«Per quelli che ancora non ci credono, vi annuncio che il sangue si è sciolto. Evviva San Gennaro!». Ad annunciare il prodigio, nella Basilica di Santa Chiara a Napoli, è l’arcivescovo. La processione con in testa la statua del santo patrono di Napoli, ha percorso dal Duomo via del Tribunale, via delle Zite, su per Spaccanapoli in via Forcella e San Biagio dei Librai, fra i panni stesi, lo scroscio degli applausi, le invocazioni e i segni della croce della gente ai balconi o alle porte aperte dei bassi.
L’avvenuta liquefazione del sangue è di buon auspicio: l’arcivescovo chiede al santo di intervenire per i poveri, i giovani disoccupati, il lavoro nero, l’immondizia, la camorra e le carceri affollate. I problemi di Napoli possono cambiare nel tempo, ma San Gennaro è sempre lì a dare una mano come Santo protettore della città.
Fermarsi al prodigio del sangue che si scioglie, noto in tutto il mondo, è però riduttivo. Forse è più importante il fatto che San Gennaro sia al centro di due storie che corrono nei secoli parallele: una religiosa, che affonda le sue radici in insospettabili riti pagani, e un’altra laica, in cui aristocratici, generali e massoni investirono su di lui per unire la città e liberarla dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dalle eruzioni del Vesuvio.
Martirizzato. La prima storia, quella agiografica-religiosa, si basa su due documenti cristiani: gli Atti Bolognesi, del VI secolo, e gli Atti Vaticani dell’VIII. I primi attestano che un Gennaro, vescovo di Benevento, fu martirizzato nel 305 sotto l’imperatore Diocleziano. Si stava recando a Miseno con due altri religiosi a fare visita a un diacono incarcerato a causa delle persecuzioni, ma venne imprigionato con i compagni e condannato a essere sbranato dalle belve nell’anfiteatro di Pozzuoli. Poi i Romani optarono per la decapitazione presso l’attuale Solfatara. Il suo corpo fu seppellito nell’Agro Marciano (oggi Fuorigrotta) e traslato nel V secolo nelle catacombe napoletane di Capodimonte.
Negli Atti Vaticani un episodio mitico lo presenta come capace di dominare il fuoco (e quindi anche il Vesuvio): il giudice Timoteo di Nola lo avrebbe fatto gettare in una fornace ardente, dalla quale Gennaro uscì illeso, senza nemmeno le vesti bruciate.
La prima notizia documentata del prodigio del sangue:
1.000 anni dopo la morte
Santo con i super poteri. Il martirio di Gennaro è attestato anche dal Calendario Cartaginese (del 505) e dal Martirologio Geronimiano del V secolo.
Entrambi datano l’esecuzione al 19 settembre (giorno in cui avviene la seconda liquefazione annuale del suo sangue). San Gennaro è dunque realmente esistito come vescovo e martire. Ma da dove e quando nascono i suoi “poteri”?
Una cosa è sicura: il suo culto era già molto popolare nelle catacombe di Napoli, tanto da spingere il principe longobardo di Benevento, Sicone I, alla conquista della città nell’831, a impossessarsi delle sue spoglie che portò nella cattedrale di Benevento, dove rimasero fino al 1154, per essere poi trasferite nel Monastero di Montevergine (Avellino).
In sangue e ossa. Lì però il culto era tutto in favore di Mamma Schiavona, una Madonna nera, e le ossa di San Gennaro vennero dimenticate. «Ritrovate nel 1367, furono riportate a Napoli dal cardinale Oliviero Carafa che fece costruire sotto l’altare del Duomo una cripta» spiega Vincenzo De Gregorio, abate della Cappella di San Gennaro. «A Napoli erano conservati la testa e il sangue del santo: Carlo II d’Angiò aveva fatto realizzare da tre grandi orafi francesi il busto del santo in argento dorato e pietre preziose per contenere il cranio. Il figlio Roberto la teca delle ampolle». Secondo la tradizione, il sangue era stato raccolto da una donna chiamata Eusebia durante l’esecuzione e posto in due ampolle di vetro.
«Le perizie indicano che le ampolle sono realmente di età paleocristiana» precisa De Gregorio. Tuttavia l’episodio di Eusebia viene riportato per la prima volta solo nel 1579, in Le vite dei sette santi protettori di Napoli, molto dopo i fatti. E il fenomeno della liquefazione è citato a livello documentale, in Chronicon Siculum, a partire dal 17 agosto del 1389. In un precedente documento sui miracoli a Napoli, la Cronaca di Partenope, non c’è riferimento alla liquefazione del sangue di San Gennaro. Inoltre, la prima processione passò alle cronache nel 1337 senza cenni di miracolo.
Gli scettici sospettano quindi che, in un’epoca in cui molte reliquie erano fabbricate, alchimisti napoletani possano aver realizzato la prodigiosa sostanza aumentando così i “poteri” del santo.
I fedeli ricordano invece che la tradizione parla di una liquefazione durante la traslazione dall’Agro Marciano alle catacombe di Capodimonte verso il 420. Ma occorre entrare nell’altra storia di San Gennaro, quella più laica, per capirne la funzione sociale.
Il contratto. «Nel 1526 gli angioini assediarono la città, in mano agli aragonesi» spiega Paolo Iorio, direttore del Museo di San Gennaro. «Avvelenarono il fiume Serino e a Napoli si moriva di peste, mentre il Vesuvio provocava 30 forti terremoti al giorno.
