La rudis era una semplice verga o una spada di legno che veniva assegnata ai gladiatori a fine carriera. Possibile che, dopo tanti anni di fatiche e sacrifici, i combattenti sopravvissuti alle lotte cruenti negli anfiteatri ricevessero un oggetto tanto umile? In realtà, a dispetto del suo scarso pregio economico, la rudis aveva un incommensurabile valore simbolico, perché la sua assegnazione liberava il gladiatore dall'obbligo di esibirsi nelle arene. Essa, inoltre, veniva utilizzata dalle giovani reclute per impratichirsi nella lotta all'interno delle caserme, andando così a simboleggiare l'arte stessa della gladiatura.


Chi ha visto il film Il gladiatore di Ridley Scott ricorderà sicuramente il personaggio di Proximo, ex combattente divenuto lanista (i lanisti erano istruttori o proprietari di una scuola per gladiatori) a cui l'imperatore Marco Aurelio aveva dato la libertà insignendolo, appunto, della rudis.
Peraltro, i gladiatori non erano gli unici a maneggiare armi inoffensive durante l'addestramento: nel trattato militare L'arte della guerra, lo scrittore Publio Flavio Vegezio (IV secolo d.C.) scrive che la formazione dei legionari avveniva utilizzando uno scudo di vimini simile a un canestro (cratis) e una robusta spada di legno molto simile a una rudis.
Pollice su o giù. Tanto i soldati quanto i gladiatori – racconta Vegezio – imparavano a maneggiare queste finte armi contro un palo conficcato nel terreno e combattevano come se avessero di fronte un avversario in carne e ossa. L'autore confidava molto nell'efficacia di questo tipo di esercitazione, ecco infatti cosa scrive a tal proposito: "Né l'arena né il campo di battaglia hanno mai accettato qualcuno come invincibile nelle armi, se non colui che si era allenato con diligente esercizio al palo".
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Di Federica Campanelli, autrice di 1001 Quiz sull'antica Roma (Newton Compton Editori).