L'alone di mistero che circonda l'Isola di Pasqua non riguarda solo i Moai, le grandi facce di pietra, e la loro costruzione da parte di un popolo sperduto nel mezzo dell'oceano, ma anche il destino del popolo stesso. Questa civiltà viene vista come vittima della propria ingordigia. È possibile, ma nessuno ha ancora messo il punto finale a questa storia che, anzi, col passare del tempo e con nuove scoperte si complica sempre di più.
Gli europei approdarono per la prima volta sull'isola nel giorno di pasqua del 1722, da qui il suo nome occidentale.
Gli indigeni che trovarono, circa 2.000, erano in numero decisamente inferiore rispetto alle possibilità di sostentamento sull'isola, e sicuramente meno di quanti ci si aspetterebbe da una civiltà che aveva realizzato quell'impresa notevole sotto gli occhi dei primi esploratori, le statue di pietra. Dov'erano finiti tutti?
L'ipotesi dell'autodistruzione. Oltre alle persone, mancavano anche gli alberi. Il primo europeo sull'isola, l'olandese Jakob Roggeveen, la descrive già come una terra brulla e senza grandi alberi. Tuttavia la costruzione dei Moai necessitava di grossi tronchi, come quelli di palma gigante, i cui resti sono stati ritrovati sull'isola. La teoria nata da queste stranezze è l'esemplificazione dell'ingordigia umana: per costruire sempre più statue, la popolazione di Rapa Nui (in lingua nativa "grande isola/roccia") abbatté tutti gli alberi dell'isola causando la progressiva desertificazione del suolo, e la propria fine.
Il ritrovamento di punte di ossidiana per tutta l'isola ha spinto a immaginare che la carestia portata dalla desertificazione abbia a sua volta innescato una sanguinosa guerra civile terminata con la morte della maggior parte della popolazione. I racconti arrivano a parlare anche di cannibalismo.
Studi che raccontano altro. Quanto di tutto ciò è reale e quanto frutto delle fantasie esotiche dell'Ottocento? Un recente studio sulle punte di ossidiana ha definitivamente escluso che fossero armi da guerra: pare invece che fossero strumenti di lavoro. Un altro studio imputa la carenza di palme non alla deforestazione, ma al ratto polinesiano (Rattus exulans), arrivato probabilmente coi primi coloni, nella cui dieta si trova il seme della palma. Inoltre uno studio molto recente (giugno 2017, in inglese) suggerisce che gli indigeni si sostentassero più con la pesca che con l'agricoltura, ma che fossero comunque versatili coltivatori.
Pur non essendoci prove che la popolazione abbia superato le 10 mila unità negli anni d'oro, il calo demografico è un fatto accertato... Ma dopo l'arrivo degli europei!
Le malattie importate dai primi esploratori (come tifo e colera) misero a dura prova la popolazione.
Come se non bastasse, arrivarono gli schiavisti che deportarono almeno metà degli indigeni. Nel 1877 sull'isola se ne contavano appena 111.
L'ultimo mistero. La scrittura locale, detta rongorongo, non è ancora stata decifrata del tutto e probabilmente non lo sarà mai. Questo rende molto difficile sapere che cosa successe sull'isola prima dell'arrivo degli occidentali. Arrivati a questo punto, però, possiamo forse azzardare una nuova e più realistica ipotesi sulla fine di quella popolazione: il vero dramma per le genti di Rapa Nui fu l'incontro con gli europei.