Storia

Come si curavano una volta le malattie mentali?

Il 10 ottobre è la Giornata della salute mentale. Ma come si curavano le malattie mentali, vere e presunte, in passato? Con metodi al limite del sadismo.

Dal 1992 l'Organizzazione delle nazioni unite ha indetto per il 10 ottobre la Giornata mondiale della salute mentale (World Mental Health Day) per promuovere la consapevolezza e la difesa contro lo stigma sociale. Ripercorriamo come è evoluto nel corso dei secoli l'atteggiamento della scienza e della medicina riguardo la malattia mentale – e come si è "aggiornato", di conseguenza il modo di affrontarla – in questo articolo tratto dagli archivi di Focus Storia.

Purghe, salassi, torture e segregazioni: per guarire la malattia mentale in passato si è provato di tutto. Ma prima di parlare di cure bisogna fare una premessa. Non sempre i "matti" sono stati considerati soggetti da curare, anzi. Secondo storici e antropologi, nell'antichità si teneva in grande considerazione chi aveva strane manie. Basti pensare all'antica Grecia, dove i folli non erano considerati malati, e anziché recluderli e contenerli si lasciavano circolare liberamente, ma non solo.

Non solo in epoche arcaiche. Probabilmente i profeti e gli oracoli erano persone affette da disturbi della personalità (o con l'epilessia, secondo alcuni) capaci di avere visioni e "sentire le voci" e quindi considerati in contatto con il mondo degli spiriti e degli dèi. E non accadeva solo nelle epoche arcaiche: fino all'Ottocento, nella tradizione slava si pensava che i "folli in Cristo" agissero su ispirazione di Dio. Fine della premessa. E anche del "lato buono" della follia. Sì, perché i tentativi (iniziati secoli fa) di comprendere i meccanismi della mente e di aggiustarli quando si "inceppano" hanno portato ad atteggiamenti, di fronte alla malattia mentale, tutt'altro che comprensivi.

DI CHE UMORE SEI? Fu Ippocrate (ca. 460-370 a.C.) il primo a pensare che i mali della mente non fossero né più divini né più sacri di altre patologie. Per lui era tutta una questione di "umori": un loro squilibrio poteva incidere anche sul funzionamento del cervello. Bastava che la bile gialla, dal fegato, lo invadesse che la persona si eccitava pericolosamente ed era affetta da mania. Se a corromperlo era invece la bile nera, secreta dalla milza, si diventava cupi e malinconici. Se c'era un eccesso di sangue, il temperamento diventava sanguigno; mentre il flegma, umido e freddo, spegneva il fuoco dell'intelletto.

Il ruolo dei primi strizzacervelli era dunque ristabilire l'equilibrio compromesso, eliminando dalla testa le sostanze che la intossicavano. Lo si faceva con bagni caldi e freddi, purghe, salassi; si somministrava oppio, se il paziente era agitato, o un infuso di radici di elleboro, se era inibito.

L'elleboro è una ranuncolacea che si usava per i suoi potenti effetti lassativi, ma oggi si è dimostrato che contiene alcaloidi che hanno il potere di aumentare la dopamina, un neurotrasmettitore implicato in molte malattie mentali. La strada insomma in qualche modo era stata tracciata.

Rimedi pazzi... La teoria umorale di Ippocrate arrivò fino a Roma, dove Galeno (ca. 129-216), medico personale di Marco Aurelio, curava la depressione e l'avvilimento dell'imperatore con l'ambrosia, un cocktail di vino falerno, liquirizia, miele e lacrime d'oppio. Nei casi più gravi, invece, alla terapia "farmacologica" si associavano salassi e l'applicazione di ventose scarnificanti alla nuca, con il solito obiettivo di liberare il cervello dalle sostanze nocive che lo inquinavano.

Dioscoride Pedanio (ca. 40- 90), vissuto nella Roma imperiale sotto Nerone, nel suo voluminoso trattato di farmacologia Sulle erbe mediche – che rimase il testo base della terapia medica e psichiatrica per 1.800 anni – aveva indicato per i disturbi mentali l'estratto di testicoli di castoro, animale che si considerava molto attivo sul piano sessuale. Evidentemente non sempre i rimedi funzionavano, visto che Celio Aureliano, un medico vissuto nel V secolo, insisteva nel consigliare di non legare i malati e di fare almeno un tentativo anche con la musicoterapia.

