Grazie a lui abbiamo iniziato a viaggiare senza muoverci e a vivere i momenti passati anche a distanza. Prete mancato, ex rivoluzionario e scienziato con il pallino per la fotografia, Joseph Niépce (1765- 1833) fu infatti il "papà" del primo scatto fotografico. E la vicenda di quella prima istantanea, passata alla Storia come Veduta dalla finestra a Le Gras, è quella di una invenzione dimenticata. Ripercorriamo le tappe dei primi esperimenti fotografici attraverso l'articolo "Scatto d'autore" di Silvia Büchi, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Tecniche sperimentali. Facciamo un passo indietro. Niépce – che aveva fatto studi teologici e si era poi guadagnato il soprannome di Nicéphore (letteralmente "portatore di vittoria") durante la sua militanza come rivoluzionario – faceva esperimenti con la camera oscura, ma solo nella primavera del 1826 (o del 1827, secondo alcuni) il miracolo si concretizzò sotto i suoi occhi: dopo un'esposizione alla luce di oltre otto ore si delineò sulla lastra di stagno ricoperta di bitume di Giudea, materiale utilizzato dagli incisori, l'immagine del cortile di casa sua, Le Gras, con un tetto e due edifici ai lati.
Brevetto mancato. Niépce esultò e ne aveva tutte le ragioni: quella fotografia fu un traguardo scientifico che aprì nuovi orizzonti e diede inizio a quella "civiltà dell'immagine" in cui oggi siamo immersi. Ma non tutto andò liscio. soci. Niépce sapeva che il procedimento andava perfezionato e nel 1829 firmò un contratto di collaborazione con Louis Daguerre (1787- 1851), pittore di fama che si occupava anche di fotografia, con cui intratteneva una fitta corrispondenza sui rispettivi progressi, protetta anche da un codice segreto. Ma nel 1833 Niépce morì prematuramente senza aver visto premiati i suoi sforzi e nel contratto subentrò il figlio Isidoro.
Nasce il dagherrotipo. Daguerre, che nel frattempo aveva apportato alcuni miglioramenti, approfittò della situazione e chiamò l'invenzione dagherrotipo dal suo nome, tralasciando quello di Niépce, il cui apporto era invece stato fondamentale. A poco valsero le proteste del figlio di Niépce, che scrisse anche un libro Storia della scoperta impropriamente chiamata dagherrotipo: non ottenne nulla.
Invenzione rivoluzionaria. Il 7 gennaio 1839 l'invenzione fu presentata ufficialmente all'Accademia di Francia. L'annuncio scoppiò come una bomba "scombinando tutto ciò che si pensava di sapere e anche solo supporre", ricorda Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar, il più famoso fotografo dell'800.
Lui non aveva dubbi: "la nuova scoperta si presentava come la più straordinaria delle invenzioni". Non tutti però ne erano così entusiasti.
Ti ruba l'anima. La fotografia per molti aveva un che di diabolico. E non la pensavano così solo i superstiziosi, ma anche intellettuali del calibro di Balzac. Lo scrittore era convinto infatti che ogni corpo fosse costituito da "spettri" sovrapposti, simili a pellicole infinitesimali, e temeva che ogni scatto del dagherrotipo distaccasse e trattenesse sulla fotografia uno di quegli strati. Con il rischio di cancellare la sua fisionomia. Ma, superate le prime perplessità, scoppiò l'entusiasmo.
Pareri contrastanti. Il chimico Marc-Antoine Gaudin, nel Traité pratique de photographie, racconta la sua prima esperienza con il dagherrotipo: "Provammo un'emozione straordinaria e delle sensazioni sconosciute che ci provocavano una allegria folle". Tutti volevano fotografare la veduta dalla finestra e non smettevano di "contare le tegole dei tetti e i mattoni dei caminetti". Émile Zola era convinto che solo dopo aver guardato una fotografia si poteva dire di aver osservato a fondo. Baudelaire era meno entusiasta: non ci teneva ad avere una fotografia in cui "tutte le verruche, tutte le rughe e i difetti" del viso risaltavano inesorabilmente.
Foto mania. Ma la rivoluzione non si poteva più fermare. A partire dal 1850 i laboratori si moltiplicarono e la moda dei ritratti (di famiglia, di bambini deceduti, degli sposi nel giorno delle nozze...) catturò tutti i ceti sociali. La fotografia stava diventando un fenomeno popolare che entrava nella vita delle persone e apriva nuove possibilità di comunicazione: basti pensare al ruolo delle immagini nel giornalismo e alla nascita dei reportage.
Dalla pittura alla foto. La rivoluzione ovviamente travolse anche l'arte. "A partire da oggi la pittura è morta": nel 1839 l'artista Paul Delaroche salutava così la nascita della fotografia. Aveva esagerato: tanti ritratti e paesaggi, prima affidati ai pittori, passarono in effetti al fotografo e molti pittori mediocri si diedero alla fotografia. Ma è anche vero che, dopo un periodo di disorientamento, maestri come Delacroix, Courbet, Manet, Degas e Toulouse-Lautrec capirono che la fotografia poteva essere una risorsa. Le foto di una modella e di un paesaggio sostituivano le lunghe pose dal vero e gli studi all'esterno, condizionati dal cambiamento della luce.
Foto come opere d'arte. Gli stessi pittori diventati fotografi aggiunsero una sensibilità artistica alla fotografia che sfociò, intorno al 1880, nel pittorialismo, un movimento di sperimentatori che trasformavano la fotografia in un'opera comparabile a quella delle arti maggiori.
Riconoscimento tardivo. Intanto il nome di Niépce era finito nel dimenticatoio. Solo il fotografo Nadar, nel 1900, si ricordò di lui e scrisse che il dagherrotipo "più legittimamente doveva chiamarsi Niepcetipo".
La consacrazione avvenne nel 1952, quando il fotografo e storico Helmut Gernsheim scovò in Inghilterra l'unica copia esistente della fotografia di Niépce: lo stesso inventore l'aveva consegnata, insieme ad altri campioni andati persi, all'illustratore botanico Francis Bauer nel corso di un suo viaggio a Londra. L'orologio della prima fotografia fu portato indietro al 1826, restituendo il merito a Niépce.
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?