Storia

Giro d'Italia: la storia e gli eroi della gara a tappe

13 maggio 1909: si corre la prima tappa del primo Giro d'Italia. Aneddoti, curiosità, storie di eroi e di campioni della competizione che in questi giorni si corre sulle strade del Paese.

È il 13 maggio 1909. Giovanni Giolitti guida il suo terzo governo e Filippo Tommaso Marinetti ha da poco firmato, su Le Figaro, il Manifesto del Futurismo.

Ma quel giorno passerà alla storia perché il ventenne romano Dario Beni si aggiudica la prima tappa del primo Giro d'Italia. Partenza da Milano e arrivo a Bologna dopo 397 chilometri. Beni ci mette più di 14 ore a concludere la sua cavalcata trionfale. Alla fine, però, quel Giro lo vinse il muratore varesino Luigi Ganna che, all'Arena di Milano, dichiarò... «Me brüsa tanto el cü!»

108 anni dopo quel 13 maggio, il Giro celebra se stesso e la sua storia fatta di tanti chilometri: il Giro d'Italia 2017 è l'edizione numero 100 della gara a tappe perché la corsa non si disputò durante i due conflitti mondiali. Ecco alcuni aneddoti storici poco noti del Giro.

1923: LA SFIDA DEGLI "ISOLATI". Sfogliando le prime classifiche del Giro d'Italia, sotto il nome del vincitore, salta all'occhio un secondo nome. Ernesto Azzini nel 1909. Ezio Corlaita nel 1910. Giovanni Gerbi nel 1911.

Anche questi, in un certo senso, sono vincitori. Ma di una categoria particolare, quella degli "isolati". Cioè quelli che gareggiano senza squadra e senza sponsor. Corrono perché sperano di guadagnare qualcosa in più che lavorando nei campi oppure in fabbrica. Si fanno aiutare da comitati locali, dai mecenati dello sport e, spesso, dalle collette dei loro compaesani. Prima della partenza, gli isolati consegnavano il loro bagaglio all'organizzazione che glielo faceva trovare all'arrivo. Così, dopo dieci o anche dodici ore in sella, recuperato il bagaglio, dovevano procurarsi da mangiare e un tetto (o un fienile!) sotto cui dormire. Anche Ottavio Bottecchia è stato un "isolato" prima di vincere due volte il Tour de France.

1933: BINDA E GUERRA ALL'ULTIMO COLPO. Alla prima tappa della 21a edizione del Giro è già battaglia tra i due contendenti alla vittoria finale: Alfredo Binda e Learco Guerra. Binda è il vecchio campione, Guerra il giovane sfidante. A Torino la spunta Guerra che attacca il rivale mentre questo è sceso dalla bici per un contrattempo. Ma il giorno dopo, sul passo della Scoffera, la maglia rosa va in crisi di fame e rischia di piantarsi. Gli viene in soccorso il patron del Giro, Armando Cougnet, offrendogli una scatola di biscotti (sembra che il corridore se la sia mangiata con la carta!). La maglia rosa torna sulle spalle di Binda che, appena viene a sapere dell'accaduto, protesta vivacemente. Guerra aspetta il momento del riscatto e, a Grosseto, aiuta il belga Jeff Demuysere a strappare la maglia rosa a Binda.

Ma non è ancora finita: all'Ippodromo romano di Villa Glori Guerra finisce a ruote all'aria e denuncia una gomitata dell'avversario. Ma la giuria dice che la caduta è stata causata da una siepe. Guerra torna a casa e Binda vince il Giro.

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Nessuno è mai riuscito a vincere più di 5 volte il Giro d'Italia, e a questo traguardo sono arrivati solamente Alfredo Binda, Fausto Coppi e Eddy Merckx.

