la fine del raid, le sirene non avevano ancora suonato il cessato allarme.
E quando nel cielo di Tobruk comparvero altri due aerei, il sole alle loro spalle non aiutò a identificarli. Tutte le batterie italiane, da terra e dal mare, si misero a sparare contro gli intrusi: i cannoni dell'esercito quelli della milizia fascista, quelli dell'incrociatore San Giorgio all'àncora in porto, e persino le mitragliatrici di un misterioso sommergibile, la cui presenza, proprio sulla rotta di quei due aerei, fu confermata soltanto 60 anni dopo.
RICONOSCIBILI. Gli aerei in questione erano italiani, oltretutto non difficili da riconoscere, neppure controsole. Si trattava infatti di due trimotori Savoia-Marchetti S.M.-79, un modello arcinoto a tutti i militari, con una evidentissima "gobba" sulla fusoliera. Da terra alcuni addetti alle postazioni si accorsero dell'errore, smisero di sparare e cercarono di informare gli altri.
Ma ci fu chi continuò a far fuoco, anche dopo che i due velivoli avevano iniziato la manovra di atterraggio. A quel punto, anche chi avesse continuato a crederli inglesi avrebbe potuto e dovuto fermarsi, preferendo l'imminente cattura di due presunti mezzi nemici al loro abbattimento. Invece il fuoco continuò. Alla fine, uno dei due aerei riuscì ad atterrare, mentre l'altro precipitò in fiamme: nessuno degli uomini a bordo si salvò.
Crimine di stato? Ai comandi del velivolo abbattuto c'era Italo Balbo, uno dei più importanti gerarchi fascisti, ma spedito in Libia dopo che si era opposto (unico fra tutti) a Mussolini sull'alleanza con Hitler, la guerra alle potenze occidentali e le leggi razziali contro gli ebrei.
E in Italia erano in tanti a mormorare che Balbo come duce sarebbe stato meglio di Mussolini. Quando venne informata dell'accaduto, la moglie del gerarca si mise a urlare: "Me l'hanno ammazzato! Mussolini lo ha fatto uccidere!". Mezza Italia ebbe lo stesso pensiero: non si era trattato di un incidente ma di un crimine di Stato.
TRAGICO ERRORE? Sull'aereo volavano altri otto uomini, collaboratori di Balbo, che lasciarono vedove e orfani. Fra questi c'era un bambino di 10 anni, destinato a diventare un famoso documentarista, giornalista e scrittore: Folco Quilici (scomparso nel 2018), che successivamente – come vedremo – avrebbe indagato sull'accaduto.
Va detto che la maggior parte degli studiosi oggi propende per la tesi della fatalità. Tra loro, lo storico dell'aviazione Gregory Alegi. «Le biografie balbiane escludono concordemente ogni ipotesi di attentato», spiega. Ci sono tuttavia storici, anche autorevoli, di altra opinione. Per esempio Romain Rainero, che dice: «Ho letto tutte le carte di Mussolini, e nei documenti la prova del delitto non c'è. Ma che l'ordine venne da lui è sicuro. Un ordine a voce, senza tracce scritte». Rainero non è il solo a pensare che la "pistola fumante", cioè la prova scritta, sia impossibile da trovare, ma che le circostanze indichino il duce come mandante di un presunto attentato.
Controcorrente. Non bisogna però cadere nell'equivoco di Italo Balbo "fascista buono": negli anni dell'ascesa al potere si era distinto come uno degli squadristi più duri e violenti, a capo delle camicie nere di Ferrara (dove era nato nel 1896). Era questo a renderlo credibile, agli occhi di molti fascisti, per un'eventuale sostituzione di Mussolini. "È uno di noi", avrebbero pensato, "non un traditore". L'alleanza con la Germania di Hitler e la guerra a inglesi e francesi (che il duce nell'estate del 1940 si illudeva fosse pressoché vinta) dispiaceva a molti, compresi alcuni gerarchi. Ma nessuno aveva il coraggio di dirlo in faccia a Mussolini. Tranne Balbo, l'unico che lo affrontò di petto sull'argomento: ci fu anche chi sentì i due gridare l'uno contro l'altro, dietro le porte chiuse.
Contro le leggi razziali. Balbo si era contraddistinto anche per essere stato l'unico a votare – non a porte chiuse, ma in modo palese – contro le leggi razziali del 1938. E quando queste furono promulgate, rifiutò di licenziare i suoi collaboratori ebrei, continuando a ostentare frequentazioni con persone del mondo ebraico.