La malattia diventa PECCATO! Nel Medioevo l'approccio razionale venne scalzato dalla fede, e la malattia mentale considerata un castigo di Dio: il malato di mente era un indemoniato, posseduto da spiriti maligni che insinuandosi negli umori contagiavano tutto il corpo. I medici furono rimpiazzati dagli esorcisti, che "guarivano" a colpi di preghiere, acqua benedetta, olio santo e una massiccia dose di violenza: d'altronde quella che si ingaggiava era una vera lotta di liberazione dal demonio. Per secoli, anche dopo la fine del Medioevo, la malattia mentale continuò a essere confusa con lo scandalo e il peccato. Ospizi, cronicari, case di correzione e di lavoro si riempirono di poveracci, vagabondi e "teste calde" che tenevano compagnia a delinquenti, prostitute e disturbatori dell'ordine pubblico.

Nel 1579, anche l'illustre poeta Torquato Tasso fu rinchiuso per sette anni a causa delle sue manie di persecuzione. La preoccupazione principale era ormai quella di allontanare i matti dalla vista dei "normali". In molte città tedesche i folli erano consegnati a marinai e mercanti che avevano il compito di allontanarli a bordo dei loro battelli fluviali, chiamati "navi dei folli".

Salute mentale - Ospedale psichiatrico Vienna
Il Narrenturm (torre dei pazzi), primo ospedale psichiatrico al mondo, costruito a Vienna nel 1782. © Everett Collection / Shutterstock

Nascono i manicomi. Fu tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 che iniziò a farsi strada tra gli uomini di scienza la preoccupazione di porre fine alle tragiche condizioni degli alienati.

Il matto andava riportato alla normalità, innanzitutto distinguendolo da chi matto non era. Lo psichiatra parigino Philippe Pinel (1745-1826) fece un atto clamoroso: nel 1793 liberò tutti i folli incatenati nell'ospedale-carcere Bicêtre, presso Parigi. La sua tesi? La follia andava affrancata dalla superstizione e curata come una malattia: in particolare chi soffriva di schizofrenia o di forme gravi di depressione andava isolato.

Nascevano così i manicomi, centri di cura specializzati in cui i malati, divisi per disturbo, erano sottoposti a traumi fisici, bagni gelati, letti di contenzione, camicie di forza, catene, salassi, ma anche alla terapia "morale" per indurre il malato a riconoscere i propri errori e a recuperare la razionalità. Proprio in Francia il progetto di cura manicomiale trovò la sua massima attuazione. Ma anche Germania, Inghilterra e Stati Uniti, nella prima metà dell'800, si adoperarono per creare istituti per il ricovero dei folli, ben lontani dalle mura urbane, in aperta campagna. Insomma, il folle fu liberato dalla prigione... per essere imprigionato in manicomio.

Salute mentale - Macchinario ospedale psichiatrico
Il macchinario Darwin-Coxe usato per calmare i pazienti dell'Ospedale psichiatrico di Vienna (1920). © Everett Collection / Shutterstock

Un lavoro per la mente. Fu Wilhelm Griesinger (1817-1868) a proporre di rovesciare completamente il modello di Pinel. Pensò a istituti alla periferia delle città, con pochi posti letto e un alto ricambio di malati grazie a degenze mai superiori a un anno. Su quest'onda nacquero in Europa le prime cliniche psichiatriche universitarie e le prime colonie agricole "per alienati", come quella di Gheel in Belgio, dove si curavano i disturbi mentali con il lavoro nei campi. Con il progresso scientifico, arrivarono le prime "vere" cure, anche se ancora a inizio Novecento i freniatri – come dal 1875 si facevano chiamare gli psichiatri, dal greco phrén, "mente" – avevano fatto ben pochi passi avanti rispetto ai metodi del passato.

Il nuovo secolo iniziò con una scossa: debuttarono allora le terapie dello shock promosse da medici che per guarire i "matti" non si fermavano davanti a niente, vincendo per questo persino dei premi Nobel.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

10 ottobre 2022 Anita Rubini
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