Una cosa è stimare l'età di nascita dell'agricoltura, un'altra è imbattersi nelle prime testimonianze archeologiche di coltivazioni ad uso alimentare: le prove di un'attività agricola nel Deserto del Sahara, 10 mila anni fa, sono state ritrovate da un gruppo di archeologi ed entomologi di Italia e Regno Unito. Il team ha accertato che gli oltre 200 mila semi, disposti in piccole concentrazioni circolari, rinvenuti presso il riparo roccioso di Takarkori, nel sudovest della Libia, non furono ammucchiati dalle formiche (trasportatrici di semi) ma disposti dall'uomo.
Dalla terra al piatto. Il sito che oggi sorge nel deserto libico, durante l'Olocene faceva parte del "Sahara verde" (un'area geografica umida e ricca di flora e fauna), e offriva cereali selvatici precursori delle moderne forme selezionate in millenni di coltivazioni. Il sospetto degli archeologi che si sono imbattuti nei semi era che le antiche popolazioni di cacciatori raccoglitori nella zona avessero sviluppato una forma primitiva di agricoltura, con la coltivazione e la raccolta di cereali selvatici. Nell'area sono infatti stati trovati anche i resti di un cestino, di fili intrecciati ricavati dalle radici e di vasellame recante le tracce chimiche di resti di zuppa di cereali e di formaggio.

Le formiche non c'entrano. Era tuttavia anche possibile che i semi fossero stati dispersi e accumulati da insetti che ne fanno scorta, come le formiche: Stefano Vanin, entomologo esperto in archeologia e analisi forensi basato all'Università di Huddersfield (Regno Unito) ha analizzato un gran numero di campioni delle sementi, conservate all'Università di Modena e Reggio Emilia. Ha così dimostrato che gli insetti non erano responsabili dei mucchi di semi, che dovevano pertanto essere di mano umana.
Dal passato al futuro. L'articolo pubblicato su Nature Plants dimostra che alcune piante selvatiche oggi etichettate come "erbacce" erano un tempo coltivate per il loro comportamento opportunistico e infestante, che permetteva di sostentare queste antiche comunità umane. Le stesse caratteristiche che permisero ai cereali selvatici di crescere e prosperare in un ambiente in trasformazione, potrebbero servire in futuro come forme di sussistenza alternativa, in aree segnate dagli effetti del global warming.