Laici, agnostici e prelati, rappresentati da un gruppo di aristocratici napoletani, si misero tutti d’accordo per amore della città». E il 13 gennaio del 1527 scrissero, davanti a un notaio, un patto con San Gennaro: se avesse fermato quelle disgrazie, avrebbero costruito una cappella in suo onore dove sarebbero state tenute le sue reliquie e raccolto un tesoro .
La fame e la peste cessarono, la guerra finì e la terra smise di tremare. Nel 1623 l’architetto Cosimo Fanzago costruì la cappella di San Gennaro vicino al Duomo di Napoli. Il santo fu promosso generale dell’esercito e “stipendiato” (per mantenere la sua cappella).
Nel 1631 il Vesuvio eruttò, seminando devastazione: i napoletani, il 16 dicembre, presero la statua di San Gennaro, andarono al Ponte della Maddalena e la lava si fermò. Per ringraziare, la Deputazione di San Gennaro, nata nel 1601 per amministrare gli interessi del santo, commissionò a Fanzago una splendida guglia gotica.
Patti. Il patto notarile dei nobili napoletani con San Gennaro, dai quali nacque la Deputazione, ricorda l’origine delle antiche divinità nazionali. Per esempio, i Babilonesi avevano come divinità protettrice Marduk con il quale facevano patti scritti. Gli Ebrei il patto lo fecero prima orale e poi scritto con Jahvè, garanti Abramo e poi Mosè.
Ma divinità patrone e degli eserciti come Marduk, Jahvè e San Gennaro hanno la pretesa di fare la Storia e non di subirla. E così, nel 1799, arrivati i francesi a Napoli, sotto Napoleone Bonaparte, e spariti dalla circolazione i nobili della Deputazione, i francesi costrinsero un prelato a far la prova delle ampolle per legittimare la loro occupazione. Il sangue si sciolse con soddisfazione dei militari francesi e le grida di rabbia del popolo napoletano. Tanto che Napoleone avrebbe poi fatto portare da Murat uno splendido ostensorio in dono al santo “collaborazionista”. Quando gli spagnoli 6 mesi dopo tornarono a Napoli, San Gennaro fu “licenziato” come patrono e anche come capo dell’esercito, la paga sospesa.
Ma fu ancora il Vesuvio a rimetterlo in gioco. Il nuovo patrono di Napoli, Sant’Antonio da Padova, non riuscì a fermarne un’eruzione, che cessò solo quando il vecchio patrono fu riabilitato.
Mai violato. Oggi il suo tesoro conta 21.612 capolavori, molti di scuola napoletana, ed è considerato il più ricco del mondo. Il pezzo più prezioso? La mitra tempestata con 3.840 pietre preziose, con il più grande gruppo esistente di smeraldi, conservata nel caveau del Banco di Napoli. «Ma intorno a San Gennaro ruota anche un patrimonio di tolleranza: la laicità della Deputazione, che ha avuto nelle sue file anche molti massoni, come Augusto Cattaneo e il conte di San Severo, ha creato a Napoli un ambiente estraneo al fanatismo religioso e ha favorito la solidarietà» dice Iorio.
«Per esempio, l’Inquisizione non ha potuto operare in città. E la cappella di San Gennaro è stata l’unica istituzione religiosa a non essere sequestrata dai Savoia nella prima fase dell’unità d’Italia. Quattro bolle pontificie hanno mantenuto nel tempo l’autonomia della cappella e del tesoro». Oggi il sindaco di Napoli fa parte di diritto della Deputazione.
1,90 metri
La statura di San Gennaro ricostruita dall’esame delle sue ossa.
L’età alla morte è risultata di 35 anni.
Sincretismo. Una devozione tanto diffusa ha radici storiche profonde. Il più antico ritratto di San Gennaro, trovato nelle catacombe di Capodimonte, è del V secolo e lo raffigura con alle spalle il Vesuvio. «Anche il dio Mitra, divinità popolare di Napoli in epoca precristiana, proteggeva dal Vesuvio» ricorda la ricercatrice del Museo Diana Negri . «Non a caso la veste con cui è ritratto San Gennaro è gialla, come quella di Mitra, e il santo è chiamato dal popolo “faccia ‘ngiallut’”, in riferimento alla sua solarità (Mitra era una divinità solare, ndr)».
La mitra di San Gennaro (copricapo di papi e vescovi) è del tutto simile a quella del dio Mitra, derivata dalla raffigurazione del dio-pesce mesopotamico Oannes, che donò la cultura agli uomini.
«Mitra proteggeva il territorio e rendeva fertile la terra con il sangue del sacrificio rituale del toro, così come oggi il sangue che si scioglie nelle ampolle auspica prosperità ai napoletani» spiega Negri. Il culto di Mitra (nato il 25 dicembre, morto e risorto dopo 3 giorni), praticato da sacerdoti maschi, giunto dalla Persia a Cuma e a Napoli, fu poi soppresso dalla Chiesa che però ne mantenne alcune tradizioni.
«Il ruolo di Mitra, tanto sentito dalla popolazione, fu allora ricoperto da San Gennaro» spiega la ricercatrice. «Non a caso le cosiddette “parenti” del santo, formano una società femminile di elette che incitano il santo al prodigio, con lamentele funebri e movenze che ricordano antichi riti estatici pagani». Recitano le parenti: «Potenza di San Gennaro, pruteggece. Sangue di San Gennaro defendece. Jamme bell, scetate (Andiamo, bello, svegliati)».