Trattato di magia o di botanica? Manuale di astrologia o di erboristeria? Opera di un burlone, di un falsario o di un alchimista? Non per niente il codice Voynich ha fama di essere il documento più misterioso del mondo. Per più di un secolo ha appassionato linguisti e studiosi e, durante la Guerra Fredda, se n'è occupata persino l'Agenzia di sicurezza nazionale americana, temendo si trattasse di propaganda comunista. Eppure, nonostante i molteplici tentativi di decrittazione, questo enigmatico manoscritto è rimasto un intraducibile grattacapo linguistico. Almeno fino a qualche tempo fa, quando l'accademico britannico Gerard Cheshire, ricercatore dell'Università di Bristol, ha scatenato un certo trambusto fra i suoi colleghi dichiarando di aver decifrato l'incomprensibile testo, attualmente conservato nella Beinecke Library dell'Università di Yale (Stati Uniti).
L'origine del nome. Che cos'è esattamente questo enigmatico manoscritto, nome d'archivio MS408? Come mai finora non è bastata una schiera di illustri studiosi per decifrarne il contenuto?
Il codice deve il suo nome all'antiquario Wilfred Voynich (1865-1930), un collezionista di libri rari che lo acquistò nel 1912 dai gesuiti del Nobile collegio di Villa Mondragone (Frascati). Secondo la datazione, ottenuta con il metodo del radiocarbonio, risalirebbe alla prima metà del XV secolo e tanto è bastato a escludere l'ipotesi di chi affermava si trattasse di un falso, creato ad arte dal suo proprietario.
A rendere speciale questo manoscritto è il suo contenuto: accanto a bizzarre raffigurazioni di piante sconosciute, donne nude e simboli dello Zodiaco, corre un testo vergato in una lingua misteriosa.
Si tratterebbe, scrive Cheshire nella sua ricerca, pubblicata su Romance Studies, di una specie di manuale medico, con ricette e consigli per la cura della salute femminile: per intendersi, un mix tra un trattato di erboristeria e uno di astrologia, una sintesi tra pratiche curative e oroscopi. Dedicato alla regina d'Aragona Maria di Castiglia, sarebbe stato redatto da una suora domenicana del convento affiliato al Castello aragonese di Ischia. Destinatarie: le donne della corte.
L'alfabeto Voynich. Secondo Cheshire, la religiosa avrebbe impiegato un alfabeto composto dalle lettere minuscole del normale alfabeto latino, con l'aggiunta di diversi simboli a noi ignoti: alcuni, combinati fra loro, sarebbero stati usati per rappresentare specifici suoni fonetici; altri sarebbero varianti grafiche impiegate in casi particolari: come la "a", scritta in due modi diversi a seconda che si trovi chiusa tra altre lettere oppure all'inizio o alla fine della parola.
Comparirebbero inoltre diverse frasi latine, spesso abbreviate con la sola iniziale, in un modo che doveva apparire familiare ai lettori dell'epoca.
La punteggiatura come la conosciamo oggi non c'è, per esempio gli accenti: al loro posto, alcuni segni posti sopra le lettere.
Cheshire afferma di avere decifrato la strana grafia basandosi sulla vicinanza tra le parole e le relative immagini, arrivando così a ipotizzare il significato delle parole stesse. Osservando l'analogia fra i termini tradotti e quelli presenti in alcune lingue romanze (come l'italiano, lo spagnolo, il francese, il catalano e il rumeno) avrebbe infine dedotto che il codice venne scritto in una lingua ormai estinta: il proto-romanzo, una specie di Esperanto maccheronico, nato da un mix di latino popolare e di altre lingue parlate durante il Medioevo nel bacino del Mediterraneo.
Stroncatura impietosa. Il ricercatore, che dopo aver tradotto solo poche righe di testo e qualche vocabolo sparso si dichiara pronto a decifrare l'intero manoscritto e a compilare un lessico, sostiene anche che il proto-romanzo sarebbe stato un linguaggio molto diffuso all'epoca, ma mai usato nei documenti. Se così fosse, il codice Voynich ne sarebbe quindi l'unica testimonianza scritta. Peccato, però, che la maggior parte degli studiosi creda che questa lingua non sia mai esistita.
Tra i più severi critici c'è la medievalista Lisa Fagin Davis, esperta conoscitrice del manoscritto e direttrice della Medieval Academy of America, la più grande istituzione statunitense di studi sul Medioevo: «L'argomentazione principale di questo studio, cioè l'esistenza di una "lingua proto-romanza", è completamente infondata e in contrasto con la paleolinguistica», ha dichiarato alla rivista Ars Technica. «E lo è anche l'associazione che Cheshire fa di particolari segni con particolari lettere dell'alfabeto latino. Le sue ipotetiche traduzioni da ciò che è essenzialmente un amalgama senza senso di più lingue, sono "aspirazioni di traduzione" più che traduzioni vere e proprie», conclude la studiosa, che in passato ha stroncato diverse altre ipotesi di decrittazione del codice.