Oggi diamo per scontato che, quando una persona muore, i suoi resti verranno conservati in una tomba o in un loculo dove sono chiaramente indicate le loro generalità. L'uso delle pietre tombali, però, è un'abitudine relativamente recente, e ci sono Paesi come il Canada dove sono state introdotte solo negli ultimi due secoli.
Il risultato sono cimiteri storici affollati di milioni di sepolture anonime, che ora, grazie a un nuovo metodo di analisi che incrocia dati genetici e genealogici, potrebbero finalmente avere un nome. Lo studio è pubblicato sull'American Journal of Physical Anthropology, ed è stato reso possibile dalle tecniche di sequenziamento del DNA, ma anche dall'incessante e certosino lavoro dei preti cattolici del Quebec.
Un database unico... Il Quebec ha infatti dato il via, nel 1972, alla compilazione di BALSAC, un database che contiene l'albero genealogico di circa cinque milioni di individui vissuti nello Stato canadese negli ultimi quattro secoli. Il database si basa sui registri parrocchiali meticolosamente compilati dai preti locali nel corso delle generazioni: il risultato è «una quantità e qualità di dati assolutamente favolosa» secondo il primo autore dello studio Tommy Harding. In che modo però un albero genealogico da cinque milioni di rami può aiutare a identificare un cadavere vecchio di tre secoli?
... e due marker altrettanto unici. Tra tutte le informazioni genetiche passate da un genitore alla sua prole ce ne sono due che si sono rivelate particolarmente utili: il cromosoma Y, trasmesso dai padri ai figli maschi, e il DNA mitocondriale, trasmesso dalle madri ai figli indipendentemente dal sesso. In questo passaggio, il cromosoma Y e il DNA mitocondriale subiscono pochissime mutazioni: il nostro DNA mitocondriale è sostanzialmente identico a quelli dei nostri bis-bis-bisnonni fino alla decima generazione.
Il team l'ha dunque identificato in un campione di sei cadaveri, e l'ha confrontato con quello di un campione di circa 900 individui dell'attuale popolazione del Quebec, in cerca di somiglianze. Su un totale di 1.7 milioni di individui studiati, i ricercatori ne hanno identificati "solo" il 12%, prova da un lato che la tecnica funziona, dall'altro che 900 individui non sono un campione sufficiente per "coprire" cinque milioni di sepolture, e per allargare la portata dello studio serve, secondo gli autori, un «atto di partecipazione dei cittadini».