1948: TRA I DUE LITIGANTI... Nel 1948 gli italiani aspettano il Giro d'Italia per gustarsi il duello tra Fausto Coppi e Gino Bartali. Invece salta fuori Fiorenzo Magni che con una lunga fuga guadagna 13 minuti sui due campioni. Bartali è un po' in affanno. Coppi, invece, attacca alla sua maniera. Vince a Cortina, guadagnando quattro minuti. Il giorno dopo Coppi è ancora all'attacco. Magni, invece, va in crisi nera. E, sul Pordoi, rischia il crollo. Lo tengono i piedi, nel vero senso della parola, gli operai della Wilier Triestina (la marca della sua bicicletta), reclutati appositamente per dare una mano al corridore toscano. Il Campionissimo vince e rastrella altri tre minuti. Ma non basta perché Magni è sempre maglia rosa (per 2 minuti e 11 secondi). La Bianchi protesta per le spinte e la giuria decide di penalizzare Magni di due minuti. Coppi si ritira per protesta. E i suoi tifosi, al Vigorelli di Milano, fischieranno sonoramente Fiorenzo Magni, il vincitore inatteso.

1967: IL CANNIBALE. Nella sua carriera Eddy Merckx ne ha più di tutti: 426 trionfi. Ma non si è mai saziato. Da febbraio a ottobre, per tutte le stagioni da professionista, è sempre stato affamato di vittorie. Non lasciava nulla agli altri, neppure le briciole. Neppure le tappe meno importanti, le corsette. Un esempio: Giro di Sardegna del 1967, tappa Sassari-Cagliari. Aldo Pifferi si trova in fuga autorizzata dal gruppo: aveva chiesto il permesso di andare avanti a fare un bisognino! La gara va lentissima, Pifferi rispetta le consegne e attende il gruppo. Ma dopo un po' si spazientisce. E comincia a fare sul serio, offeso dal comportamento degli altri corridori. Nessuno pare intenzionato ad andare a riprenderlo. Nessuno tranne Eddy Merckx. Il belga mette alla frusta i gregari della Molteni e riprende il Pifferi. Lo raggiunge a 300 metri dal traguardo e lo beffa poco prima del traguardo. Non per cattiveria. È semplicemente voglia di vincere. Cose da Cannibale!

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Sono gli anni di Fausto Coppi quando, nel 1940, si aggiudica il suo primo Giro d'Italia. Il più giovane trionfatore nella storia della manifestazione.

1979: ATTENTI A QUEI DUE. Alla fine degli anni 70, Moser e Saronni infiammano l'Italia come ai bei tempi di Coppi e Bartali.

Francesco Moser è quasi all'apice della carriera quando parte, da favoritissimo, per il Giro d'Italia del 1979. Ma a vincere è Beppe Saronni.

È l'inizio di una rivalità aspra, spigolosa, fatta di veleni e cattiverie assortite. Nel 1980 Moser conquista la sua terza Parigi-Roubaix. Saronni sbotta: «Questa gara è un ciclocross da abolire». Alla Tirreno-Adriatico dell'anno seguente Saronni si lascia scappare un perfido «... quello là vado a prenderlo anche con le scarpe da tennis». Ma vince Moser.

Quello stesso anno, al campionato italiano, i due rischiano di toccarsi e finire a terra. Saronni ci va pesante: «Se non sai stare più in bicicletta è meglio che ti ritiri».

Sono passati oltre trent'anni da quelle sfide infuocate. Le cose vanno meglio. Ma quando si presenta l'occasione nessuno dei due si tira indietro. Saronni attacca come ai vecchi tempi: «Moser è diventato un produttore di vino. Be', non me ne ha regalata neanche una bottiglia!» E Moser: «Certo, il vino lo produco, ma per venderlo, mica per regalarlo!»

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Sono le tappe vinte da Mario Cipollini. Ovviamente un successo... in volata! Il secondo, infatti, è Alfredo Binda, che si è fermato a quota 41 tappe vinte. Al terzo posto, Learco Guerra (31).

