Dopo le due atomiche che hanno distrutto Hiroshima il 6 agosto del 1945 e Nagasaki il 9 agosto, Harold Jacobsen, scienziato del Manhattan Project sostenne che i luoghi colpiti sarebbero rimasti senza forme di vita per 75 anni. Ma la natura è sorprendente: già nella primavera successiva iniziarono a spuntare dei germogli ad alberi - sia a Hiroshima che a Nagasaki - che si trovavano a circa 2 chilometri dall'epicentro dell'esplosione.
«Uno studio degli anni '70 riportava addirittura di alberi sopravvissuti in un raggio di 500 metri dall'epicentro, un fatto straordinario perché si pensava che all'interno di quell'area non potesse sopravvivere nulla», spiega Stefano Mancuso, fisiologo vegetale e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze. «A posteriori sappiamo che ciò può essere dovuto al fatto che alcune parti interrate degli alberi sono state protette dallo strato di terra, oppure perché sul lato non irradiato, protetto dallo spessore del tronco qualcosa è sopravvissuto. Quegli esemplari sono rinati perché le piante non sono un "unico organismo", come gli animali: si sono invece evolute in uno schema che potremmo definire "modulare" per sopravvivere alla predazione di animali capaci di nutrirsi anche del 90% di una pianta. Con una semplificazione, potremmo paragonarle a colonie di insetti», conclude Mancuso.
Hibaku jumoku. Adesso quegli alberi sono registrati ufficialmente come "alberi colpiti dalla bomba atomica": sono chiamati hibaku jumoku, ossia albero sopravvissuto, e sono tutti identificati con una apposita targa. A Hiroshima sono circa 170 di 32 differenti specie. L'albero più vicino alla zona dell'esplosione è un salice piangente, rinato dalle sue radici dopo essere stato quasi completamente distrutto. Oggi i semi degli hibaku jumoko sono condivisi dagli abitanti di Hiroshima e piantati in Giappone e in altre parti del mondo, in un atto simbolico che richiama la distruzione e la forza della vita.