Una volta, volendo entrare con un amico ebreo in un ristorante dove era esposto il cartello "Ingresso vietato agli ebrei", sfondò la porta con un calcio
FAMA PLANETARIA. Al di là della politica, Balbo godeva inoltre di una vastissima popolarità in Italia e all'estero, soprattutto in Inghilterra e in America, per le sue imprese da aviatore. Da sempre appassionato di volo, aveva organizzato e diretto, pilotando di persona, raid aerei transcontinentali, fra cui quello tra Italia e Brasile del 1930 e quello verso Chicago nel 1933. All'inizio Mussolini aveva assecondato ed esaltato queste imprese, che davano lustro all'Italia e al fascismo nel mondo. Da ministro dell'Aeronautica, Balbo ebbe la possibilità di realizzare questi e altri grandi progetti civili e militari. Ma poi il duce cominciò a diffidare della fama che il gerarca di Ferrara stava accumulando, e nel novembre del 1933 lo destituì da ministro e lo allontanò da Roma, mandandolo a governare la colonia italiana della Libia.
Potere e prestigio. Mussolini credeva di averlo neutralizzato, invece non era così. In Libia, Balbo si diede da fare, accrescendo la propria popolarità: organizzò l'accoglienza di migliaia di coloni italiani, migliorò il territorio con grandi opere, e conferì ai libici musulmani ed ebrei una forma di cittadinanza italiana. Tutto questo fu fatto, sia chiaro, d'intesa con Roma, però il governatore Balbo ci mise del suo, creandosi una solida base di potere, tanto che in Italia si cominciò a sospettare che pensasse alla secessione della colonia per sfidare il duce.
IL DE GAULLE ITALIANO. Attenzione alle date: il 18 giugno 1940, appena dieci giorni prima della tragedia di Tobruk, il generale de Gaulle aveva letto da Londra il famoso proclama che incitava la Francia invasa dai tedeschi a resistere al nazismo e al regime collaborazionista di Vichy. Se de Gaulle era riuscito a creare un governo francese in esilio, disponendo solo di un pugno di seguaci, che cosa avrebbe potuto fare Balbo, avendo dietro di sé una Libia che gli era fedele? Sarebbe diventato il de Gaulle italiano? Avrebbe spodestato Mussolini? È una delle ipotesi che Folco Quilici ha esplorato nel suo libro Tobruk 1940 (Mondadori).
TRAME E VOCI. Pur confermando che certe trame di Balbo sono provate dalle carte, Rainero è scettico sulla secessione libica. «Stiamo parlando di manovre di corridoio, e i corridoi erano a Roma, non in Libia», obietta.
«Balbo tornava a Roma in continuazione. In sette anni da governatore non è mai rimasto consecutivamente in Libia per più di 15 giorni. E infatti il ministero dell'Africa Italiana si lamentava per questa sua latitanza. Balbo a Roma manteneva i contatti con altri gerarchi fascisti, e in particolare con il gruppo di Galeazzo Ciano (genero di Mussolini e ministro degli Esteri, ndr), che non era particolarmente soddisfatto della politica del duce, anche se non aveva il coraggio di venire allo scoperto. Ed è certo che pochi giorni prima della morte Italo Balbo ebbe contatti riservati con esponenti francesi».
Giallo storico. Secondo Quilici ne ebbe anche con gli inglesi. Non è detto che queste attività sarebbero sfociate in una rivolta ma «i dittatori sono paranoici, e la Storia è piena di omicidi politici ordinati da autocrati per sospetti più lievi di quelli che Mussolini nutriva sul conto di Italo Balbo», sottolinea Rainero. Un insieme di indizi e deduzioni, però, non fanno una prova. Per questo si parla di giallo storico e non di mistero svelato. Lo stesso Quilici nella prima versione del suo libro-inchiesta (2004) cercò le prove del delitto ordito da Mussolini, ma in una nuova edizione (2006) si rassegnò a scrivere che esse sono introvabili. Restano ragionamenti e contro-ragionamenti, che si elidono a vicenda.
PRESUNTE RIVELAZIONI. I contrari alla tesi del complotto dicono che troppe persone avrebbero dovuto esserne a conoscenza: addetti alle batterie antiaeree, mitraglieri, ufficiali di collegamento sulla terraferma e sulle navi, uomini ai vertici dello Stato. Con il tempo, qualcuno avrebbe dovuto parlare. In effetti decine di persone, negli anni del Dopoguerra, si sono fatte avanti, rivelando (o millantando?) retroscena: "Io ho abbattuto l'aereo di Balbo!", "Mio padre mi raccontò tutto del complotto in cui fu coinvolto di persona!".
Ma senza portare prove. Magari c'era qualcosa di vero, che però si è perso nel rumore di fondo. La sola certezza sono nove morti in un episodio di fuoco amico ai margini di una guerra che ha fatto più di 50 milioni di vittime in tutto il mondo
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?