L'immenso Fausto Coppi. Non è stata solo la più bella vittoria di Fausto Coppi. Forse è la più grande impresa nella storia del ciclismo. È il 1949. Coppi ha già ipotecato la vittoria finale del Giro d'Italia sul Pordoi, rifilando più di 6 minuti al suo eterno rivale Bartali. In classifica generale si trova a soli 28 secondi dalla maglia rosa Leoni che, in vista della terribile Cuneo-Pinerolo, non ha alcuna speranza di difendersi. A Coppi, insomma, basta una corsa normale per vincere. Invece decide di fare l'extraterrestre. La mattina di quel venerdì 10 giugno, il Piemonte non ha nulla di primaverile. Piove, fa freddo e le cime delle montagne che aspettano i corridori sono soffocate nelle nuvole. Da Cuneo a Pinerolo, sconfinando in terra francese, i chilometri sono 254. Ma i numeri che fanno più paura sono quelli delle montagne: Colle della Maddalena (1.996 metri d'altezza), Col de Vars (2.109), Col d'Izoard (2.360), Monginevro (1.854) e Sestrière (2.035).

Coppi durante la tappa Cuneo - Pinerolo

L'ATTACCO. Gruppo compatto fino alle prime rampe del Colle della Maddalena. Qualche ammiraglia fa girare la voce che in Francia c'è il sole. Così fiorisce un po' di ottimismo. E forse è proprio questo ottimismo a spingere il toscano Primo Volpi all'attacco. Guadagna cinquanta metri sugli altri. La maglia arancione di Volpi si allontana sempre di più. E allora scatta anche Coppi. Nel giro di pochi minuti ha già ripreso Volpi, lo stacca subito e se ne va da solo.

Nel giro di pochi chilometri ha già fatto il vuoto dietro di sé. Arriva da solo sulla Maddalena. Però, mancano ancora 190 chilometri all'arrivo di Pinerolo. Quando Mario Ferretti prende la linea per la sua radio-cronaca esordisce così: «Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi!»

11 MINUTI. Nel frattempo, Gino Bartali, che è un ottimo scalatore, si stacca dal gruppo e tenta di riprendere il Campionissimo. Arriva al primo Gran Premio della Montagna con più di due minuti di ritardo. In cima al Col de Vars diventano quattro e mezzo. Coppi attacca anche sull'Izoard, sulla cui vetta ha spedito l'amico Carletto Cori perché gli tenesse una boraccia rigenerante contenente germe di grano.


Sul Monginevro Bartali è staccato di quasi sette minuti. Non si arrende: anche lui è solo nel suo inseguimento impossibile ma non c'è niente da fare. In cima al Sestrière il distacco è ancora aumentato. E la progressione di Fausto Coppi continua fin sotto il traguardo di Pinerolo dove arriva con un vantaggio di 11 minuti e 52 secondi. Due giorni dopo, a Monza, il Campionissimo vincerà il suo terzo Giro d'Italia. Un mese più tardi, a Parigi, il suo primo Tour de France.

DOCUMENTI Potete scaricare la scansione della prima pagina della Gazzetta (in formato TIF) tutta dedicata a Coppi e l'ingrandimento dell'editoriale, La grande prova superata, in formato PDF.

LA MAGLIA ROSA. È il simbolo della vittoria al Giro d'Italia. Eppure ci sono ciclisti che hanno vinto la corsa (magari più di una volta, come Carlo Galetti) ma non hanno mai avuto l'onore di indossarla. Fino al 1931, infatti, non c'era alcun simbolo di riconoscimento per il capo-classifica. La novità fu introdotta da Armando Cougnet, patron della gara a tappe, fin da allora organizzata da La Gazzetta dello Sport (il colore rosa, naturalmente, viene proprio dalle pagine del giornale sportivo).

Il 10 maggio 1931 fu "la locomotiva umana", Learco Guerra, vincitore della prima tappa del 19° Giro d'Italia (Milano-Mantova di 206 chilometri), a vestire la prima maglia rosa.

