Una cortigiana della Belle Époque, Liane de Pougy, definì D'Annunzio "uno gnomo spaventoso con gli occhi cerchiati di rosso, senza capelli, con denti verdastri, l'alito cattivo e le maniere di un ciarlatano". Hemingway lo liquidò più sbrigativamente come un "coglione". 1
Di certo Gabriele D'Annunzio fu una personalità complessa, un po' dandy, un po' folle, a tratti depresso. Negli anni del fascismo fu considerato il Vate d'Italia (cioè poeta sacro, profeta) e l'incarnazione del "gagliardo spirito nazionale". Oggi il giudizio è stato ridimensionato: chi fu per davvero Gabriele D'Annunzio?
12 marzo 1863: nasce a Pescara in una famiglia benestante. A 11 anni andò a Prato a studiare in un collegio: 4 anni dopo scrisse il suo primo libro di poesie, Primo Vere, pubblicato a spese del padre. Poco prima che uscisse una seconda edizione ampliata, un editore di Firenze ricevette una cartolina anonima da Pescara che diceva che l'autore era morto per una caduta da cavallo.
La notizia fu ripresa da molti giornali... ma era una fake news: l'istrionico D'Annunzio aveva spedito l'annuncio per attirare l'attenzione sui suoi scritti.
La grande bellezza. L'esperimento riuscì. Da quel momento per lui fu un crescendo di notorietà. Trasferitosi a Roma, scrisse racconti e poesie e si occupò di giornalismo. Il tutto in una cornice splendida: amava il lusso e vivere al di sopra delle sue possibilità. Come un dandy di fine Ottocento, voleva brividi e una vita al di fuori delle convenzioni borghesi: proprio come Andrea Sperelli, il protagonista del primo dei suoi sette romanzi, Il piacere (1889).
Ti creo (e ti distruggo). La sua vita privata era sempre più chiacchierata (anche se la storia che si fece togliere due costole per autoerotismo è una bufala): il suo insaziabile desiderio sessuale lasciò sul campo un numero ingente di donne "rovinate", rinnegate dai padri, abbandonate dai mariti, persino ricoverate in manicomi. Alcune delle sue amanti erano celebrità, come Eleonora Duse, una delle attrici più famose di quegli anni.
Altre restarono nell'ombra, come Barbara Leoni: bella e provocante, sarà la sua musa, e lui trasfigurerà la loro storia d’amore e di passione nelle pagine del Trionfo della morte (1894).
A ognuna trovava un ruolo: se alla cameriera chiedeva soprattutto prestazioni di sesso orale, a Luisa Baccara chiese di sublimare la sua passione suonando al pianoforte per lui nella Stanza della Musica della sua residenza a Gardone Riviera (Brescia), in quello che divenne il complesso monumentale chiamato Vittoriale degli Italiani.
"D’Annunzio era un così grande amante che poteva trasformare la donna più ordinaria e darle per un momento l’apparenza di un essere celeste", disse di lui la ballerina Isadora Duncan.
Per sedurle sfoderava una voce vellutata. "Quando il signor d'Annunzio parla, sembra sempre che stia raccontando un segreto, anche se sta solo dicendo buongiorno", confessò la figlia del compositore Pietro Mascagni quando lo incontrò a Parigi, dove D'Annunzio era fuggito nel 1910 per sottrarsi ai suoi creditori.
Ardito e gagliardo. D'Annunzio visse in Francia alcuni anni. Tornò in Italia nel maggio del 1915, invitato a parlare alla presentazione di un monumento a Garibaldi, a Quarto, vicino a Genova.
La Prima guerra mondiale era scoppiata da un anno e lui rivolse la sua voce magnetica alle folle che si erano riunite per salutarlo: 100.000 persone secondo un articolo del tempo del Corriere della Sera. Chiedeva all'Italia di entrare in guerra e portare a termine l'unificazione del paese annettendo grandi aree dell'impero austro-ungarico. Il suo discorso interventista accese gli animi.
Il 23 maggio l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria. Nonostante avesse già 52 anni, il Vate ottenne di potersi arruolare come Ufficiale nei Lancieri di Novara, un reggimento che in quel periodo accoglieva i primi piloti.
Ottenne il brevetto di aviatore e partecipò ad azioni dimostrative, non tutte di successo. Nel gennaio del 1916, durante un atterraggio di emergenza, sbatté violentemente la tempia contro il calcio della mitragliatrice di bordo. La ferita, non curata, gli fece perdere l’occhio destro. Durante la convalescenza scrisse il Notturno, un'opera in prosa lirica in cui il poeta riunì riflessioni e ricordi, ripubblicata in forma definitiva nel 1921.
La vita come opera d'arte. La convalescenza non smorzò l'entusiasmo bellico: il 9 agosto del 1918 volò su Vienna per un'azione dimostrativa, incruenta e mediaticamente molto potente.
Per indurre i viennesi a insorgere gettò dal suo aereo più di 400.000 volantini sulla città. I Futuristi applaudirono all'impresa: "Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa", avevano scritto nel loro Manifesto pochi anni prima. "Noi canteremo il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera...". D'Annunzio, come loro chiedevano, aveva trasformato un atto politico in un'opera d'arte.
Impresa Fiume. Tre mesi dopo l'italia firmò l'armistizio. Ma D'Annunzio preferiva il conflitto: "Sento odore di puzza di pace" scrisse infatti. Così portò avanti una sua personalissima battaglia. Nel settembre del 1919 si butto nell'Impresa di Fiume: guidò un esercito di irregolari e ammutinati nella città di Fiume (ora Rijeka, in Croazia), contesa da Italia e Regno di Jugoslavia, e si costituì dittatore. Per 15 mesi regnò come Duce, finché la marina italiana non intervenne a cannonate per mettere fine all'impresa, su ordine dell'allora governo Giolitti.
Intanto in Italia erano nati i Fasci di combattimento e si preparava la strada alla Marcia su Roma. Un anno prima che Mussolini andasse al potere, D'Annunzio, deluso dal fallimento di Fiume si trasferì nella casa sopra il Lago di Garda, il Vittoriale, dove vivrà in semi-reclusione fino alla morte, il 1° marzo 1938, tra cocaina, belle donne e umore sempre più nero. Il suo pensionamento fu in gran parte finanziato dal governo fascista, che era desideroso di tenerlo alla larga.
Il suo rapporto con Mussolini infatti fu sempre ambiguo: il Duce da un lato voleva promuoverlo a Padre nobile del fascismo, dall'altro sapeva che il Vate era uno spirito critico, lucido e indipendente. Così lo ricoprì di onori - lo finanziò con un assegno statale regolare che gli permise di far fronte ai numerosi debiti - ma lo rese politicamente ininfluente.
Nel 1938 D'Annunzio si oppose all'avvicinamento dell'Italia fascista al regime nazista di Adolf Hitler, che definiva "pagliaccio feroce", "ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot" o "Attila imbianchino". Ma ormai, anche grazie a lui, il Fascismo era salito al potere, e nessuno aveva più il diritto di dissentire. Il Vate morì quello stesso anno, ufficialmente per un'emoraggia cerebrale.
1 Così racconta Lucy Hughes-Hallett nella sua biografia The Pike: Gabriele D'Annunzio, Poet, Seducer and Preacher of War. [Torna su]