Storia

L'oro della nave Ancona rimane a fondo

Il tesoro della nave Ancona può attendere. Il piroscafo, affondato nel 1915 da un sommergibile tedesco mentre trasportava 496 passeggeri e una tonnellata d’oro (valore: da 22 a 48 milioni di euro), resterà ancora a lungo nei fondali del Tirreno.
[Vito Tartamella, 4 febbraio 2010]

Nel 2007 una società statunitense, la Odyssey Marine Exploration, aveva depositato al Tribunale di Tampa (Usa) una richiesta per impossessarsi del relitto, che giace in acque internazionali a 471 metri di profondità.
Dopo un contenzioso legale di 3 anni con il governo italiano, lo scorso 6 gennaio il Tribunale statunitense ha congelato il caso: non si è pronunciato sulla titolarità del relitto, ma ha deciso che la Odyssey, se vorrà tentarne il recupero, dovrà avvisare le autorità italiane con almeno 45 giorni d’anticipo. Un’ipotesi, comunque, remota: nell’ordinanza è scritto nero su bianco che la Odyssey «non prevede nell’immediato di farlo». Dunque, il caso resta chiuso a tempo indeterminato.

Battaglia legale
Un colpo di scena per molti versi inspiegabile: nel 2007 la Odyssey aveva depositato al Tribunale di Tampa una tazza griffata “Società di navigazione a vapore Italia” (la compagnia dell’Ancona) recuperata dal relitto usando “Zeus”, uno dei suoi robot subacquei. E aveva annunciato agli investitori (la Odyssey è quotata al Nasdaq) un possibile introito tra i 20 e i 60 milioni di dollari: quand’anche la nave fosse stata considerata appartenente all’Italia, la Odyssey contava comunque di incassare dal 10 al 25% del valore del tesoro recuperato.

Il mistero si infittisce
Ora, però, tutto rimane congelato, con buona pace della stessa Odyssey. Che, interpellata da Focus, ribadisce il proprio interesse per il relitto dell’Ancona ma si dice «impegnata su altri fronti, come il recupero della scatola nera dell’aereo delle Ethiopian Airlines, precipitato al largo di Beirut».
Eppure, l’incidente aereo è avvenuto il 25 gennaio scorso: 19 giorni dopo la sentenza in cui la stessa Odyssey affermava, appunto, di non programmare un ritorno immediato al relitto dell’Ancona.

La nostra inchiesta
Perché questo cambio di rotta? Contattato da Focus, il ministero degli Esteri (Direzione generale per la promozione culturale) preferisce non rilasciare commenti «vista la delicatezza della questione».
Ma Tullio Scovazzi, professore di diritto internazionale all’Università Milano-Bicocca, nonché consulente del ministero sul caso Ancona fino al 2009, parla esplicitamente di «vittoria per l’Italia: questa ordinanza evita il saccheggio del relitto».
Dunque, il caso è chiuso? «Per adesso sì» risponde Scovazzi. «Oltre alla Odyssey, nessun altro si è fatto vivo per reclamare la titolarità del relitto, che si trova in acque internazionali. A nostro avviso, il relitto è da considerarsi intoccabile da chiunque in quanto cimitero di guerra (nell’affondamento morirono 159 persone, ndr). Ma se la Odyssey dovesse decidere di tornare a recuperarlo, dovrebbe comunque fare i conti con l’Italia e con le ulteriori decisioni del Tribunale di Tampa, che dovrà riaprire il caso».

Guerra sottomarina
I primi a individuare il relitto erano stati in realtà i francesi della società Comex, nel 1986. E, da allora, come ha rivelato l’inchiesta di Focus pubblicata nel 2009 (sul n° 201), altre 3 società britanniche avevano tentato di accedere clandestinamente al relitto, usando benne sottomarine ed esplosivo, ma col solo risultato di danneggiare il piroscafo.
«Che la nave trasportasse un tesoro è tutto da dimostrare» obietta il professor Scovazzi. «Forse interessano di più gli oggetti d’epoca che si possono trovare a bordo».

Relitto maledetto?
Ma l’oro dell’Ancona sembra ben più che una leggenda, visto che ha impegnato varie società in costose (quanto maldestre) missioni di recupero. «I documenti dell’epoca, in mio possesso, provano che l’Ancona trasportava 12 casse d’oro» conferma Enrico Cappelletti, ricercatore ed esperto di relitti. «Era il pagamento agli Usa per un carico di armi che il governo italiano aveva acquistato in segreto, per combattere l’Austria. Tant’è vero che la somma, 133mila sovrane d’oro stivate in 12 casse, era scortata dal segretario del ministero dell’Agricoltura, Ettore Spiaccacci. Il problema, semmai, è capire in quale punto dell’Ancona le avesse fatte nascondere il comandante della nave, Pietro Massardo».

Caccia al tesoro
E forse proprio qui sta la chiave dello stallo inatteso. A Focus, la Odyssey ribadisce che il proprio interesse legale verso l’Ancona «è ormai assicurato». Aggiungendo che «le nostre ricerche, tuttora in corso, dovrebbero aiutarci ad avere più dettagli sul carico a bordo dell’Ancona, per darci preziose informazioni che guideranno i nostri sforzi quando decideremo di tornare sul posto».
Un progetto, questo, che sembra comunque non interessare al governo italiano, conferma Scovazzi: «L’obiettivo dell’Italia è sempre stato quello di lasciare il relitto al suo posto». Col suo carico di tesori e di misteri.

5 febbraio 2010
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