Sembra però che il colore rosa non piacque per nulla a Benito Mussolini che lo considerava troppo femminile per essere la maglia dell'eroe nazionale del pedale! Il corridore che ha vestito più volte la maglia rosa è Eddy Merckx: per lui 78 giorni da leader della classifica (Wikipedia dice 77... ma anche Wikipedia può sbagliare!).

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Sono i chilometri della tappa più lunga del Giro. Partenza a Lucca e arrivo a Roma. È il 1914, vince Costante Girardengo.

LA MAGLIA VERDE. Le montagne sono il simbolo del Giro d'Italia.

Alpi e Appennini sono state lo scenario di tantissime battaglie e, spesso, hanno segnato le fasi decisive della gara. Ecco perché la maglia verde, che premia il miglior scalatore della corsa, è la più prestigiosa. Dopo quella rosa, naturalmente. Ma come viene assegnata questa maglia? Nelle tappe che presentano dei dislivelli altimetrici significativi, vengono attribuiti dei punti in base all'ordine su un traguardo virtuale, posto in cima alle salite (il punteggio è variabile a seconda della difficoltà della salita).

Dal 1965, la vetta più alta di ogni Giro d'Italia viene ribattezzata Cima Coppi, in onore del Campionissimo, e assegna un numero doppio di punti rispetto alle cime della stessa categoria.

Gino Bartali è il record-man della maglia verde: la vinse per sette volte. Anche il Tour de France prevede la classifica del Gran Premio della Montagna: chi ne è al comando ha l'onore di indossare la prestigiosa maglia a pois.

I COLORI DEL TOUR DE FRANCE

# GIALLA: è il colore della maglia di chi è in testa alla classifica (rosa al Giro). Nell'ultimo decennio ci siamo abituati a vederla sulle spalle del texano Lance Armstrong, sette volte vincitore a Parigi.
# POIS: la prestigiosa maglia bianca a pois rossi è quella del Gran premio della montagna (verde al Giro). L'ultimo italiano a vincerla è stato Claudio Chiappucci, nel 1992.
# VERDE: è stata istituita nel 1953 e viene indossata dal vincitore della classifica a punti (al Giro è ciclamino). L'anno scorso se l'è aggiudicata il tre volte campione del mondo Oscar Freire.
# BIANCA: come al Giro, anche al Tour questa maglia premia il miglior giovane in classifica. L'unica differenza è che nella corsa italiana la indossa chi ha meno di 24 anni, in quella francese meno di 25.

LA MAGLIA CICLAMINO. È riservata al leader della classifica a punti. Il vincitore di ogni tappa ne conquista 25. Gli altri piazzati ne prendono, via via scalando, in base all'ordine di arrivo. Contribuiscono anche i traguardi volanti, cioè quelli posti lungo il percorso di tappa, che però valgono un minor numero di punti. A conquistare la maglia ciclamino sono spesso i velocisti perché, più degli altri, hanno la possibilità di vincere un maggior numero di tappe. Mario Cipollini, per esempio la vinse per tre volte (la prima e la terza a dieci anni di distanza).

LA MAGLIA BIANCA. C'è una classifica speciale per i corridori che hanno meno di 24 anni: il giovane meglio piazzato in classifica generale ha diritto a vestire la maglia bianca. Da quest'anno la maglia bianca sarà intitolata a Candido Cannavò, direttore de La Gazzetta dello Sport per 19 anni, scomparso lo scorso febbraio.

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Sono i ciclisti che partono per il Giro del 1928. Nessun'altra edizione ha fatto registrare più iscritti. Al contrario, il record di minor numero di partecipanti appartiene all'edizione del 1912: sono soltanto in 54 alla partenza.

E LA MAGLIA NERA? È la maglia dell'ultimo classificato, assegnata soltanto dal 1946 al 1951. A quei tempi, però, la bicicletta era soprattutto un mestiere e arrivare ultimo poteva essere parecchio remunerativo. Il primo ad accorgersene fu Luigi Malabrocca, soprannominato il cinese. La sua filosofia era semplice: meglio ultimo che perdersi nell'anonimato della quinta, ventesima o centesima posizione. E aveva ragione, l'ultimo faceva simpatia e portava a casa un sacco di premi. È proprio grazie al cinese di Tortona se, nel 1946, l'organizzazione del Giro decide di istituire la maglia nera, con tanto di classifica al contrario e montepremi. Malabrocca se la aggiudica per due anni di fila. Ma nel 1949, deve "arrendersi" a Sante Carollo. Una delusione bruciante che lo spingerà al ritiro!

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S
ono i punti con cui Luigi Ganna vinse il Giro del 1909. Nelle prime edizioni, infatti, la classifica veniva calcolata in base ai punti (il primo ne prendeva uno, il secondo due e così via). Altrimenti avrebbe vinto Giovanni Rossignoli.

LA vera corsa rosa: il giro d'Italia femminile. Nel 1988, poche settimane dopo la vittoria di Andrew Hampsten al Giro d'Italia, parte per la prima volta la corsa rosa in versione femminile. La tappa inaugurale è il crono-prologo di Milano conquistato dalla tedesca dell'est (la Germania non è ancora riunificata) Petra Rossner. La formula prevede otto tappe e un percorso che, dal capoluogo lombardo, porta le cicliste fino a Roma, toccando la sponda dell'Adriatico. Vince Maria Canins, già campionessa italiana (per quindici volte!) di sci di nordico. A parte un biennio di black out (1991 e 1992), il Giro Donne è diventato uno degli appuntamenti più importanti del calendario internazionale.

Fa il salto di qualità verso la fine degli anni '90, quando Marco Pantani semina voglia di ciclismo in giro per l'Italia. E Fabiana Luperini, soprannominata la Pantanina per le sue doti di scalatrice, è il personaggio giusto per mettergli le ali. La Luperini vince per quattro anni di fila, dal 1995 al 1998. E per due volte, nel 1995 e 1997, centra la doppietta ciclistica più prestigiosa: Giro e Tour nella stessa stagione. Nel 2001 vince la Freccia-Vallone, due anni dopo il campionato italiano.

CLASSE 1891. Ma non si può parlare di donne e ciclismo senza raccontare la storia incredibile di Alfonsina Strada. Perché lei, il Giro d'Italia, lo corse insieme agli uomini.

Nel 1924, quando le donne non potevano neppure votare. Alfonsina nasce a Rioli di Castelfranco Emilia, nel 1891. La sua è una famiglia poverissima e come riesca a inforcare la bici e mettersi a correre, ancora oggi, è un mezzo mistero. L'unica cosa certa è che, a 24 anni, è costretta dal padre a sposarsi con Luigi. Ma forse è proprio lui a incoraggiarla nella sua passione per i pedali. Figli? Macchè, Alfonsina continua a correre in bicicletta. E, nel 1924, il direttore della Gazzetta, Emilio Colombo, decide di ammetterla a un Giro che si annuncia un po' sottotono. All'inizio Alfonsina va fortissimo, classificandosi prima di molti uomini. Nell'ottava tappa, però, causa una giornata di maltempo e numerose forature, arriva fuori tempo massimo. I giudici la squalificano. Ma Emilio Colombo, che aveva capito l'interesse del pubblico verso Alfonsina, paga di tasca propria affinché continui il suo Giro fino al traguardo finale. La tappa più lunga è la Verona-Fiume (allora italiana) di 415 chilometri. La Strada arriva con oltre 25 minuti di ritardo ma il pubblico è ancora lì, ad aspettarla e festeggiarla. E così anche a Milano, dove Enrici vince il Giro e Alfonsina, dopo 3.618 chilometri, entra nella storia.

5 maggio 2017 Matteo Scarabelli
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